Per raggiungere le emissioni net zero ci vuole la coopetition
La 29esima Conferenza delle parti dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (Cop29 Unfccc) in vcorso a Baku, in Azerbaigian sembra impantanata nell’attesa che Donald Trump riprenda possesso della Casa Bianca, mentre i suoi alleati di destra si sfilano e frenano e che dovrebbe portare avanti l’Accordo di Parigi verso le emissioni zero si divide in politiche sempre più frammentate e con i politici e i business man che si interrogano su se e come accelerare verso il net zero temendo di diventare meno competitovi a livello globale.
Tutti temi che Boston Consulting Group (BCG) affronta il tema nel suo nuovo report “Climate Coopetition May Be the Best Route to Net Zero” che propone la “coopetizione”, cioè la collaborazione tra concorrenti, come approccio migliore per raggiungere obiettivi condivisi e per accelerare i progressi climatici.
Alla “coopetizione” gli esperti BCG sono arrivati dopo aver analizzato 4 possibili scenari geopolitici/climatici per il prossimo decennio: Il contesto ottimale: i Paesi collaborano attivamente per limitare l’aumento delle temperature mentre il commercio globale, aperto e regolato da un sistema internazionale di prezzi del carbonio, garantisce una decarbonizzazione equa ed efficace. La proliferazione di conflitti internazionali che riduce la cooperazione e aumenta i costi della decarbonizzazione, con progressi verso il Net Zero disomogenei e frammentati. Solo alcuni Paesi avanzano verso il Net Zero, ma priorità nazionali e barriere commerciali rallentano la diffusione delle tecnologie verdi, rendendo i costi più elevati e le soluzioni meno scalabili: la cooperazione globale dipende dalla capacità dei blocchi geopolitici di superare le divergenze e riconoscere l’urgenza climatica. Un mondo prossimo al punto di non ritorno: conflitti globali e preoccupazioni per la sicurezza economica ostacolano l’azione climatica, i combustibili fossili restano predominanti mentre la cooperazione sulle tecnologie verdi e sulle pratiche sostenibili scompare.
Marco Tonegutti, managing director e senior partner di BCG, evidenzia che Sebbene si possano verificare scenari molto differenti, ragionevolmente il mondo sta prendendo un assetto multipolare, con diversi blocchi che si avvicinano al Net Zero a velocità diverse a causa di disparità economiche o strutture economiche diverse, nonché agende politiche molto difformi. Le economie avanzate potrebbero ad esempio dare priorità alla competitività industriale cercando di coniugarla con politiche climatiche, mentre alcuni Paesi potrebbero sfruttare le risorse critiche come leve geopolitiche. In particolare, le nazioni con riserve di materiali essenziali, come le Terre rare, avranno un ruolo dominante nelle catene di approvvigionamento globali. Infine, si potrebbe generare una tendenza protezionistica a tutela di industrie strategiche».
Intanto, è probabile che i cambiamenti climatici influenzeranno il percorso delle azioni dei Paesi e delle imprese verso il Net Zero. Il rapporto individua tre principali fattori.
Primo, l’espansione dei meccanismi di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM): con l’aumento della competizione nelle politiche industriali green, i governi vorranno sostenere i player nazionali per garantire la leadership nell'economia verde e proteggerli dalle importazioni. I mercati che stanno prendendo in considerazione l’adozione di questi meccanismi o che lli hanno già approvati - come Unione europea, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone - rappresentano il 54% del PIL mondiale e il 66% del commercio globale. Si tratta di "dazi verdi" che vengono applicati alle importazioni in base al volume di gas serra emesso nella produzione dei beni importati e, dato che le imposte sono legate alla quantità di carbonio prodotto e non al valore, possono variare notevolmente per lo stesso prodotto.
Sulla base delle stime della Commissione europea sull'intensità del carbonio, BCG calcola che «La CBAM media europea da pagare per tonnellata di acciaio importato dall'India potrebbe essere fino a tre volte superiore a quella applicata ai prodotti statunitensi entro il 2034».
