Dalle elezioni un brutto clima, ma la lotta climatica e per la riforma democratica dell’Ue devono continuare
Gli elettori dell'Ue hanno confermato la maggioranza pro-europea. Ad oggi, la maggioranza dell’Europarlamento sarà ancora basata su Ppe, Socialisti e Renew come nella scorsa legislatura. Sarà però importante vedere come si ricomporranno i diversi gruppi, dato che ci sono circa 100 membri che oggi non sono affiliati e molti sono vicini a posizioni di estrema destra.
Ma questa maggioranza non è stabile, poiché i gruppi sono divisi e dovrà fare alcune scelte, in particolare sulla direzione da prendere (Verdi, Ecr o parti di esso?) per aumentare la sua stabilità. I numeri dei gruppi politici non sono definitivi e dovremo rivedere la composizione precisa dei gruppi.
La partecipazione al voto è leggermente aumentata: 51,4%, la più alta dal 1994 e un punto in più rispetto al 2019 (50,66%), ma certamente non quanto sarebbe necessario. E molti Paesi rimangono ben al di sotto della soglia del 50%, Italia compresa e per la prima volta.
I risultati delle elezioni europee lasciano un’impressione di scampato pericolo, perché non è riuscita l’impresa di lasciare i socialisti all’opposizione e rimpiazzarli con una alleanza tra Ppe ed estrema destra, ma il loro potenziale di sconvolgere alcune politiche centrali e la capacità di agire della Ue è reale.
Il Partito popolare europeo ha rafforzato la sua posizione di gruppo politico più numeroso, in crescita rispetto al 2019. I Socialisti&Democratici rimangono il secondo gruppo più grande e perdono un numero limitato di membri. I liberali di Renew subiscono la sconfitta di Macron in Francia e della scomparsa di Ciudadanos in Spagna, ma dovrebbero rimanere il terzo gruppo più numeroso del Parlamento europeo.
I Verdi hanno ottenuto un risultato deludente in queste elezioni europee, in primo luogo a causa delle pesanti perdite in Germania ma soprattutto in Francia. È interessante notare, tuttavia, che oggi ci sono più Paesi con una rappresentanza verde rispetto al 2019 e in alcuni Paesi come Danimarca, Paesi Bassi e Svezia hanno aumentato il numero di eurodeputati.
I Verdi hanno dichiarato di essere pronti a dare il loro sostegno a Von der Leyen ma per il momento, e nonostante alcune dichiarazioni in questo senso da parte del candidato leader socialista prima delle elezioni, non c'è alcuna volontà esplicita in questo senso espressa da parte di Ppe e Liberali.
L'avanzata dell'estrema destra sembra quindi più limitata di quanto si temesse. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei per ora si ferma al quarto posto, quello di Identità e Democrazia al quinto. Tuttavia, entrambi potranno attingere da un gruppo di eletti di partiti che non sono ancora affiliati e che appartengono in gran parte ai sovranisti o all'estrema destra.
Sebbene i socialisti abbiano esplicitamente escluso qualsiasi collaborazione con l'Ecr e l'Id, è ancora possibile che ci sia un'apertura verso Fratelli d'Italia della Meloni e altri gruppi più accettabili dell’estrema destra piuttosto che verso i Verdi: una sorta di strategia “pick and choose” già prevista da Ursula von der Leyen durante il dibattito sui candidati leader di maggio.
Dunque, Ursula von der Leyen e il Ppe continueranno molto probabilmente a governare l'Ue per i prossimi cinque anni. Ma la destabilizzazione provocata in Francia e Germania dall'avanzata dell'estrema destra e la sua sostanziale normalizzazione avrà un impatto non solo su alcune scelte politiche specifiche nel Parlamento europeo – come il Green deal e le migrazioni –, ma anche sul Consiglio europeo, in particolare dopo la decisione del presidente Macron di indire a sorpresa elezioni lampo estremamente rischiose.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha infatti annunciato lo scioglimento dell'Assemblea nazionale e ha indetto elezioni legislative anticipate tra il 30 giugno e il 7 luglio. Nonostante il sistema elettorale a due turni non permetta di scommettere per certo su una vittoria che dia una maggioranza utile al governo al Ressemblement National, che ieri ha ottenuto il 30% dei voti (il doppio della lista di Macron), potrebbe comunque succedere che la Francia si ritrovi con un governo guidato dal partito di Marine Le Pen e di Bardella, l’enfant prodige della politica francese.
Secondo molti commentatori, Macron sarebbe pronto a una coabitazione con un governo guidato dal Rassemblement National, nella speranza che si dimostri incapace di governare. Ma Marine Le Pen, definitivamente legittimata come forza credibile di governo, potrebbe incolpare Macron dell’eventuale inefficacia del suo governo ed essere eletta nel 2027.
