Crescono i rifiuti urbani generati in Italia, ma mancano gli impianti: esportiamo 1,4 mln ton/anno
L’Istituto nazionale per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha pubblicato oggi il nuovo Rapporto rifiuti urbani, aggiornato con dati relativi al 2023, quando nel Paese sono stati generati 29,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani – ovvero quelli provenienti ogni giorno dalle nostre case e gli “ex assimilati” –, in aumento dello 0,7% (+211 mila tonnellate) rispetto al 2022. Dello stesso tenore la crescita della produzione procapite (+0,5%), segno che qualcosa ancora non funziona in termini di disaccoppiamento (nello stesso periodo il Pil è cresciuto dello 0,7% e la spesa per consumi finali dell’1%). Di fatto, ogni cittadino italiano produce 496 chilogrammi di rifiuti urbani l’anno.
Guardando il bicchiere mezzo pieno anche le raccolte differenziate aumentano (poco, +1,4%), con un dato 2023 del 66,6%; ormai la media italiana è superiore al target di legge del 65%, raggiunto già nel 2022. Restano ancora divari locali (l’obiettivo sarebbe per ambito territoriale ottimale) e regionali, con percentuali del 73,4% al Nord, del 62,3% al Centro e del 58,9% al Sud, dove ancora molte città hanno valori inferiori al 30%. Mentre il nord ormai è vicino alla percentuale di saturazione, margini ci sono per miglioramenti al Centro e al Sud. La Toscana si colloca bene, con un valore esattamente in linea con la media nazionale, molte città sopra il 65% e lo stesso capoluogo Firenze che supera il 55%.
Quasi il 71% dei comuni italiani ha conseguito una percentuale di raccolta differenziata superiore al 65%. Nell’ultimo anno, inoltre, l’88,3% dei comuni intercetta oltre la metà dei propri rifiuti urbani in modo differenziato. Guida la classifica delle regioni il Veneto con il suo 77,7%, consolidato benchmark nazionale.
Nel 2023 tutte le frazioni merceologiche dei rifiuti da imballaggio hanno già ampiamente raggiunto i target di riciclaggio fissati a livello europeo per il 2025, ad eccezione della plastica che comunque è prossima all’obiettivo (48% a fronte di un obiettivo del 50% al 2025). Grazie alle misure messe in atto a livello nazionale, si registra, per questa frazione, un aumento di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2020.
La prima vera buona notizia è che la percentuale di riciclaggio dei rifiuti urbani si attesta al 50,8%, in crescita rispetto alla percentuale del precedente anno (49,2%), e ormai al di sopra dell’obiettivo del 50% previsto dalla normativa per il 2020. In realtà al 2020 l’Italia aveva già raggiunto il target previsto dalla precedente direttiva europea, grazie al fatto che per quell’obiettivo si potevano utilizzare metodi di calcolo diversi da quello attuale.
Il confronto quindi va fatto con il prossimo obiettivo previsto dalla nuova direttiva, ovvero il 55% al 2025, cioè a due anni dal dato presentato oggi. Riusciremo a passare come media nazionale dal 50,8 al 55%? Sembra possibile, soprattutto se si sviluppa la raccolta differenziata nelle regioni del centro sud e in alcune aree metropolitane. La forbice fra differenziata (66,6%) e riciclo (50,8%) è ancora e rimane ampia, a testimoniare un elevato tasso di scarto delle raccolte differenziate e una scarsa incidenza del riciclo proveniente da trattamenti ed impianti. Altro punto che andrà analizzato con cura.
Buone notizie anche sul versante dell’impiantistica di gestione della frazione organica, anche se non tutte le regioni ancora dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti. Il recupero di questa frazione viene effettuato, in maniera prevalente, negli impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico, che passano da 51 a 61 con il 56,8% dei quantitativi trattati, seguito dagli impianti di compostaggio (36,9%).
I rifiuti urbani complessivamente smaltiti in discarica rappresentano il 15,8% dei rifiuti urbani prodotti (in calo del 10,8% rispetto al 2022). Probabilmente si tratta di un dato sottostimato, essendoci ancora difficoltà a conteggiare gli scarti del riciclo dei rifiuti urbani conferiti in discarica come rifiuti speciali. Un dato comunque in traiettoria con l’obiettivo al 2035 di limitare il conferimento in discarica al 10%.
Il dato dell’export dei rifiuti urbani è ancora molto preoccupante, dato che nel 2023 è stato esportato il 4,6% dei rifiuti urbani prodotti, 1,4 milioni di tonnellate, a fronte di 319mila tonnellate rifiuti importati. Campania, Lombardia e Calabria sono le regioni che esportano maggiormente i propri quantitativi. Danimarca, Paesi Bassi, e Germania i Paesi cui destiniamo più rifiuti urbani. Un dato che conferma la cronica mancanza di impiantistica di recupero energetico (viene termovalorizzato il 19% dei rifiuti urbani), perché la maggior parte dei rifiuti esportati sono flussi in uscita dai Tmb/Tm e materiali combustibili.
I dati economici fanno registrare nel 2023 in crescita il costo medio nazionale annuo pro capite di gestione dei rifiuti urbani con 197 euro/abitante (nel 2022 era stato 192,3), con un aumento inferiore alla inflazione. Al Centro il costo più elevato con 233,6 euro/abitante, segue il Sud con 211,4 euro/abitante e infine il Nord con un costo pari a 173,3 euro/abitante.
Col Pnrr sono stati stanziati 2,1 miliardi di euro per investimenti nella gestione dei rifiuti e nei progetti innovativi di economia circolare, e nel Rapporto Ispra sono contenute ed analizzate le istanze ammesse a finanziamento per numero e tipologia.
Due sembrano i focus più importanti: primo, la necessità di dare una spinta al sistema del riciclo per non mancare il target del 55% al 2025, aumentando le raccolte differenziate, riducendo gli scarti e magari rivedendo anche la metodologia di calcolo europea, oggi troppo restrittiva. Secondo: la necessità di aumentare il tasso di recupero energetico, per ridurre ed azzerare l’export e raggiungere l’obiettivo di riduzione del conferimento in discarica. Segnali positivi ci sono anche in questo settore: il nuovo impianti previsto per Roma Capitale, le decisioni assunte in Sicilia, alcuni ampliamenti nel nord est.