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Intervista al presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci

«Da Fulco contributo fondamentale all’ambientalismo, una fortuna aver fatto un tratto di strada insieme»

«Le impostazioni iniziali di WWF e Legambiente erano parallele ma non sovrapponibili, subito avviammo azioni comuni». La foto per il centesimo numero della Nuova Ecologia e quella volta, per la manifestazione contro il nucleare all’indomani di Chernobyl, che venne preparata una corona di fiori da portare all’ambasciata russa
 |  Interviste

«Nella difficile situazione che stiamo vivendo avremmo tanto bisogno del suo entusiasmo e del suo pragmatismo. È una fortuna aver fatto un tratto di strada insieme». Ermete Realacci ricorda Fulco Pratesi, nel giorno in cui a Roma si tengono le esequie del fondatore del WWF Italia. I due si erano conosciuti nel corso di un periodo che il presidente della Fondazione Symbola definisce «molto innovativo e creativo, all’inizio degli anni ’80, segnato dall’apparire di istanze protezioniste e ambientaliste». Il Panda era già sulla scena italiana da una quindicina di anni: «Esistevano solo quattro Parchi Naturali – ricordava lo stesso Pratesi nell’ultima intervista sul numero di Panda del settembre 2024, pubblicata in occasione dei suoi 90 anni – non c’era neppure un articolo di legge col quale poter istituire un’area protetta per gli uccelli, la caccia era aperta fino al 30 aprile. Si potevano uccidere, legalmente, lupi e gufi reali, aquile e lontre, fringuelli e pispole. Scelsi di fare qualcosa di concreto: prendere una riserva di caccia e salvarla. Partii dalle paludi, le aree più odiate». La “Lega per l’ambiente”, come si chiamava in origine Legambiente, di cui Realacci è stato presidente dal 1987 al 2003 (oggi è presidente onorario del Cigno verde) muoveva i primi passi con battaglie contro lo smog e il nucleare, le discariche abusive e le ecomafie. 

Intervista

Arrivaste sulla scena che il WWF Italia era già una realtà consolidata: perché quella scelta?

«Le impostazioni iniziali erano parallele ma non sovrapponibili. Il WWF era più teso a organizzare e gestire una rete di aree protette e più attento a motivazioni protezionistiche. Legambiente nasce invece con un taglio più ecologista, ambientalista, molto più spostato sui temi dell’energia, del nucleare, dell’inquinamento, con un’impostazione, anche culturale, che era quella che Ciampi avrebbe definito “ambientalismo di stampo umanistico”».

Com’erano i rapporti tra le associazioni, all’inizio?

«Abbastanza rapidamente, insieme anche a Italia Nostra, si creò una specie di triplice, che era un po’ analoga a quella oggi rappresentata sempre da WWF e Legambiente insieme a Greenpeace. C’era un’azione comune, in cui prendeva poi più peso una o l’altra associazione a seconda dei temi trattati. Per esempio, noi ci impegnammo molto nella battaglia contro il nucleare, con la manifestazione del 10 maggio 1986 e non solo. Però Fulco è sempre stato dotato di un suo istinto particolare. Per dirgliene una: per quella manifestazione, che praticamente unici in Europa organizzammo dopo il disastro nucleare alla centrale di Chernobyl, pensai di preparare una corona di fiori da depositare davanti all’ambasciata russa, con la scritta “Per i morti presenti e futuri di Chernobyl”. Il percorso del corteo consentiva di passare lì davanti, e appena Fulco lo seppe venne subito insieme a noi a portare quella corona di fiori».

Che definizione darebbe, di lui, del suo modo di portare avanti le battaglie per difendere la natura?

«Sicuramente era un pioniere, nel senso che apriva nuove strade in diversi territori, anche ricorrendo a una sorta di provocazioni, come quando in qualche intervista disse che aveva ucciso una zanzara e si era pentito di questo “errore”, o quando ammoniva contro lo spreco di acqua dicendo che la doccia è un sistema di igiene personale che non condivideva. Sicuramente, possiamo anche dire, era un battitore libero del pensiero, un fantasista, figura di cui c’è sempre un gran bisogno in qualunque squadra che aspiri al successo. Ed era ovviamente un gran conservazionista: non c’è neanche bisogno di aggiungere commenti, circa quel che ha fatto per la conservazione in Italia della natura, che amava rappresentare splendidamente anche nei suoi acquerelli. Era infatti anche uno straordinario artista della natura. Ho in casa un magnifico acquerello sullo svasso maggiore, che mi regalò in occasione del mio matrimonio: inutile dire che fu lui a indicarmi quale fosse la specie di uccello ritratta nel dipinto».

Qual è il suo lascito principale, secondo lei, nel modo di portare avanti le battaglie per la natura?

«Leggendo e ascoltando ciò che lo riguardava in questi anni e leggendo e ascoltando quel che è stato detto in questi giorni, sicuramente la sua scomparsa addolora la comunità del WWF e tutti gli ambientalisti. E penso debba colpire anche chi non lo seguiva o lo conosceva, ma ha a cuore l’idea di un’Italia più pulita, più civile, più gentile, e per questo più attenta alle ragioni dell’uomo e della natura. È chiaro che il suo contributo è stato molto importante per formare e appassionare generazioni di naturalisti, accompagnandoli anche fisicamente in tutta Italia. Fulco era una persona molto simpatica e attiva, con un atteggiamento positivo e ottimista nei confronti della vita, il contrario di alcuni ambientalisti cupi che, per me, invitano poco a un’azione comune». 

Si può essere “battitori liberi”, come diceva, e impegnati in “un’azione comune”?

«Certamente, e Fulco lo è stato. La sua creatività, non sempre condivisa, incuriosiva ed apriva nuovi spazi. Penso ad esempio alla popolarissima rubrica “Ecologia domestica” de La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 il pensiero e l’attivismo che si aggregò intorno alle maggiori associazioni ambientaliste ebbe una fase di grande effervescenza e ottenne importanti successi: dallo stop al nucleare con il referendum dell’87 alla Legge 394 del ‘91 che creò una nuova rete di parchi nazionali e aree protette, fino a un più generale e profondo cambiamento in tante parti dell’opinione pubblica, delle istituzioni, dell’economia, sulla necessità di tutelare la natura».

C’è una foto che le piacerebbe venisse conservata come immagine simbolo di quegli anni?

«Ce n’è una proprio della redazione e dei collaboratori di Nuova Ecologia, allora diretta da Paolo Gentiloni, che rappresenta, seppur parzialmente, quale fosse il dream team dell’ambientalismo in campo in quegli anni».

Era il 1992, il direttore era Gentiloni, nella foto alla sua sinistra, ma a tenere in mano in bella vista la rivista arrivata al numero 100 è Pratesi.

«Fulco e il WWF diedero un contributo fondamentale all’ambientalismo. La sua competenza, i suoi tanti talenti, la sua prorompente vitalità, mitigata dalla saggezza dell’amatissima Fabrizia, sono stati determinanti. E sono continuati nei decenni successivi. Nella difficile situazione che stiamo vivendo avremmo tanto bisogno dell’entusiasmo e del pragmatismo di Fulco. Ha vissuto una vita intensa e positiva. Posso dire che è stata una vera fortuna aver fatto un tratto di strada insieme a lui».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.