L’industria nazionale della carta presenta al Gse la ricetta per decarbonizzare il settore
Durante la 30esima Mostra internazionale dell’industria cartaria (Miac), che si è svolta a Lucca nei giorni scorsi, la filiera indicava la necessità di una «decarbonizzazione competitiva» per il settore. Cosa significa? La risposta è arrivata oggi nella sede romana del Gse, dove Assocarta ha presentato uno studio che indica una strategia con un mix di fonti green ed elettrificazione, per allontanarsi progressivamente dal gas fossile che ancora oggi domina il comparto, con tutto ciò che comporta in termini di sicurezza energetica oltre che di sostenibilità.
«L’industria cartaria italiana – ricorda il presidente di Assocarta, Lorenzo Poli – ha già affrontato con successo una transizione energetica basata su gas e cogenerazione ad alta efficienza che ha permesso di sviluppare un tessuto industriale importante e, al contempo, abbattere i consumi energetici (per unità di prodotto) del 25% negli ultimi 25 anni. L’obiettivo attuale è coniugare decarbonizzazione e competitività e per questo è essenziale che le misure di decarbonizzazione siano strettamente collegate ai consumi industriali».
Come emerso dai dati messi in fila da Afry management consulting, il settore cartario è un comparto energivoro che consuma 2,5 miliardi di mc di gas l’anno (2023), producendo l’80% del fabbisogno energetico in cogenerazione (calore ed energia elettrica) ad un livello di costo che pesa per oltre il 12% sul fatturato del settore, al quale va aggiunto il costo delle emissioni sul mercato europeo Eu Ets che, in prospettiva nel prossimo decennio, aumenterà a un ritmo tre volte superiore al costo di produzione della carta. Che fare?
Se nell’immediato Assocarta si limita a chiedere al Governo interventi sul fronte del metano fossile, agendo in linea col recente decreto Ambiente con la «attuazione alla gas release» e sottolineando che «vanno “depurate” le bollette da costi impropri come quello del Ttf applicato a tutte le forniture di gas», nel medio periodo la strategia si fa più raffinata. E sostenibile.
Nel merito, Poli chiede «una energy release che incentivi il più possibile gli investimenti verdi degli energivori e che diventi addirittura strutturale. Una infrastruttura elettrica che possa supportare l’eventuale elettrificazione delle imprese senza discriminazione geografica. Promozione dell’uso del biometano, che va impiegato nei processi più efficienti come la cogenerazione, tramite una release ad hoc. Connettere gestione del territorio e del bosco con il recupero delle biomasse. Chiudere il ciclo del riciclo, recuperando energia dagli scarti. Coniugare decarbonizzazione delle fonti e dei consumi: l’idroelettrico e il geotermico devono essere in parte destinati all’industria».
Alcuni di questi punti si concretizzano in fronti di lavoro già attivi. All’inizio di questo mese il Consorzio italiano biogas (Cib) e Assocarta hanno siglato un’intesa per favorire l’utilizzo nelle cartiere del biometano da scarti agricoli, in grado di sostituire perfettamente quello di origine fossile, essendo di fatto la stessa molecola. «Il settore cartario potrebbe utilizzare quello ottenuto dai rifiuti urbani e anche dagli scarti del processo di produzione cartario, come avviene negli altri stati europei», aggiungono oggi da Assocarta.
I volumi in gioco sono già rilevanti, e continueranno a crescere. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Consorzio italiano biogas (Cib), in Italia esistono già circa 1.803 gli impianti biogas da scarti agricoli con una produzione di 2,5 miliardi di mc di gas rinnovabile – tanto quello consumato dalle cartiere –, destinato soprattutto alla produzione elettrica e termica rinnovabile, e per una quota minoritaria (circa 600 milioni di Smc) immesso in consumo come biometano nel settore dei trasporti; il potenziale al 2030 del biometano da scarti agricoli è più che doppio, arrivando a quota 6 mld mc/a. A questi dati si aggiungono quelli del biogas/biometano da Forsu, che secondo il Consorzio italiano compostatori (Cic) valgono altri 409 mln mc, con una potenzialità al 2030 di 1 miliardo di Smc.
Assai più annoso è il dibattito sul recupero energetico degli scarti da riciclo. Le cartiere, di fatto, sono impianti dell’economia circolare: è lì che carta e cartone raccolti in modo differenziato vengono trasformati in nuovi prodotti. Già oggi in Italia le carte da riciclare utilizzate rappresentano circa il 70% della materia prima fibrosa, mentre nell’imballaggio il tasso di riciclo è già oltre l’85%. Ma ogni processo industriale produce scarti, e il riciclo della carta non fa eccezione. Il paradosso è che questi scarti vadano in discarica quando va male, o all’incenerimento quando possibile, ma senza vantaggi diretti per le cartiere. «L’industria cartaria, specie nell’impiego di macero proveniente dal riciclo, genera scarti costituiti da biomasse non più riciclabili, che vengono inviati allo smaltimento in discarica e all’incenerimento – conclude nel merito Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – Un recupero energetico di questi scarti con impianti nelle stesse cartiere potrebbe essere una via per contribuire a decarbonizzare i consumi energetici delle cartiere, riducendo sia i costi di smaltimento di questi scarti, sia la movimentazione di rifiuti. La limitazione al recupero energetico dei soli rifiuti generati dall’impianto dovrebbe essere consentito anche perché non dovrebbe incidere nella programmazione regionale degli impianti di gestione dei rifiuti».