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Perché gli animali che vivono nelle isole sono più a rischio estinzione

Le specie insulari a sangue caldo hanno un metabolismo più lento e faticano a riprendersi dagli impatti delle specie invasive e antropici
 |  Natura e biodiversità

Lo studio “Convergent evolution toward a slow pace of life predisposes insular endotherms to anthropogenic extinctions”, pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori cinesi e della Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg (MLU), parte dalla constatazione che «I vertebrati insulari hanno sviluppato una serie di caratteristiche morfologiche, fisiologiche e di life history che li distinguono dai loro parenti continentali. Tuttavia, fino ad oggi, l'evoluzione del metabolismo e il suo impatto sulla vulnerabilità all'estinzione dei vertebrati insulari rimangono poco compresi». Lo studio ha utilizzato dati metabolici di 2,813 specie di vertebrati tetrapodi, tra cui 695 specie ectotermi e 2,118 specie endotermiche, per rivelare che «Mammiferi e uccelli insulari hanno sviluppato strategie metaboliche convergenti verso un ritmo di vita lento. L'insularità è stata associata a spostamenti verso ritmi metabolici più lenti e lunghezze di generazione maggiori negli endotermi, mentre l'insularità ha semplicemente guidato l'evoluzione di durate di generazione più lunghe negli ectotermi. In particolare, un ritmo di vita lento ha esacerbato l'estinzione delle specie endemiche insulari di fronte alle minacce antropiche».
Insomma, molte specie insulari a sangue caldo hanno sviluppato un metabolismo più lento rispetto alle specie che vivono sulla terraferma, questo consente loro di sopravvivere meglio in ambienti con scarse risorse, ma, se si aggiungono gli esseri umani al mix insulare, quello che è un vantaggio evolutivo espone i vertebrati insulari non umani a un rischio maggiore di estinzione.
Il principale autore dello studio lo zoologo Ying Xiong del College of Life science della Sichuan Agricultural University, ha detto a Rachel Nuwer di Scientific American che «Quando l'ambiente cambia o gli animali invasivi arrivano sulle isole, le specie insulari hanno una bassa capacità di difendersi. Abbiamo scoperto una regola metabolica generale che aiuta a spiegare tutto questo».
Il co-autore principale, Roberto Rozzi della MLU, del Museum für Naturkunde, Leibniz-Institut für Evolutions- und Biodiversitätsforschung. e del Deutsches Zentrum für integrative Biodiversitätsforschung (iDiv), sottolinea che «Il nuovo studio riunisce, per la prima volta, un dataset più o meno completo che esamina i tassi metabolici delle specie insulari a sangue caldo e freddo. Molte isole non hanno grandi predatori ma hanno meno risorse disponibili rispetto alla terraferma. In tali ambienti, un tasso metabolico più basso probabilmente dà alle specie un vantaggio di sopravvivenza. Richiedono meno energia su base giornaliera, si riproducono più lentamente e tendono ad avere una durata di vita più lunga. Quando le condizioni cambiano, tuttavia, questo vantaggio metabolico sembra trasformarsi in uno svantaggio. Il passaggio a un ritmo di vita lento in parallelo ha un impatto sulla resilienza delle specie, rallentandone il recupero dopo un disturbo. In pratica, è più difficile riprendersi".
Lo studio ricorda che «Le specie endemiche delle isole hanno affrontato estinzioni diffuse sin dal tardo Pleistocene. Le cause principali di queste estinzioni sono direttamente o indirettamente correlate alle attività umane e includono l'introduzione di specie invasive, la perdita di habitat, lo sfruttamento eccessivo delle risorse e il cambiamento climatico. Le specie di grandi dimensioni, incapaci di volare, che nidificano a terra e le specie che hanno sperimentato cambiamenti più estremi nelle dimensioni corporee rispetto alle loro controparti continentali sono state colpite in modo sproporzionato da queste estinzioni».
I risultati del nuovo studio indicano che «Un ritmo di vita lento è un altro fattore che predispone i vertebrati insulari alle estinzioni antropogeniche. Questo è in accordo con studi precedenti che evidenziano l'importante ruolo delle life history nelle estinzioni preistoriche di mammiferi continentali e insulari e l'associazione tra un tasso riproduttivo più lento e un rischio di estinzione più elevato nei grandi mammiferi attuali. Mentre cambiamenti morfologici come il nanismo e il gigantismo hanno probabilmente portato alle estinzioni insulari, facilitando lo sfruttamento eccessivo diretto e la predazione da parte di specie introdotte, gli spostamenti verso una strategia metabolica lenta e una life history lenta possono, parallelamente, influenzare negativamente la resilienza delle specie rallentando il recupero dopo la perturbazione. Inoltre, un basso tasso metabolico specifico di massa e un lungo tempo di generazione sono correlati a tassi di crescita della popolazione ridotti, che sono stati segnalati come fattori che contribuiscono ad alte probabilità di estinzione».
In sintesi, gli scienziati cinesi dicono che i risultati dello studio «Supportano l'ipotesi, derivata da prove empiriche e teoria evolutiva, che suggerisce che il ritmo di vita nei vertebrati con diverse modalità metaboliche è influenzato da compromessi tra i costi energetici della vita sulle isole, la lunghezza delle generazioni e la variazione ambientale. Sebbene gli adattamenti fisiologici verso un ritmo di vita lento, insieme ad altre innovazioni evolutive, possano aumentare l'idoneità delle specie insulari in risposta al rilascio ecologico e alla limitazione delle risorse in ambienti insulari incontaminati, questi adattamenti possono anche aumentare la vulnerabilità all'estinzione dopo la colonizzazione umana. Questa ricerca sostiene la potenziale applicazione di tratti associati alla sindrome insulare per migliorare la conservazione delle specie insulari rimanenti. In particolare, si suggerisce che la priorità di conservazione delle specie insulari dovrebbe prendere in considerazione metriche di divergenza fisiologica rispetto alle forme continentali, insieme a metriche di storia evolutiva e cambiamento morfologico».
Secondo gli scienziati cinesi e tedeschi, «Queste scoperte hanno importanti implicazioni per la comprensione degli adattamenti fisiologici associati alla sindrome insulare e per la formulazione di strategie di conservazione tra gruppi tassonomici con diverse modalità metaboliche».
Ma, su Scientific American, Kevin Healy, un macroecologo irlandese dell’'Università di Galway, che non è stato coinvolto nello studio, avverte che «La nuova ricerca si adatta alle aspettative precedenti di specie insulari che sviluppano strategie di ritmo di vita più lento, come vivere più a lungo e riprodursi più lentamente. Tuttavia, mentre la scoperta sull'aumento del rischio di estinzione è interessante, dovrebbe essere trattata con cautela a causa della natura altamente disomogenea dei dati della Lista Rossa IUCN. Potrebbe essere che le specie insulari con un metabolismo più lento siano in realtà a un rischio di estinzione inferiore rispetto a quanto scoperto dagli autori, o addirittura superiore».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.