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Il blog su Le Monde

Non più armi ma giustizia sociale: l’analisi di Piketty su come «riacquistare fiducia nell’Europa»

Scrive l’economista francese: «Sbagliato seguire Trump e Putin sulle spese militari. E piuttosto che una cura di austerità, l’Ue ha soprattutto bisogno di una cura di investimenti se vuole evitare una lenta agonia, come ben diagnosticato dal rapporto Draghi»
 |  Green economy

È da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca e ha iniziato a dare segnali della direzione che intendeva prendere che Thomas Piketty lancia dalle pagine di Le Monde inviti all’Europa a «uscire dal letargo» e a «basare la sua influenza sul diritto e sulla giustizia», piuttosto che sull’obiettivo di «ammassare carri armati». Ora che si è fatto ancor più evidente il nuovo corso dell’amministrazione Usa nei confronti dell’Ue e ora che a Bruxelles sono entrati nel vivo del programma ReArm Europe, poi ribattezzato in Readiness2030, l’economista francese ha pubblicato nel suo blog su Le Monde un nuovo testo dal titolo «Riacquistare fiducia nell’Europa», che si chiude con queste parole: «La domanda di Europa non è mai stata così forte, i leader devono rispondervi con audacia e immaginazione, al di là dei sentieri battuti e delle false certezze». E quali sono questi sentieri battuti e queste false certezze? Ecco da dove parte Piketty: «Di fronte all'ondata di Trump, è urgente che l'Europa riacquisti fiducia in se stessa e proponga ai suoi cittadini e al mondo un altro modello di sviluppo. Per riuscirci, bisogna iniziare con l'uscita dall'autodenigrazione permanente che troppo spesso funge da dibattito pubblico nel nostro continente. Secondo l’opinione corrente in vigore in molte cerchie di dirigenti, l'Europa vivrebbe al di sopra dei suoi mezzi e dovrebbe stringere la cinghia. L'ultima versione di questo discorso è che bisognerebbe tagliare le spese sociali per concentrarsi sull'unica priorità che vale la pena: l'inseguimento con Trump e Putin sulle spese militari».

Il problema, sottolinea l’economista francese, è che «tutto è sbagliato in questa diagnosi». Sul piano economico, spiega, la realtà è che l'Europa ha perfettamente i mezzi per perseguire più obiettivi contemporaneamente. In particolare, dice, l'Europa ha da anni forti eccedenze della sua bilancia dei pagamenti, mentre gli Stati Uniti hanno un enorme deficit. In altre parole, sono gli Stati Uniti che consumano e investono sul loro territorio più di quanto producono, mentre l'Europa fa esattamente il contrario e accumula i suoi risparmi nel resto del mondo (in particolare negli Stati Uniti). «Negli ultimi quindici anni, l'avanzo medio annuo raggiunge il 2% del Pil in Europa, cosa che semplicemente non si è mai vista da più di un secolo. Si osserva nell'Europa meridionale così come in Germania e nell'Europa settentrionale, con livelli che a volte superano il 5% del Pil. Al contrario, gli Stati Uniti hanno accumulato dal 2010 deficit medi dell'ordine del 4% del Pil». La verità, ribadisce, è che l'Europa ha fondamentali economici e finanziari più sani degli Stati Uniti, così sani che il vero rischio da tempo è di non spendere abbastanza. «Piuttosto che una cura di austerità, l'Europa ha soprattutto bisogno di una cura di investimento se vuole evitare una lenta agonia, come ben diagnosticato dal rapporto Draghi».

Ma l’Europa deve proseguire su questa strada a modo suo, all'europea, per così dire, ovvero privilegiando il benessere umano e lo sviluppo sostenibile, e concentrandosi sulle infrastrutture collettive (formazione, salute, trasporti, energia, clima). «L'Europa ha già superato gli Stati Uniti in termini di salute, con un divario di aspettativa di vita che continua ad aumentare a beneficio degli europei. Tutto questo spendendo poco più del 10% del Pil per la salute del continente, mentre gli Stati Uniti si avvicinano al 18%».

L'Europa, scrive Piketty riprendendo il recente dibattito avviato in sede comunitaria, potrebbe anche aumentare le sue spese militari. Bisogna però ancora fornire la prova di questa necessità, aggiunge. «Dedicare miliardi all'esercito è un modo semplice per dimostrare che si sta facendo qualcosa di fronte alla minaccia russa, ma nulla indica che sia la cosa più efficace. I bilanci europei cumulativi superano già di gran lunga i bilanci russi. La vera sfida è spendere queste somme insieme, e soprattutto mettere in atto strutture che consentano di prendere decisioni collettive per proteggere efficacemente il territorio ucraino». L’obiettivo della difesa comune, insomma, che però al momento non sembra nelle mire dei vertici comunitari quanto l’aumento delle spese militari da parte dei singoli Paesi.

Quanto all’Ucraina, Piketty sottolinea che per finanziare la ricostruzione del Paese, è ora che l'Europa si impadronisca non solo degli attivi pubblici russi (300 miliardi di euro, di cui 200 miliardi in Europa) ma anche degli attivi privati, stimati a circa 1000 miliardi, «di cui solo alcune briciole sono state sequestrate ad oggi». «Ciò richiederà l'istituzione di un vero e proprio catasto finanziario europeo che permetta di registrare finalmente chi possiede cosa nel nostro continente, strumento anche indispensabile per combattere la grande criminalità e condurre una politica di giustizia sociale e fiscale».

Rimane poi però la questione essenziale. Domanda Piketty: perché l'Europa, che è piena di risparmi e costituisce di fatto la prima potenza economica e finanziaria del pianeta, non investe di più? Una spiegazione classica è demografica: di fronte all'invecchiamento, i paesi europei preparano la loro vecchiaia accumulando tonnellate di risparmi nel resto del mondo. Sarebbe tuttavia più utile spendere queste somme in Europa per permettere alle giovani generazioni di proiettarsi nel futuro, dice. Un'altra spiegazione è il nazionalismo: ogni paese europeo sospetta che il suo vicino voglia sperperare il prodotto del suo lavoro e preferisce metterlo sotto chiave. Di fatto, la globalizzazione commerciale e finanziaria ha alimentato una profonda preoccupazione – in Svezia dopo la crisi bancaria del 1992 o in Germania durante la crisi post-unificazione del 1998-1999 – e ha generato in Europa un ripiegamento verso il risparmio e il ciascuno-per-sé, che non ha fatto che aggravarsi dopo la crisi del 2008. «Ma il fattore principale è prima di tutto politico e istituzionale – scrive Piketty – Non esiste un quadro democratico in cui i cittadini europei possano decidere collettivamente il modo migliore per utilizzare le ricchezze che producono. Attualmente, queste decisioni sono di fatto abbandonate a pochi grandi gruppi e a un sottile strato sociale di dirigenti d'azienda e azionisti. La soluzione può assumere diverse forme, come quella di un'Unione parlamentare europea basata su un gruppo ristretto e solido di paesi». Ed ecco la considerazione finale: «Ciò che è certo è che la domanda dell'Europa non è mai stata così forte, e che i leader devono rispondervi con audacia e immaginazione, al di là dei sentieri battuti e delle false certezze».

Redazione Greenreport

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