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Per i cetacei che si immergono in profondità la plastica ha lo stesso suono del cibo

Gli animali che cacciano al buio con il sonar potrebbero non essere in grado di distinguere la spazzatura dai calamari
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Secondo lo studio "Acoustic Signature of Marine Plastic Debris Mimics the Prey Items of Deep-Diving Cetaceans", pubblicato su Marine Pollution Bulletin da un team di ricercatori del Duke University Marine Lab, ha sottoposto alcuni rifiuti di plastica trovati sulla spiaggia a test acustici subacquei e ha scoperto che «Per i cetacei che cacciano con le onde sonore nelle buie profondità dell'oceano, un palloncino di plastica rotto e un delizioso calamaro sembrano essere sorprendentemente simili». I ricercatori scrivono che «Il cento per cento dei detriti marini di plastica analizzati ha una potenza acustica simile o superiore a quella delle prede di cetacei».

Il principale autore dello studio Greg Merrill della Nicholas School of the Environment della Duke University, spiega che «Queste firme acustiche sono simili e questo potrebbe essere il motivo per cui questi animali sono portati a consumare plastica al posto delle loro prede o in aggiunta ad esse».

Per trovare cibo al buio, i cetacei odontoceti che si immergono in profondità, come i capodogli (Physeter macrocephalus), i capodogli pigmei (Kogia sima) e gli zifi (Ziphius cavirostris), emettono schiocchi e ronzii da una struttura simile a una corda vocale vicino ai loro sfiatatoi. Questi suoni vengono trasmessi all'acqua circostante dalla struttura bulbosa a "melone" piena di olio sopra le loro bocche. I suoni che rimbalzano dagli oggetti nell'acqua vengono ricevuti da organi di rilevamento pieni di grasso nelle loro mascelle inferiori e inviati all'orecchio interno e quindi al cervello per l'interpretazione. Questo sistema li ha serviti bene per almeno 25 milioni di anni. Ma la plastica oceanica come shopper, corde e bottiglie è un problema crescente e viene trovata  regolarmente nelle viscere deli cetacei spiaggiati e di altri animali come le tartarughe marine.

Merrill e il suo team, che hanno lavorato Merrill ha lavorato a questo progetto con gli scienziati dei laboratori marini vicini gestiti dalla NOAA, dalla North Carolina State University e dalla University of North Carolina – Chapel Hill, volevano testare le firme acustiche dei materiali per vedere se i cetacei venivano confusi  dalla plastica. Dopo aver raccolto  un po' di spazzatura marina di plastica incrostata di cirripedi sulle spiagge di Beaufort e della vicina Atlantic Beach nella North Carorila. i ricercatori l'hanno testata in mare con il sonar transponder della nave R/V Shearwater del Duke Marine Lab. Merril spiega che «Erano sacchetti di plastica, palloncini, cose che si osservano comunemente nello stomaco dei cetacei spiaggiati».

Gli scienziati hanno creato un'attrezzatura a forma di H con lenza da pesca con pesi sul fondo per tenere i campioni da 4 a 5 metri sotto il transponder, che e sul fondo di una delle chiglie del catamarano Shearwater, poi hanno eseguito test acustici a tre diverse frequenze sonar, 38, 70 e 120 kilohertz, che coprono la gamma di "clic" utilizzati da diverse specie di cetacei che si immergono in profondità. Per fare un confronto, hanno analizzato anche dei calamari veri (ma morti) e dei pezzi di becco di calamaro recuperati dallo stomaco di un capodoglio morto. Il risultato è stato che «I rifiuti emettevano quasi sempre rumori simili a quelli del cibo, in particolare pellicole e frammenti di plastica, due elementi particolarmente rumorosi che si trovano più spesso nei cetacei morti. Esistono centinaia di tipi di plastica e le varie proprietà dei materiali, tra cui la composizione (chimica) del polimero, gli additivi, la forma, le dimensioni, l'età e l’esposizione agli agenti atmosferici e il grado di incrostazione, svolgono probabilmente un ruolo nelle risposte specifiche in frequenza osservate».

Merrill conclude: «Forse sarebbe possibile riprogettare alcune plastiche in modo che non abbiano una firma acustica. Ma non credo che sia davvero un'opzione praticabile, perché poi, se la rete da pesca e la lenza sono invisibili, sono cose in cui i cetacei rimangono impigliati. Quindi non vogliamo che non siano in grado di identificare quelle cose».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.