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L’economia del “crescismo” ossessionata dal Pil fa ammalare i poveri

La corsa per aumentare i profitti di una piccola élite ha fatto ammalare milioni di persone
 |  Green economy

Secondo l’aggiornamento del rapporto  “Extreme poverty and human rights” presentato dal relatore speciale sulla povertà estrema e i diritti umani dell’Onu, Olivier De Schutter, «Le politiche governative progettate per stimolare la crescita economica stanno avendo un effetto devastante sulla salute mentale delle persone che vivono in povertà. La nostra ossessione per la crescita ha creato un’economia dell’esaurimento: una corsa per aumentare i profitti di una piccola élite in cui milioni di persone sono diventate troppo malate per correre».

Dal rapporto emerge che «Le politiche volte ad aumentare a tutti i costi il ​​prodotto interno lordo (PIL) stanno creando un’ondata di cattiva salute mentale tra le persone in povert»à.

De Schutter, un giurista belga esperto di questioni relative alla povertà, fa parte del meccanismo dei relatori speciali indipendenti che agiscono sotto l'egida del Consiglio per i diritti umani dell'Onu e  ha avvertito che «Piuttosto che combattere la povertà, il “crescismo” ci ha portato lungo un percorso di estrema disuguaglianza economica, con conseguenze disastrose sia per i ricchi che per i poveri, poiché le società più diseguali soffrono di tassi più elevati di depressione, ansia e altri problemi di salute mentale».

Mentre 970 milioni di persone - l’11% della popolazione mondiale - soffrono di disturbi mentali, le persone con i redditi più bassi hanno una probabilità fino a 3 volte maggiore di soffrire di depressione, ansia e altre malattie mentali comuni rispetto alle persone con i redditi più alti .

De Shutter ha sottolineato che «Gli effetti sulla salute mentale derivanti dal vivere in un mondo schiavo della crescita, ossessionato dalla produttività e dalla competitività, sono sempre più riconosciuti come fattori che contribuiscono al “burnout” tra i colletti bianchi. Tuttavia, sono le persone che vivono in povertà, che lavorano soprattutto in lavori informali o precari, a soffrire di più di questa condizione, mentre allo stesso tempo hanno meno risorse per farvi fronte, il che crea una crisi di salute mentale che in larga misura viene ignorata e passa inosservata. La società vive immersa in una temibile competizione di tutti contro tutti, dove gli individui più estranei all’azione politica e privi di diritti economici devono farsi carico dei “carichi allostatici” più pesanti, cioè delle reazioni corporee derivate dallo stress di dover affrontare l’insicurezza. Le persone invecchiano letteralmente più velocemente a causa dello stress derivante da una situazione di incertezza, conflitto e competizione, mancanza di controllo e assenza di informazioni».

Uno studio precedente aveva già dimostrato che, durante la crisi finanziaria del 2009-2011, i giovani adulti in Grecia soffrivano di livelli di depressione e ansia più elevati rispetto a quelli svedesi, al punto che i campioni di capelli mostravano che la risposta protettiva allo stress (produzione di cortisolo) si era indebolita nel primo gruppo.

Il rapporto di De Shutter descrive in dettaglio come i cambiamenti nelle condizioni di lavoro e le misure di flessibilità lavorativa abbiano svolto un ruolo chiave nell’aumento dei problemi di salute mentale che colpiscono le persone a basso reddito. Inter Press Service dell’Onu lo descrive cosi: «Le decisioni guidate dalla crescita di spingere i lavoratori verso forme di lavoro meno standard hanno portato a un minor numero di contratti di lavoro a lungo termine, a più lavoro part-time “occasionale” o “autonomo” e, di conseguenza, a una riduzione dei salari, delle tutele e dei diritti dei lavoratori». Sembra una fotografia dell’Italia degli ultimi decenni.

E De Schutter fa notare che «Sorprendentemente, nella gig economy di oggi, attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, la disoccupazione a volte può essere un'opzione più salutare che accettare un lavoro. Sebbene la disoccupazione possa aumentare il rischio di malattie mentali, è stato dimostrato che il lavoro precario porta a risultati ancora peggiori in termini di salute mentale. Questo è dovuto a insicurezza, mancanza di potere contrattuale, retribuzione ingiusta e orari di lavoro imprevedibili, che rendono impossibile gestire un sano equilibrio tra lavoro e vita privata. In breve, abbiamo favorito società ossessionate dalla crescita in cui gli individui sono spinti a competere e a migliorare le loro prestazioni. La conseguenza è l’ansia per lo status sociale che può portare alla depressione. Invece, dovrebbe essere incoraggiato uno spostamento verso la progettazione di società ossessionate dalla cura che forniscano sicurezza economica e aiutino tutti gli individui ad acquisire un senso di autostima e valore».

L’esperto indipendente dell’Onu ha invitato i governi ad «Affrontare urgentemente l’aumento del lavoro precario, stabilendo tutele legali che garantiscano un lavoro dignitoso e un salario dignitoso. Occorrono regole di programmazione che consentirebbero ai lavoratori di conoscere in anticipo i propri orari di lavoro e di ricevere un compenso se cambiano, oltre a migliorare la sicurezza economica garantendo un numero minimo di ore per i lavoratori a tempo parziale».

Redazione Greenreport

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