Il popolo francese, ma anche l'Ue, pagheranno sicuramente un caro prezzo se questo scenario dovesse concretizzarsi e comunque da qui al 2027 saremmo di fronte a una Francia in una situazione di grave instabilità e incertezza.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la sua coalizione sono usciti fortemente indeboliti dalle elezioni europee, dopo che la Spd è stata superata dal partito di estrema destra Alternativa per la Germania e dai conservatori della Cdu-Csu; anche i Verdi hanno perso molti voti.
Già poco chiara nelle sue intenzioni e dubbiosa su molti temi, come spiega David Carretta sul suo Europa7, sarà molto difficile che la Germania di Scholz possa avere un ruolo di traino positivo, soprattutto considerando la mancanza di coesione della sua maggioranza. Non è però molto probabile che il governo tedesco cada prima della sua scadenza nel 2025.
Ma in un momento molto difficile per la guerra in Ucraina, il conflitto a Gaza e l'emergenza climatica, la Francia e la Germania sono fortemente destabilizzate e questo avrà un impatto sul resto dell'Ue.
E l’Italia? Il dato più preoccupante è senz’altro quello dell’astensione, che per la prima volta arriva a superare il 50%. A mio modo di vedere ci sono molti padri e madri di questa grave situazione, dai media – responsabili massimi – ai partiti, al sistema elettorale davvero demenziale, che con preferenze e quota di sbarramento alta lascia fuori tantissime persone e non favorisce candidati/e giovani e le donne.
In Italia infatti, c’è stata una sostanziale assenza di dibattito e visibilità di candidati e candidate sui media, e in particolare in televisione, secondo regole chiare e in modo da assicurare un dibattito interessante e plurale sui temi concreti e fra i protagonisti diretti della competizione: sono stati praticamente cancellati dai palinsesti, tutti concentrati sulle dispute tra leader che manco sarebbero andati in Parlamento europeo. Stupidaggini come i poster con i fucili, le bravate di questo o quel candidato assurdo, le ciliegie della categoria Giorgia o la X di Vannacci.
Come si può pensare che una opinione pubblica già poco informata, polarizzata e mobilitata per lo più per fare il tifo per questo e quella potesse sentirsi spinta a partecipare a una contesa dai contorni poco chiari, per una entità resa impopolare da anni di propaganda e disinformazione sovranista come la Ue? Molto difficile.
La lezione per i partiti progressisti è che è assolutamente necessario continuare a spingere al massimo per trovare occasioni e strumenti formali e strutturati di partecipazione diretta a tutti i livelli anche europeo.
Perché anche per essere pronti a votare ogni cinque anni è necessario sentirsi parte di una collettività e capire che il voto conta. Il fatto che la metà degli elettori non si sia espresso mette un bemolle su tutti i risultati dei partiti evidentemente, ed è la premessa necessaria a ogni valutazione.
Sarebbe quindi utile per tutti e tutte evitare inutili trionfalismi. Ciò detto, indubbiamente Meloni ha vinto la sua partita di popolarità ma non quella di spedire i socialisti all’opposizione: vedremo che personaggi manderà al Parlamento europeo, e se il suo gruppo o la sua delegazione avrà un ruolo nella definizione dei posti di responsabilità in sede Ue.
Ma è indubbio che esce rafforzata dalle elezioni e dunque sarà forte anche il suo ruolo al Consiglio europeo, che alla fine deciderà su chi guiderà la Ue, pur se l’Europarlamento dovrà dare il suo assenso e non sarà né facile né automatico.
Ottimo risultato anche per Elly Schlein, che ha schierato una serie di amministratori e ex amministratori acchiappa-preferenze e vedremo se alla fine alcune candidature davvero importanti – come quella di Annalisa Corrado – avranno una possibilità di emergere.
Il fatto che i 5Stelle si siano fermati sotto il 10% rende difficile per loro la prospettiva di creare un gruppo autonomo con una serie di eletti sparsi. Ma vedremo in seguito che collocazione intendano scegliere. I Verdi appaiono improbabili date le loro (dei 5stelle) posizioni “pacifiste” e non ostili alla Russia sul conflitto ucraino.
Al suicidio del Centro, guidato da due incorreggibili maschi alfa come Renzi e Calenda che hanno stritolato una Emma Bonino forse un po’ stanca e meno in grado di superarne gli evidenti limiti, corrisponde un risultato positivo della lista Alleanza Verdi e Sinistra, che ha saputo ben calibrare una serie di candidature significative e in grado di attirare voti con forze giovani e dinamiche, che speriamo potranno rappresentare il futuro di queste forze politiche, che indubbiamente lavorano a un’alternativa di governo auspicando l’unità delle forze di opposizione.
A me in particolare interessa soprattutto il futuro dell’opzione ecologista in Italia (e in Europa). Come mi è già capitato di dire e scrivere, non ci possiamo accontentare di numeri risicati nelle istituzioni o di fare un’opposizione efficace. Tutti devono sentirsi mobilitati, non solo per salvare il Green deal, ma per rimettere in carreggiata la nostra democrazia. Associazioni e società civile, politica, mondo economico green, lavoratori e lavoratrici, amministratori… nessuno/a può tirarsene fuori ormai.