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Trattato globale sulla plastica, ecco a che punto è la gestione imballaggi in Italia

Greenpeace: «Chiediamo maggiore trasparenza a tutti gli attori coinvolti nella filiera italiana, anche in vista dell’ultimo round negoziale in Corea del Sud»
 |  Green economy

Il prossimo 25 novembre inizierà a Busan, in Corea del Sud, l’ultimo round per la definizione di un Trattato globale sulla plastica, sotto l’egida delle Nazioni Unite: come si presenta l’Italia a quest’appuntamento?

In base ai dati forniti dal Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) nel suo ultimo Bilancio di sostenibilità (anno 2024 su dati 2023), gli imballaggi di pertinenza immessi al consumo sono pari a 1.872.672 t, di cui 1.041.971 t avviate a riciclo (55,6%), 513.329 t a recupero energetico (27,4%) e 1.818 t (0,1%) a smaltimento in discarica.

Una nuova inchiesta realizzata dall’Unità investigativa di Greenpeace Italia solleva però dubbi in materia, affermando che «se si escludono le quote di materiale gestite da operatori indipendenti, tra il 2021 e il 2023 Corepla ha avviato annualmente al riciclo circa 700 mila tonnellate di imballaggi e prodotto circa 500 mila tonnellate di scarti, smaltiti in discarica o, più di frequente, in cementifici esteri. Questi numeri sono al di sotto degli obiettivi comunitari di riciclo effettivo (e dimostrabile) che dovranno essere del 50% entro il 2025 e del 55% entro il 2030. Basare i calcoli sul riciclo effettivo rappresenta un approccio ben diverso da quello adottato negli ultimi anni in Italia in cui si è parlato solo di materiale avviato a riciclo, un indice che comprende al suo interno anche tutti gli scarti che vengono estratti successivamente dai materiali trattati. Per fare un confronto, il tasso italiano di avvio a riciclo per la filiera della plastica nel 2022 era del 55,1%, quello di riciclo effettivo, calcolato sulla base dei nuovi riferimenti comunitari, scende al 48% nel 2023. Anche per quest’ultimo numero è possibile sollevare dei dubbi, visto che i documenti necessari a effettuare il nuovo calcolo non sono pubblici».

Prima ancora di Greenpeace è stata la Corte dei conti Ue – a valle di un’indagine condotta in Italia, in Romania e Paesi Bassi – a mettere a nudo i problemi del riciclo, non solo nel nostro Paese e non solo guardando al ballo di pochi punti percentuali, ma sottolineando piuttosto che «per la maggior parte della plastica inviata ai riciclatori non vi era uno sbocco di mercato economicamente sostenibile. Ciò significa che non vi era alcun incentivo economico per effettuare il riciclaggio. Inoltre, dal momento che la maggior parte degli Stati membri si avvale della deroga riguardante il punto di calcolo, i rifiuti non vengono misurati all’atto di immissione in un’operazione di riciclaggio, bensì solo in uscita dall’operazione di cernita. Pertanto, non vi sono garanzie sufficienti che i rifiuti dichiarati dai riciclatori come ricevuti siano di fatto sottoposti a trattamento».

«Credere nell’eccellenza del sistema che gestisce i nostri imballaggi in plastica assomiglia più a un atto di fede – dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – Eppure, le incredibili performance del sistema di riciclo italiano continuano a essere sbandierate dai nostri politici a ogni tavolo negoziale internazionale e impiegate come scudo per conservare lo status quo, opporsi a qualsiasi provvedimento che riduca l’utilizzo di plastica monouso e ritardare tutte quelle strategie che favoriscono il riuso. Chiediamo maggiore trasparenza a tutti gli attori coinvolti nella filiera italiana, anche in vista dell’ultimo round negoziale sul trattato sulla plastica che inizierà in Corea del Sud nelle prossime settimane».

Resta la grande domanda da affrontare: che fare? Per quanto riguarda il riciclo della plastica in Italia, occorre incrementare la competitività economica del comparto puntando su incentivi per la rinnovabilità della materia, come già oggi accade sul fronte energetico con le fonti rinnovabili. Il riciclo da solo però non basta.  Serve partire dall’inizio della filiera industriale ammonisce l’Ocse, investendo sull’ecodesign dei prodotti ma anche riducendo la domanda di materie plastiche, a partire da quelle monouso. La buona notizia è che, secondo l’Agenzia Onu per l’ambiente (Unep) l’inquinamento da plastica può essere ridotto dell’80% entro il 2040 usando le tecnologie esistenti. Come? Riducendo del 55% la produzione di plastica vergine e puntando, ancora, sull’economia circolare: si potrebbero così risparmiare 4,52 trilioni di dollari a livello globale e creare 700mila nuovi posti di lavoro.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.