L'Ue (23% del commercio mondiale) ha imposto un CBAM sui prodotti ad alta intensità di carbonio come ferro, acciaio, cemento e fertilizzanti e sta attualmente studiando se estenderlo ulteriormente. Il Regno Unito introdurrà uno schema simile a quello dell'Ue nel 2027, mentre negli Stati Uniti sono state introdotte molte proposte legislative, tre delle quali comporterebbero un'imposta sulle importazioni basata sul carbonio.
La seconda conseguenza è l’aumento delle misure di difesa commerciale: «Sempre più Paesi implementano tariffe o barriere per proteggere le industrie nazionali e i posti di lavoro», prevede il rapporto.
L'Accordo sui Beni Ambientali dell'Organizzazione mondiale del commercio, nato per eliminare i dazi su prodotti come turbine eoliche e pannelli solari, è bloccato: solo 46 membri partecipano, ostacolati da interessi nazionali divergenti. Un altro esempio sono le misure di difesa commerciale sui veicoli elettrici: nel 2019 le avevano imposte solo 8 Paesi, che rappresentano l'1,2% del commercio totale di EV, oggi i Paesi sono 41 e rappresentando il 40% del commercio totale di EV. Tra questi ci sono anche economie emergenti come India e Turchia.
La terza e ultima conseguenza è la crescente complessità degli approcci nazionali alle politiche climatiche. Secondo la Banca Mondiale, attualmente ci sono 75 sistemi di prezzo del carbonio (in aumento del 25% nell'ultimo decennio) che coprono il 24% delle emissioni globali. I Paesi stanno anche adottando politiche industriali green per incentivare l'azione climatica e l'innovazione tecnologica, con la speranza di creare anche nuovi posti di lavoro e più competizione tra le industrie. Alcune economie (tra cui Cina, Ue, Australia) sono molto attive nell’azione climatica, mentre altre (come Thailandia, Malaysia e Vietnam) fanno un utilizzo limitato degli strumenti di politica climatica, rischiando di essere fortemente penalizzate dai costi della transizione.
Per il rapporto BCG, «Il risultato è comunque un complesso mosaico di pratiche che contribuisce alla frammentazione complessiva delle politiche climatiche. Questa frammentazione aumenta il rischio di concentrare gli sforzi sulla competizione piuttosto che sulla collaborazione, necessaria per la transizione energetica globale. La coopetizione potrebbe bilanciare questi due aspetti, offrendo vantaggi ai Paesi impegnati nella lotta climatica».
Per mantenere i progressi verso le emissioni net zero in qualsiasi scenario, Climate Coopetition raccomanda ai leader governativi e aziendali di «Stabilire standard comuni e concentrarsi sui risultati. In prima analisi sarà necessario progredire verso un accordo sulla contabilizzazione del carbonio per i prodotti, fondamentale per l’amministrazione dei CBAM. Per garantire la credibilità e l’utilizzo del sistema, il processo di definizione degli standard dovrebbe essere aperto, trasparente ed equo, basandosi sul lavoro dell'Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione. In secondo luogo, i leader dovrebbero considerare l'idea di mirare a risultati concreti, garantendo che tutti gli sforzi siano giustamente riconosciuti ed evitando doppia regolamentazione e tassazione».
BCG conclude sottolineando l’importanza delle sfide strategiche di lungo termine: «In primis adottare un approccio politico equilibrato: i leader dovrebbero considerare di scendere a compromessi quando stabiliscono obiettivi e prendono decisioni sulle politiche industriali green o sulle misure di difesa commerciale. Promuovere poi l’inclusività globale, integrando i mercati emergenti nelle catene di valore green. Infine, prepararsi alla competizione normativa: governi e aziende devono essere competitivi non solo in termini di costi, ma anche di carbonio, adattandosi a nuovi scenari regolatori».