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Le piante autoctone e quelle introdotte non sono buoni vicini

Attraggono patogeni che si diffondono da una popolazione all'altra
 |  Natura e biodiversità

Secondo due nuovi studi, le piante autoctone e le colture non autoctone non prosperano in prossimità delle altre, poiché attirano parassiti che diffondono malattie in entrambe le direzioni. A dimostrarlòo è lo studio “Hiding in Plain Sight: A Widespread Native Perennial Harbors Diverse Haplotypes of ‘Candidatus Liberibacter solanacearum’ and Its Potato Psyllid Vector”, pubblicato su Phytopathology da Jaimie Kenney, Tessa Shates e Kerry Mauck dell’università della California Riverside (UCR) e da Marco Gebiola dell’università di Napoli Federico II e UCR, che documenta la presenza nelle piante selvatiche della California di un agente patogeno batterico che colpisce le piante di solonacee, come pomodori, patate e peperoni.

I ricercatori spiegano che il patogeno, Candidatus liberibacter solanacearum o CLso, è correlato al patogeno che causa l’Huanglongbing’ (HLB) la malattia greening che uccide le piante di agrumi e per la quale non esiste una cura. Come l’HLB, il CLso viene trasmesso alle piante da un piccolo insetto volante chiamato psilla. IL CLso provoca una malattia della patata chiamata zebra chip, che deforma i tuberi, rendendoli non commerciabili e riducendo la resa delle colture fino al 90% e che è comparsa per la prima volta negli anni 2000 e si è rapidamente diffusa negli Usa.

Mauck, un entomologo autore di entrambi gli studi, sottolinea che «Abbiamo cambiato il paesaggio e questo ha creato opportunità di prosperare per i patogeni. Abbiamo introdotto patogeni che danneggiano le piante autoctone e, dall'altro lato della medaglia, abbiamo patogeni endemici che mutano per infettare le colture. Volevamo sapere perché questa cosa è comparsa così all'improvviso negli Stati Uniti. Il vettore psillide era qui. E’ autoctono. Ci siamo chiesti se forse anche il patogeno fosse qui anche da più tempo di quanto pensassimo».

Per rispondere a questa domanda, il team di ricerca ha visitato varie riserve naturali dell'UCR, una rete di aree selvagge gestite per uso accademico, e ha prelevato campioni di piante della famiglia delle solanacee da ogni luogo visitato e hanno anche esaminato campioni di erbari risalenti agli anni '70. Hanno così scoperto che «Il patogeno era presente nel 15-20% delle piante esaminate», ma le forme che hanno trovato non sono note per infettare le colture. «Inoltre – Fanno notare gli scienziati - la forma selvatica del patogeno non è nota per danneggiare le piante in cui vive. Tuttavia, la forma che colpisce le colture causa malattie. In altre parole, le varianti CLso trovate nelle comunità di piante selvatiche non si stanno riversando nei campi agricoli».

Recentemente. i ricercatori hanno ricevuto finanziamenti dal Dipartimento dell'agricoltura Usa per comprendere cosa è cambiato a livello molecolare quando il patogeno è mutato per essere in grado di infettare le piante coltivate.
Mauck continua a farsi le stesse domande «Cosa è cambiato per far emergere questo patogeno come problematico? Quali proteine sono diverse nelle varianti benigne e virulente? Con cosa interagiscono nella pianta? Se impariamo le risposte a queste domande, possiamo capire come le piante resistono alla malattia e aiutarle».

L’altro studio “Non-Native Plant Viruses Prevalent in Remnant Natural Plant Communities Harm Native Perennial Hosts”, pubblicato sul Phytobiomes Journal da un team di ricerca composto da scienziati dell’UCR, della Michigan State University e ancora da Gebiola dell’università di Napoli Federico II. ha esaminato il possibile spostamento di agenti patogeni virali dai campi agricoli alle piante di zucca selvatiche nelle riserve della UCR e Mauck ricorda che «Colture come zucca, meloni e patate attraggono afidi e mosche bianche che possono diffondere virus dalle colture alle piante selvatiche. Molti dei virus nelle colture sono molto nuovi per la zona, introdotti solo negli ultimi due decenni. Se questi virus si spostano dalle colture alle aree selvagge, le piante autoctone potrebbero essere bombardate da nuovi patogeni che non hanno mai incontrato prima».

Per questo progetto, i ricercatori hanno nuovamente campionato piante delle riserve UC e dell'Anza-Borrego Desert State Park e ben l'80% delle piante di zucca selvatica che hanno campionato erano state infettate dal cucurbit aphid-borne yellows virus, o CABYV, un virus non autoctono della California. Quando i ricercatori hanno studiato queste infezioni virali, hanno scoperto che «Il CABYV inibisce la crescita delle radici delle piante, un problema per gli ambienti particolarmente secchi e caldi d'estate, come la California meridionale».

Mauck fa notare che «Se le piante non riescono a fare radici, non possono accedere alle falde acquifere o immagazzinare acqua nelle loro radici. E le zucche selvatiche sono tra le poche specie vegetali che crescono e forniscono risorse in estate, quindi sono molto utilizzate da altri organismi. Sono autostrade per le formiche. Forniscono nettare e polline. I semi vengono mangiati da mammiferi in via di estinzione. Sono essenziali».
I ricercatori ritengono che «Entrambi gli studi sottolineano l'importanza della collaborazione tra gestori del territorio, coltivatori e appassionati di piante per ridurre l'introduzione di agenti patogeni delle piante in nuovi spazi».

Mauck conclude: «I patogeni delle piante possono essere ovunque. Ogni volta che spostiamo piante per commerciarle, c'è il rischio di portare anche autostoppisti patogeni. Dobbiamo assicurarci di spostare solo materiale vegetale che non contenga questi ospiti indesiderati. Studiare come i patogeni delle piante si spostano, vivono insieme nelle piante e mutano nel tempo può aiutarci a raggiungere l'obiettivo di ridurre i problemi indesiderati dei patogeni sia nelle colture che nelle piante selvatiche».

Redazione Greenreport

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