
Idraulico, fluviale, pluviale: per difenderci dal clima che cambia dobbiamo conoscere i vari volti del rischio

I cambiamenti climatici stanno modificando la percezione e la realtà dei rischi idraulici: cambia il regime delle piogge, allagamenti locali si aggiungono alle vere e proprie alluvioni e il suolo delle città è sempre più impermeabile e per questo meno resiliente. Per approfondire il tema abbiamo intervistato l’economista Mauro Grassi, già direttore di #italiasicura – la Struttura di missione dei Governi Renzi e Gentiloni contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche – e oggi direttore della Fondazione Earth and water agenda (Ewa).
Intervista
A che punto siamo con la conoscenza scientifica sul rischio idraulico, abbiamo strumenti reali per prevenire e programmare?
«Dobbiamo fare delle distinzioni. Esiste prima di tutto il “rischio fluviale”, ovvero quello legato ai fenomeni di straripamento dei fiumi dai loro argini naturali o artificiali a seguito di intensi e prolungati periodi di pioggia, insomma le “alluvioni”. Oggi disponiamo di una buona cartografia del rischio “fluviale”, ovvero siamo abbastanza in grado di dire quali sono le aree a maggior rischio nel caso un fiume esca dagli argini e generi una esondazione. La mappa Idro-geo di Ispra consente di prevedere i livelli di rischio di ogni area della Toscana con una determinata scala di gravità. Ovvero: se un fiume esonda la mappa ti dice quali aree rischiano di andare sotto il livello dell’acqua più di altre. Sono mappe basate sulle serie storiche e su modelli previsionali elaborati con diverse tecniche, ma tutte ormai abbastanza affidabili. L’ingresso della IA nella modellistica farà fare nel prossimo futuro ulteriori passi avanti in questo ambito. Sia in termini di previsione. che in quelli della valutazione degli interventi per la mitigazione e la gestione del rischio».
Quindi possiamo prevedere con precisione dove avverranno le alluvioni?
«Purtroppo, non tutti i modelli sono in grado di prevedere in dettaglio il punto in cui un fiume rischia di più di uscire dagli argini naturali o artificiali e quali saranno i reali effetti sul territorio. Quindi sono importanti anche, a supporto, le conoscenze storiche dei contesti locali, i meccanismi locali di monitoraggio e di controllo e la gestione in “nowcasting” delle allerte locali che possono precedere di qualche ora gli eventi calamitosi».
Ma il rischio “fluviale” è legato anche alle rotture degli argini, non solo al loro superamento, giusto?
«Esatto, le alluvioni possono dipendere anche dalla rottura di argini, a seguito di mancata manutenzione, di attività di scavo di tane e gallerie da parte di animali, di pressione idraulica prolungata e anche di “fragilità nascoste” nelle strutture di contenimento. Come è successo recentemente in Romagna o nella Piana pratese. Gli attuali modelli non consentono di prevedere dove un fiume può “rompere” un argine anche se possono essere fatte analisi “ad hoc” per capire lo stato interno delle strutture. Ma si tratta di attività costose che non possono essere fatte in maniera generalizzata. Questo è un problema che deve essere affrontato con una attività di monitoraggio, manutenzione e controllo costante su tutti i manufatti di protezione idraulica specie laddove i danni da eventuali rotture degli argini o delle spallette possono procurare danni di particolare entità».
Ma non ci sono solo le alluvioni: il rischio ultimamente deriva spesso dalle bombe d’acqua, da fenomeni di piovosità estremi localizzati, con aree specifiche che si allagano non perché esonda un fiume.
«Esatto. Per questo tipo di rischio esistono le mappe del rischio “pluviale”, che dovrebbero cogliere proprio le fragilità dei territori connesse a fenomeni estremi di piovosità, concentrati sia territorialmente che temporalmente. Su questo versante, oggi molto attenzionato, si è fatto meno. L’Autorità di Bacino ha messo on line una mappa con gli eventi estremi (oltre 50 millimetri di pioggia) basata sull’analisi degli ultimi decenni. È una mappa che indica il rischio di evento estremo e che una volta soprammessa ai dati di uso del suolo può indicare il rischio di flash flood urbano. È un primo passo importante per l’analisi del rischio pluviale, anche se necessiterebbe a livello di ogni singolo Comune l’individuazione del rischio allagamento attraverso informazioni puntuali con l’indicazione dei sottopassi, delle pendenze stradali e degli avvallamenti urbani.
Su questo punto c’è molto lavoro ancora da fare, integrando le fonti informative sulla piovosità coi dati del reticolo idraulico e fognario (acque miste e acque chiare), la dimensione delle fognature, la rete delle caditoie, le pendenze e l’interconnessione fra sistema di drenaggio urbano e reticolo idrografico. Insomma, un lavoro di integrazione di dati e fonti informative molto dettagliato e localizzato, che dovrebbe essere capace di attribuire ad ogni abitazione, strada, o quartiere, un coefficiente di rischio di allagamento “pluviale”. Una cartografia tematica di questo tipo dovrebbe essere alla base della programmazione degli interventi sia di riduzione del rischio (opere idrauliche, pulizia caditoie) che di adattamento (piani di emergenza), che di informazione e allerta a popolazioni e attività economiche (incluse le valutazioni sulle polizze assicurativa) e la gestione delle eventuali emergenze (dove localizzare i punti di accumulo dei materiali e di sicurezza per i cittadini)».
Qualche proposta?
«Occorre un salto di qualità prima di tutto culturale e informativo sul rischio idraulico, con cui purtroppo dovremo abituarci a convivere. Quanti di noi hanno fatto una esercitazione collettiva di zona per simulare un evento di esondazione o allagamento? Nessuno… Occorre un’azione tesa a informare e rendere consapevoli i cittadini e le imprese del rischio potenziale, senza fare allarmismi, ma fornendo a tutti una “cassetta degli attrezzi” per prevenire e gestire il rischio e conoscerne la probabilità.
I piani comunali di protezione civile dovrebbero essere conosciuti dai cittadini e non restare come documenti “morti” negli archivi. Le nuove tecnologie dell’informazione, come ChatGpt e i suoi fratelli, potrebbero dare una mano nel rapporto fra amministratori, tecnici e cittadini. Disponiamo di un ottimo servizio di previsione meteo e allerta, cosi come disponiamo di un eccellente servizio regionale di protezione civile. Occorre sviluppare la parte di mezzo, attraverso investimenti in interventi di protezione idraulica sia micro (caditoie) che macro (casse di espansione, serbatoi, invasi); la cartografia tematica del rischio sia di alluvione che di allagamento consentirebbe di individuare gli “hot spot” a maggior rischio, programmando con razionalità gli interventi e la spesa, partendo prioritariamente dalle aree a maggior rischio. È impossibile intervenire in tempi rapidi su tutto il territorio contemporaneamente. Per questo servono l’analisi tecnico scientifica, le mappe tematiche e i modelli previsionali. E una sana e mai insostituibile conoscenza storica e attualizzata del territorio».
