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Alle grandi città vengano affidati direttamente i fondi europei sui progetti

«La mia Europa. Ripartire dalle città e dai cittadini, e dal Green deal contro la crisi climatica». Parla Dario Nardella

Le aree urbane sono il primo avamposto della lotta alla crisi climatica, l’Ue può e deve fare moltissimo ma ripartendo dal basso
 |  Interviste

Dario Nardella si sente a casa. Forte di uno strepitoso consenso elettorale è già a Bruxelles, dove prepara cinque anni di battaglie europarlamentari per far vincere quello che definisce come “il mio sogno dell’Europa delle città”.

Mentre il cuore politico del continente è in fibrillazione per l’inattesa avanzata dell’ultradestra dell’estremismo euroscettico, lavora ad un format europeista ambizioso e innovativo che incuriosisce molti suoi colleghi e, chissà, potrebbe riservare sorprese positive.

È il disegno di un rilancio vitale delle istituzioni comunitarie e dell’europarlamento con nuove connessioni strutturate con le aree urbane, e quindi con i cittadini.

Lo elabora in questa fase di negoziati per le alte cariche in fase di stallo, con il governo italiano ad oggi fuori dai grandi giochi. In questa intervista spiega il senso della sua proposta che nasce dal bisogno di rafforzare immagine dell’Ue e farla rivivere tra i cittadini europei come antidoti anche all’avanzata delle destre negazioniste tout court, degli antiscettici e di chi frena su questioni vitali come la lotta al cambiamento climatico e spera nell’onda nera che travolga il Green deal.

Intervista

Ancora per qualche giorno da sindaco, a Bruxelles sei pronto a lanciare la tua idea di riforma delle istituzioni comunitarie. Cosa dovrebbe cambiare?

«Io parto da una constatazione: anche se le elezioni europee hanno sostanzialmente riconfermato la maggioranza dell’europarlamento uscente, da tempo l’Unione europea ha un estremo bisogno di risintonizzarsi coi cittadini europei, e quindi con le città. È lì che batte forte il cuore dell’Europa. Deve innanzitutto ascoltarle e coinvolgerle in pieno per riscoprire quelle tante reti sociali e energie positive che possono sostenere la nuova Europa, rafforzando il senso di appartenenza e di grande solidarietà tra le diverse realtà nel nostro continente».

Perché le città?

«Perché è lì che incontri e stai con le persone, perché sono le aree front line dove si giocano le partite della vita europea, della difesa sociale e della qualità della vita e dell’ambiente, è lì che devi mettere a terra infrastrutture per l’adattamento climatico, per lo sviluppo delle rinnovabili, per l’economia circolare nella gestione dei rifiuti, per la buona gestione dell’acqua e delle reti idriche, per la mobilità sostenibile, per la cultura e le innovazioni.
Io ho questo sogno, io sogno l’Europa delle città e dei cittadini, e mi ispira l’europeismo che mi ha insegnato un grande fiorentino come David Sassoli con la sua storia così bella e inclusiva, l’opposto esatto di quello in cui credono le destre estreme senza cuore europeo.
Io porto con me qui a Bruxelles, come altri colleghi sindaci, dieci anni per Firenze che sono stati fantastici perché quotidianamente sono stato tra le persone e i loro problemi da risolvere, e questo training ti fa maturare e elaborare soluzioni per l’Europa. Un sindaco deve avere questa ambizione, far sì che l’Europa sia sentita dai cittadini come qualcosa di bello, direi anzi come qualcosa di familiare».

Sei stato anche presidente di Eurocities, la più grande alleanza urbana europea, rappresentando le principali città con più di 250mila abitanti. Hai in mente l’Unione europea delle città sostenibili?

«Perché no? Io parto da un paradosso: oggi tutto è connesso eppure mancano le connessioni tra l’Europa e le aree urbane. Non c’è futuro per l’Europa senza le città. Dalle crisi – sia economiche che climatiche o pandemiche – si esce solo se le città entrano pienamente nel campo di gioco dell’Unione, e oggi se avranno un ruolo attivo, ad esempio, nella gestione del Green deal che dovrà essere rafforzato, nelle politiche culturali o per l’innovazione digitale.
Ci vuole poco a capire che le aree urbane sono il primo avamposto della lotta alla crisi climatica, e che l’Europa può e deve fare moltissimo ma ripartendo dal basso, includendo e rimettendo in circolo nuove energie positive anche per rilanciare l’ambizioso sogno europeo».

Per essere in sintonia con le città e i cittadini, in concreto cosa deve cambiare?

«Presenterò innanzitutto una richiesta ai colleghi dell’Europarlamento e alla futura Commissione europea affinché alle grandi città possano essere affidati direttamente i fondi europei sui progetti, con accesso diretto ai finanziamenti.
Le grandi città sono generalmente molto ben governate e dimostrano di saper pianificare, realizzare e rendicontare al pari e spesso anche meglio di tanti Stati e Regioni. Affidare queste responsabilità al livello cittadino ridurrebbe i tempi estenuanti delle procedure e aumenterebbe la fiducia dal basso verso l’Unione. C’è bisogno di questa svolta e di questo avvicinamento e di questa consapevolezza. Del resto, noi non viviamo nelle aree urbane dove si produce l’80% dei rifiuti che poi devono essere raccolti e smaltiti, dove si emettono le tonnellate di CO2 che devono essere eliminate, dove si consuma l’80% dell’energia prodotta?»

