«Le nostre infrastrutture sono costruite per un clima che non esiste più. Vanno adattate e rafforzate prima possibile. Questa è la priorità di tutti gli Stati»
“Le infrastrutture sono costruite per un clima che non esiste più”, spiega Diana Urge-Vorsatz, vicepresidente dell’IPCC e coordinatrice del rapporto sui cambiamenti climatici e città, atteso per il 2027 e di cui è stato presentato una stesura preliminare. Greenreport ha incontrato la scienziata ungherese al margine della conferenza promossa a Roma dalla John Cabot University in cui ha presentato alcuni esempi di architettura urbana sostenibile.
Tra gli esempi di edilizia verde, colpisce il retrofitting del Politecnico di Vienna (TU). L’edificio risalente agli anni ’60, ha subìto lo scorso decennio, un rilevante processo di trasformazione con materiali di costruzione tecnologicamente avanzati e adottando misure di efficientamento energetico che hanno permesso alla sede universitaria viennese di consumare 88% in meno di energia. Un traguardo raggiunto grazie anche all’analisi preventiva di 9.300 apparecchiature e dispositivi elettronici operativi all’interno dell’ateneo ai fini della loro ottimizzazione energetica. Ad esempio, oggi il calore dei server IT contribuisce al teleriscaldamento dei circa 14 mila metri quadrati di superficie; mentre gli undici piani della facciata dell’edificio sono integrati con un impianto fotovoltaico. Risultato: l’edificio che ospita oltre 2.600 persone tra studenti e personale di staff, non solo ha conquistato la neutralità carbonica ma ha un bilancio energetico positivo. Ovvero l'energia totale impiegata per la ventilazione, riscaldamento, l’acqua e tutti le apparecchiature in uso nell’edificio, è minore rispetto alla sua produzione di energia.
Intervista
Le città sono più impattate dai cambiamenti climatici?
«Tutti i diversi eventi estremi sono esacerbati nelle città. Ad esempio, gli eventi alluvionali sono ancora più esasperati perché le città sono coperte di cemento. Le superfici delle città sono sigillate, quindi le inondazioni sono più veloci e più estreme. Le ondate di calore sono esacerbate a causa dell'ampia copertura urbana di cemento pensate come difesa dal sole, ma in realtà possono aggiungere anche 5 gradi in più a un'ondata di calore. La siccità colpisce maggiormente le città, che hanno bisogno di molta acqua e quindi quando c'è carenza d'acqua, c’è stress idrico, le città sono le prime a esaurire l'acqua. Quindi sì, le città sono particolarmente colpite dai cambiamenti climatici e le comunità urbane sopportano più degli abitanti al di fuori delle città».
In una prospettiva cittadina, le politiche sul cambiamento climatico dovrebbero favorire più la mitigazione o l'adattamento?
«È fondamentale che le città si concentrino sia sulla mitigazione che sull'adattamento. Ovviamente la mitigazione ha benefici globali, mentre l'adattamento ha benefici locali. Quindi è chiaro che le città dei Paesi sviluppati, le cui emissioni sono storicamente elevate, hanno una grande responsabilità nella mitigazione. Mentre le città più povere e quelle dei Paesi più poveri hanno compiti più immediati di adattamento e prevenzione dei disastri legati al clima».
Dato che le azioni adattative producono risultati in modo più semplice, più rapido e con costi marginali inferiori rispetto a qualsiasi misura realistica di riduzione delle emissioni di carbonio, non dovremmo privilegiarle?
«Non possiamo fare solo l'una o l'altra cosa. A livello globale è fondamentale che le città in generale facciano entrambe le cose, dato che le città sono responsabili di circa 70% di tutte le emissioni. Le città sono anche il luogo in cui avviene molta innovazione e l'azione globale è la più importante. Quasi l'80% del PIL globale è generato nelle città. Ciò significa che un enorme impatto sulla riduzione delle emissioni proviene soprattutto dalle città. È importante attivare la mitigazione perché concentrarsi solo sull'adattamento avrà i suoi limiti ed è inutile oltre un certo aumento della temperatura. Raggiungiamo sempre più spesso questi limiti. Quindi, nel lungo periodo, la migliore strategia di adattamento di massa è in realtà quella di mitigare e solo in un secondo momento prevenire i maggiori impatti climatici».
Il rapporto si incentra di più sulla tecnologia o sulle soluzioni basate sulla natura?
«Soluzioni basate sulla natura e soluzioni basate sulla tecnologia: abbiamo bisogno di tutte le carte in tavola. Dobbiamo considerare tutte le diverse soluzioni e la loro applicabilità deve essere contestualizzata, specifica per ogni caso, cultura, luogo e clima. Non esiste una risposta univoca. Si basa davvero sul problema effettivo che si vuole risolvere e sull'effettivo spazio di soluzione, sulle opportunità di soluzione, sulle loro scelte e, naturalmente, sui costi. Detto questo, a parità di condizioni, è meglio considerare prima le soluzioni basate sulla natura, perché di solito hanno molti più co-benefici. Ad esempio, se si pensa agli alberi urbani per adattarsi alle ondate di calore, attraverso l’ombreggiamento con il verde, si hanno molti altri co-benefici. Per esempio, a trarne vantaggio sarà anche la salute mentale, la salute fisica, i valori immobiliari, l'immagazzinamento del carbonio e potrei continuare a lungo. Quindi, l’integrazione degli alberi urbani nel tessuto urbano comporta molti benefici collaterali davvero importanti. Se è possibile effettuare una scelta, le soluzioni basate sulla natura sono da privilegiare. Se, per qualche motivo non ci sono alternative, ai fini dell'azione climatica le soluzioni basate sulla natura o le opportunità tecnologiche si equivalgono».
Il rapporto si rivolge soprattutto agli urbanisti e ai gestori delle città. Ma anche i cittadini possono svolgere un ruolo?
«Certamente, nei rapporti dell'IPCC ci occupiamo anche dei singoli cittadini, anche se è vero che il pubblico principale dei nostri rapporti è costituito dai responsabili politici, ma alla fine anche loro sono eletti dagli individui. Quindi, se c'è una cosa che sottolineare è che i cittadini dovrebbero essere semplicemente informati. È davvero importante che chiunque viva in un luogo sia ben consapevole sul proprio clima, sui propri rischi specifici e soprattutto rispetto al contesto in cui vive e lavora. Inoltre, è fondamentale essere a conoscenza delle opzioni di risposta ai disastri. Se succede qualcosa, cosa posso fare, ma anche conoscere le opportunità di prevenzione dei disastri. Come si può evitare di essere esposti a eventi legati al clima o di essere vulnerabili agli impatti legati al clima. Perché si può essere esposti. Ma se si dispone di meccanismi di prevenzione o protezione, come un'assicurazione o altri modi per proteggersi, si è molto meno vulnerabili».