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Abbigliamento sportivo, ecologia e finanza: è più sostenibile il low cost o l’alta gamma?
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Credo che spesso gli sportivi si siano trovati al cambio di stagione nel dubbio amletico: scelgo Patagonia e i suoi prezzi di alta gamma o ripiego sul low cost di Decathlon? Ecco una storia per chi si è trovato a dover scegliere.
Esistono dei miliardari reticenti, che non vedono l'ora di liberarsi della qualifica. Il proprietario di Patagonia, un noto marchio di abbigliamento sportivo di alta gamma, nel 2022 ha donato il 98% delle azioni dell'azienda, valutata circa 3 miliardi di dollari, a una organizzazione no profit. Il 2% delle azioni è stato tenuto in mano a una fondazione familiare per controllare che l'organizzazione no profit, proprietaria del restante 98%, effettivamente reinvesta gli utili in progetti di contrasto al cambiamento climatico, l'obiettivo finale del tycoon.
Il proprietario e fondatore di Patagonia avrebbe potuto donare i dividendi della sua azienda a una buona causa, ma questo comportava qualche problema. Per esempio la tassazione sulle donazioni, ma anche il dubbio che gli eredi dell'azienda dopo la sua morte avrebbero potuto spendere i soldi in yacht e ville anziché nella giusta causa che stava a cuore al proprietario di Patagonia, Yvon Chouinard.
Per smettere di essere ricco, e destinare per sempre i suoi asset e i profitti che ne derivano alla sua giusta causa, Chouinard ha fondato un nuovo veicolo finanziario, che pur essendo controllato dalla famiglia ne è staccato e indipendente. Naturalmente Patagonia continuerà a produrre e vendere abbigliamento sportivo, e i frutti di questa attività finiranno nei progetti ambientali suddetti. E questo mi induce a immaginare una nuova e paradossale contraddizione:
Scenario 1: Patagonia produce senza particolare attenzione all'ambiente, diciamo che non si adegua alle regole Esg, e fa 150 milioni di profitti, destinandoli a progetti ambientali;
Scenario 2: Patagonia produce con attenzione all'ambiente, adeguandosi alle regole Esg, e fa 100 milioni di profitti, destinandoli a progetti ambientali.
Come detto, i profitti in entrambi gli scenari vengono devoluti alla no profit che li usa per progetti ambientali. Quale scenario è più amico dell'ambiente? Il primo che devolve 150 milioni o il secondo che ne devolve 100?
Comunque, Chouinard non è più proprietario, tecnicamente, di Patagonia. Che cosa non si fa per smettere di essere miliardari?
Rimanendo nel settore dell'abbigliamento sportivo, tutt'altra storia è quella che un’inchiesta di disclose.ngo ha fatto emergere. Stando ai risultati di questa indagine, ripresa anche tra gli altri da Reuters, Bloomberg e Financial Times, un fornitore cinese di Decathlon sfrutterebbe il lavoro "forzato", anche minorile, di membri della minoranza etnica degli uiguri, permettendo a Decathlon di acquistare a prezzi stracciati i prodotti venduti poi low cost nei suoi store. Questo fa venire il dubbio che la t-shirt a 5 euro o la tuta a 10€ o la bandana a 1€ abbiano una giustificazione poco nobile, se non vergognosa.
Fra Patagonia e Decathlon i compratori di abbigliamento sportivo sembrano in trappola fra mille dubbi e domande.
Parzialmente Estratto da Finanza di strada di Franco Becchis, Castelvecchi editore. © 2024 Lit Edizioni s.a.s. per gentile concessione
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