Le città quindi possono diventare, come tu dici, potenti laboratori di innovazione anche per la transizione green ed energetica?

«Certo. Accedendo direttamente agli investimenti europei si possono estendere il più possibile le nuove politiche urbane con nuove strategie che aggrediscano i problemi e senza abbandonare, come accade, tante città al loro destino. Serve una regia su scala continentale che consenta di avere in real time un quadro chiaro e ben monitorato delle necessità delle aree urbane, che riesca a recepire quella spinta dal basso nell’azione sistemica, strategica e inclusiva dell’Unione.
L’Europa, in fondo, più che un insieme di Stati nazionali è un insieme di città europee. Perché nasce con le città e dalle città, e invece io noto che nell’Europarlamento non c’è mai stata una commissione dedicata alla grande questione delle aree urbane! Ci sono tante commissioni su tutto, ma non sulle città! Non c’è stata finora una sufficiente sensibilità, per le città non ci sono stati sufficienti fondi europei. E anche il nostro Pnrr, per il quale mi batterò perché non sia solo temporaneo, non è gestito dalle città».

L’accesso diretto per le città ai fondi europei cambierebbe lo scenario comunitario?

«Sì. Perché significa ascoltare le città e dar loro più voce e un ruolo guida nelle decisioni finali della programmazione delle politiche dell’Unione. Oggi le linee di finanziamento passano direttamente dall’Europa ai governi e poi dai governi alle regioni, con le città sostanzialmente fuori dai giochi. Secondo me va creata una linea di accesso urbana ai fondi, anche condivisa con i livelli regionali, ma a finanziamento diretto per garantire più rapidità. Si trascura sempre il fattore tempo che è determinante, e le nostre città da percettori passivi di finanziamenti possono essere protagoniste in una cabina di regia dell’Ue con le rappresentanze dei sindaci. Un modello positivo che potremmo esportare dall’Italia è quello della nostra Conferenza Stato, Regioni ed Enti locali».

Torniamo a Firenze, che definisci come “la più piccola città globale del mondo”. Nei tuoi dieci anni da sindaco, quale impronta hai lasciato?

«Spero quella molto apprezzata dai cittadini. Che significa tanti cantieri aperti per una città viva, che si trasforma, e scelte che hanno molto migliorato l’ambiente urbano, la vivibilità e la sostenibilità, la mobilità più ecologica con infrastrutture indispensabili, tecnologie smart nei servizi al cittadino per la gestione dei rifiuti e dell’acqua. Io mi sono dato, fin dal primo mandato, obiettivi di sviluppo a forte impronta green.
La mia Firenze è stata a “cemento zero”, con investimenti in rigenerazione di aree, giardini nuovi o riqualificati, orti urbani, operazioni strutturali per la nuova rete di trasporti sostenibile dove abbiamo investito molto sulle linee tramviarie con benefici apprezzati dai fiorentini, migliaia di auto in meno al giorno e l’abbattimento annuo di migliaia di tonnellate di CO2. Dal carsharing al bikesharing, dalle piste ciclabili alle aree pedonali e allo ’scudo verde’ abbiamo preservato la città dai veicoli più inquinanti».

Il cuore politico dell’Europa è in forte fibrillazione per l’inattesa avanzata dell’ultradestra soprattutto in Francia e in Germania, due paesi che hanno trainato un’idea di Europa. L’onda negazionista del riscaldamento globale rischia di fare danni. Con questi sconquassi elettorali sono molto più complicate le nuove politiche green?

«Le destre, e non solo, proveranno sicuramente a frenare e bloccare il Green deal e le misure ambientali e per la lotta climatica. Da Meloni a Salvini si trascinano tesi già viste e che hanno fatto molti danni visti già ai tempi dei No Vax. Proveranno a farli contro le azioni di mitigazione e adattamento climatico, anche polarizzando un dibattito che finisce per vedere contrapposti alle destre negazioniste alcune minoranze che teorizzano la decrescita infelice, quelli che pensano di fermare il global warming continuando con la sfilza dei No a tutto.
È un rischio perché in uno scontro del genere ci rimettono solo le politiche lungimiranti coraggiose e pragmatiche. Ma non vedo l’ora di affrontare queste sfide! Di lavorare per nuovi fondi strutturali, dal piano agricolo comunitario alle aree interne e urbane, e per il rafforzamento del Green deal. E siamo e saremo argine e garanzia con il risultato straordinario del Pd contro chi soffia sul putinismo o sulla grande questione migratoria attaccando solidarietà e concrete soluzioni green. Anche per questo, è l’ora di aprire all’Europa delle città».

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.