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I pascoli a bassa intensità sono meno produttivi ma più stabili

Sono in grado di resistere meglio alle conseguenze del cambiamento climatico
 |  Natura e biodiversità

Le praterie sono uno degli ecosistemi più importanti e più diffusi: coprono più di un quarto dell'intera superficie terrestre e immagazzinano almeno un terzo del carbonio terrestre, sono essenziali per la produzione alimentare e possono essere estremamente ricche  di specie in un'area relativamente piccola. Il cambiamento climatico avrà un'influenza considerevole sulla biodiversità e sulla produttività di prati e pascoli.  Secondo lo studio “Land use modulates resistance of grasslands against future climate and inter-annual climate variability in a large field experiment", pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori tedeschi guidato dall’Helmholtz-Zentrum für Umweltforschung (UFZ), «L'entità di questi cambiamenti dipende dall'uso del suolo. I pascoli ottimizzati per un'elevata resa rispondono in modo molto più sensibile ai periodi di siccità rispetto ai prati e ai pascoli utilizzati in modo meno intensivo». E questo  può certamente avere conseguenze economiche per gli agricoltori interessati.

All’UFZ ricordano che «E’ chiaro da tempo che due cambiamenti ambientali stanno minacciando le praterie del mondo. In particolare in Europa, le praterie sono ora fertilizzate molto più pesantemente, falciate più frequentemente e pascolate più intensamente. Inoltre, gli agricoltori spesso seminano solo una manciata di varietà di erbe che promettono una resa particolarmente elevata. Questa intensificazione dell'uso del suolo sta cambiando radicalmente la composizione delle specie e la funzionalità di prati e pascoli. Lo stesso vale per il cambiamento climatico. Per la Germania, il cambiamento climatico si tradurrà in uno spostamento nella distribuzione stagionale delle precipitazioni e in un aumento degli estremi idrologici (ad esempio forti piogge e siccità), tra le altre cose. E’ considerata la seconda minaccia più grande per questi ecosistemi. Quando entrambi i cambiamenti si uniscono, possono rafforzarsi a vicenda».

Ma nessuno sa ancora esattamente cosa accadrà. Finora, la maggior parte degli esperimenti su questo argomento si era concentrata sul clima o sull'uso del suolo. La principale autrice dello studio, la biologa dell’UFZ Lotte Korell, sottolinea che «Quel che rende unico il nostro studio è che abbiamo indagato l'interazione di entrambi i fattori». E questo è stato possibile grazie a un vasto esperimento su clima e l'utilizzo del suolo, il  Global Change Experimental Facility (GCEF), condotto all’UFZ per 10 anni  a Bad Lauchstädt, vicino ad Halle,  e che fornisce nuove intuizioni sul futuro di questi habitat.

 Il GCEF  è costituito da 50 appezzamenti, ciascuno dei quali misura 16 × 24 metri, che vengono utilizzati con vari gradi di intensità di utilizzo del suolo. Anche le temperature e i livelli di precipitazione possono essere manipolati con l'aiuto di sistemi di tetti mobili. Ad esempio, alcuni appezzamenti ricevono il 10% in più di precipitazioni in primavera e autunno e il 20% in meno in estate rispetto agli appezzamenti di controllo non trattati. Questo corrisponde approssimativamente alle condizioni future che i modelli climatici prevedono  per la Germania centrale.

I ricercatori hanno analizzato la biodiversità e la produttività delle piante sulle parcelle utilizzate in modo diverso tra il 2015 e il 2022 e la Korell spiega che «Questo periodo include tre degli anni più secchi che questa regione abbia mai sperimentato dall'inizio delle registrazioni». Queste siccità hanno apparentemente avuto un effetto molto più forte sulle piante rispetto al cambiamento climatico simulato sperimentalmente.  «Tuttavia – fanno notare all’UFZ - in entrambi i casi, il trend puntava nella stessa direzione: i pascoli ricchi di specie che vengono solo raramente falciati o scarsamente pascolati hanno resistito al caldo e alla siccità molto meglio dei prati ad alte prestazioni utilizzati in modo intensivo».  La Korrel commenta: «Tra gli altri fattori, questo è probabilmente correlato alla diversità delle specie» che  variava notevolmente a seconda dell'uso del suolo dei pascoli. 

Nei prati e pascoli del GCEF utilizzati meno intensivamente cresceva un mix eterogeneo di oltre 50 erbe e piante aromatiche autoctone;  nei pascoli utilizzati intensivamente il team UFZ aveva seminato solo le 5 varietà di erbe raccomandate agli agricoltori dall'Istituto statale per l'agricoltura e l'orticoltura della Sassonia-Anhalt per i siti più asciutti all'inizio dell'esperimento. Tra queste c'erano varietà di dattile conosciuta anche come erba mazzolina e pannocchina erba dei prati (Dactylis glomerata) e loietto perenne (Lolium perenne) che vengono coltivate per la massima resa e che vengono anche pesantemente fertilizzate, come è comune nella pratica agricola. Inizialmente, i prati intensivi erano molto più produttivi delle praterie più diversificate  ma sono stati in grado di sfruttare questo vantaggio solo in condizioni climatiche favorevoli e non hanno resistito alla siccità così come le piante nei prati e nei pascoli a bassa intensità.

All’UFZ evidenziano che «In periodi di siccità, le erbe nei prati utilizzati in modo intensivo sono morte sempre di più e sono state sostituite da altre specie come il centocchio comune (Stellaria media), la borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), il dente di leone (Taraxacum officinal ) e il becco di gru (Geranium pusillum)». L’altro autore principale dello studio, Harald Auge, anche lui biologo dell'UFZ, sottolinea che «Si tratta per lo più di specie di breve durata che sopravvivono come semi. Quando le piante più competitive soccombono alla siccità, queste specie ne approfittano per invadere i loro habitat: migrano dalle praterie a bassa intensità o germinano dalla riserva di semi nel terreno». 

Un cambiamento nella composizione delle specie che non è particolarmente gradito agli agricoltori, soprattutto perché la maggior parte dei nuovi arrivi è un foraggio di qualità inferiore rispetto alle erbe seminate in origine. Il senecione comune (Senecio vulgaris), che nell'esperimento era spessopresente tra le specie immigrate, è velenoso. Tutto questo riduce la produttività del terreno. 

Allevatori e  agricoltori sono da tempo consapevoli di questo tipo di degradazione dei pascoli ad alte prestazioni da parte delle specie immigrate e quindi sanno di dover arare e riseminare la loro terra ogni pochi anni.  La Korell. avverte che «Il cambiamento climatico potrebbe accelerare questa necessità e comportare costi aggiuntivi. Forse andrà tutto bene per qualche anno e pioverà abbastanza. Tuttavia, è anche possibile che si susseguiranno diverse estati secche. Il cambiamento climatico sta rendendo le condizioni ancora più imprevedibili». 

All’UFZ concludono: «Gli agricoltori che hanno solo pascoli intensivi sono quindi meno in grado di pianificare in tali periodi e quindi sopportano un rischio economico maggiore. D'altro canto, i prati e i pascoli a bassa intensità non solo danno un contributo importante alla conservazione della biodiversità, ma aiutano anche a stabilizzare la produttività dei pascoli in periodi di cambiamento climatico». 

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Redazione Greenreport

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