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A volte gli esseri umani fanno bene alla biodiversità

I primi agricoltori spesso rendevano i territori più ricchi di biodiversità. Lezioni per il rewilding
 |  Natura e biodiversità

Secondo lo studio “Floristic diversity and its relationships with human land use varied regionally during the Holocene”, pubblicato recentemente su Nature Ecology and Evolution da  Jonathan Gordon, Brennen Fagan,  Nicky Milner e Chris Thomas del Leverhulme Centre for Anthropocene Biodiversity dell’University of York «         l'uomo è stato un importante motore del cambiamento della vegetazione per migliaia di anni e, in alcuni luoghi, ha avuto un impatto positivo sulla biodiversità».

Presentando lo studio su The Conversation,  Gordon e Fagan ricordano che «Non serve leggere le notizie o scorrere Instagram a lungo per imbattersi nell'ultimo esempio di una specie rara e bellissima che si è estinta. Dal 1500 d.C., almeno 705 specie di vertebrati e 571 specie di piante si sono estinte. Gli esseri umani hanno ormai sottratto più della metà della superficie terrestre con le fattorie e le aree urbane e questo è il principale responsabile del recente declino della biodiversità globale. Ma gli umani non sono comparsi all'improvviso nell'anno 1500. I primi umani bruciavano le savane africane già da circa 400.000 anni fa, e forse anche molto prima. Ci sono prove che i Neanderthal abbiano alterato le piante e i territori dell'Europa circa 125.000 anni fa. E sebbene ci sia ancora qualche discussione, gli umani sono stati probabilmente il fattore decisivo nell'estinzione della maggior parte della megafauna un tempo diffusa sulla Terra negli ultimi 100.000 anni».

Poi, circa 12.000 anni fa, finì l'ultima era glaciale e iniziò una nuova unità geologica, l’Olocene, che segnò un cambiamento importante nelle relazioni uomo-ambiente, le persone passarono in modo indipendente dalla ricerca di cibo all'agricoltura in molti luoghi diversi del mondo. Che si trattasse di risaie in Cina, campi di grano in Medio Oriente o i mais e zucca in Mesoamerica, gli esseri umani stavano modificando sempre di più il territorio. Il bestiame domestico li seguì presto in molti luoghi.

Per comprendere la varietà delle comunità vegetali risalenti a circa 12.000 anni fa, l'inizio dell’Olocene, i ricercatori hanno utilizzato il Neotoma Paleoecological Database e spiegano che «In questo periodo di tempo, fino all'inizio della rivoluzione industriale, la velocità con cui i diversi tipi di piante cambiavano all'interno di una comunità accelerò con l'aumento dell'utilizzo del territorio da parte dell'uomo in tutti i continenti, il che suggerisce che l'uomo è stato un importante motore del cambiamento della vegetazione».

Ma l'analisi dei dati ricavati dai registri dei pollini effettuata dal team ha rivelato che La natura di questi cambiamenti variava a seconda della zona geografica: «Le comunità vegetali sono diventate sempre più diversificate nella maggior parte dell'emisfero settentrionale, a causa dell'attività umana nel corso del periodo, ma in Africa, Sud America e in alcune parti del Nord America, l'aumento dell'utilizzo umano del suolo ha comportato un calo della diversità vegetale, mentre in luoghi con un utilizzo umano del suolo più limitato si è assistito a un aumento della diversità».

Gordon, che ha guidato lo studio insieme archeologi e matematici, evidenzia che «Quando leggiamo i titoli sulle minacce di estinzione per la vita animale o vegetale, l'attività umana è spesso citata come una delle cause principali del declino. Sebbene sia assolutamente vero che la stragrande maggioranza delle estinzioni avvenute dal 1500 in poi sono state causate dall'uomo, su periodi di tempo più lunghi, in molte aree gli effetti dell'uomo sulla biodiversità locale e regionale sono positivi».

Lo studio ha dimostrato che «Le pratiche agricole e forestali che interagiscono con comunità vegetali specifiche di ogni regione hanno portato a una maggiore diversità in molte delle aree un tempo boscose dell'emisfero settentrionale, dove il disboscamento parziale per far posto ad animali, colture e fattorie ha aumentato la diversità degli habitat e ha creato spazio per piante amanti della luce». 

Gordon fa notare che «Vediamo un quadro leggermente diverso nelle praterie aperte e nelle savane, rispetto alle aree boschive, tuttavia, e questo potrebbe essere dovuto al fatto che è più difficile per gli esseri umani diversificare la vita vegetale piantando alberi, rispetto all'abbattere alberi nelle regioni boschive. In queste aree, la biodiversità ha beneficiato solo di forme meno intense di utilizzo umano».

La ricerca chiede «Un approccio più diversificato per aumentare la biodiversità in tutto il mondo, tenendo conto delle prove derivanti da migliaia di anni di interazioni umane con gli ecosistemi della Terra nelle nuove e future politiche ambientali».

Thomas sottolinea che «Quando si affrontano problemi di biodiversità, il presupposto comune è che l'influenza umana debba essere eliminata affinché l'ambiente possa prosperare come la natura ha previsto. In molti luoghi la biodiversità prospera grazie a migliaia di anni di attività umane, mentre in altri può risentirne, ed è quindi importante conoscere le differenze per sviluppare politiche di conservazione appropriate». 

Gordon fa notare che «In un contesto europeo, ad esempio, questo lavoro suggerisce che i metodi agricoli tradizionali a bassa intensità praticati per millenni hanno portato a livelli elevati di biodiversità. Incoraggiare i metodi tradizionali e reintrodurli in luoghi in cui sono stati abbandonati potrebbe essere parte di future strategie di conservazione che cercano di includere, piuttosto che rifiutare a priori, gli esseri umani provenienti da diversi sistemi ecologici».

Su The Conversation,  Gordon e Fagan concludono: «Molte persone oggi sostengono il miglioramento della biodiversità riducendo al minimo l'influenza umana sui territori Spesso questo assume la forma del rewilding, che mira a "lasciare che sia la natura a guidare". Tuttavia, i nostri risultati suggeriscono che in molti luoghi, anche se non in tutti, i territori minimamente modificati dall'uomo avevano meno tipi diversi di piante. Spesso, i disturbi umani hanno aumentato piuttosto che eroso la biodiversità. In effetti, molti dei luoghi europei con la maggiore biodiversità oggi sono terreni agricoli tradizionalmente gestiti e a bassa intensità, come i prati alpini e le dehesas e i montados in Spagna e Portogallo. Alla luce di questo, rimuovere gli esseri umani dai territori per rendere gli ecosistemi più sani e diversificati potrebbe a volte essere controproducente. Sebbene sia forse sorprendente, la nostra ricerca rivela che in molti luoghi la biodiversità prospera grazie a, non nonostante, migliaia di anni di interazioni umane con gli ecosistemi della Terra».

Redazione Greenreport

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