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Magaldi (Kyoto club): «Rappresenta un modello di successo esportabile anche nei mercati esteri»

Riparte da Roma la corsa dell’economia circolare, anche per ridurre i prezzi dell’energia

L’assessora Alfonsi: «C’è ancora molto da fare, dobbiamo avvicinare il centro e il sud del Paese a raggiungere gli standard di eccellenza delle Regioni del nord»
 |  Green economy

L’associazione ambientalista Kyoto club, assieme a Roma Capitale, ha organizzato oggi in Campidoglio il convegno 60 anni di economia circolare: le eccellenze e le opportunità per l’Italia per il confronto tra le realtà più virtuose del settore, favorendo la diffusione delle migliori pratiche circolari del nostro Paese, che abbondano nonostante ampie differenze lungo lo Stivale e profonde lacune da colmare per migliorare la gestione dei rifiuti che ogni giorno – cittadini e imprese – produciamo.

«L’Italia – argomenta Letizia Magaldi, presidente Kyoto club e vicepresidente esecutivo di Magaldi green energy – è il Paese europeo con il più alto tasso di riciclo sul totale dei rifiuti speciali e urbani prodotti (83,4%), un valore superiore alla media europea (52,6%) e a quello di Germania (70%), Francia (64,4%) e Spagna (59,9%). L’Italia primeggia davanti Francia, Germania, Spagna sia nella produttività dell’uso delle materie prime, sia nella produttività per i consumi energetici, seconda invece per produttività delle emissioni gas serra. L’Italia vanta quindi una leadership tecnologica nelle filiere industriali dei rifiuti, del riciclo, dell’efficienza energetica e dell’economia circolare, rappresenta un modello di successo per la sostenibilità dei nostri territori ed un primato esportabile anche nei mercati esteri che dovranno inevitabilmente passare da un’economia di tipo lineare ad una di tipo circolare, adeguando i loro sistemi urbani ed industriali con i nostri prodotti, sistemi e tecnologie».

Da queste dimensioni dello sviluppo passa effettivamente la strada maestra per mantenere ed accrescere la produttività della manifattura italiana. Se l’Europa vuole ridurre i prezzi dell’energia deve accelerare la decarbonizzazione e passare da un’economia lineare a una di tipo circolare, sostiene Mario Draghi nel rapporto “The future of european competitiveness”. Anche la presidente della Commissione Ue, nel suo discorso di rielezione, ha sottolineato che uno degli obiettivi dell’attuale legislatura europea è quello di varare un nuovo Circular economy act che contribuisca a creare nell’Ue un mercato unico dei rifiuti.

Oltre al giusto orgoglio per le proprie eccellenze circolari, il sistema Paese dovrebbe dunque interrogarsi cosa ancora manca – a partire dal profilo normativo e impiantistico – per chiudere davvero il cerchio.

Qualche esempio? All’Italia viene contestato il non aver raggiunto entro il 2020 l'obiettivo del 50% di preparazione al riuso e al riciclaggio dei rifiuti urbani (nel 2022 ancora fermo al 49,2%, mentre continua ad allargarsi la forbice tra raccolta differenziata e riciclo), tant’è che a luglio la Commissione Ue ha aperto una nuova procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese: l’ultimo rapporto Ispra pubblicato nel merito c’informa che in ampie aree del centro sud mancano impianti di gestione per i rifiuti urbani raccolti, in particolare per quanto riguarda l’organico (ma i sempre più numerosi progetti di biodigestione avviati rischiano adesso di portare addirittura a una sovraccapacità impiantistica su questo fronte, indice di scarsa programmazione mentre cala la qualità dell’organico raccolto) e per i rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente, dove le uniche opzioni tecnologiche in campo spaziano dal riciclo chimico all’ossicombustione, fino ai termovalorizzatori sui quali però abbondano sindromi Nimby e Nimto.

È utile inoltre ricordare che i rifiuti speciali generati annualmente sono oltre il quintuplo degli urbani, e lungo la filiera di gestione la certezza dell’informazione resta un’utopia, tant’è che ancora oggi non sappiamo neanche – come denunciano da tempo Legambiente e gli imprenditori della filiera – qual è l’effettivo riciclo della maggiore frazione di rifiuti generata ogni anno, quelli da costruzione e demolizione. Nel mentre crescono i “rifiuti da rifiuti” e da depurazione, un segnale positivo in quanto significa che l’economia circolare avanza; ma anch’essa produce inevitabilmente scarti, come ogni processo industriale, e il relativo export è in crescita del 24% nell’ultimo anno – ancora una volta perché mancano impianti di gestione.

Infine, mentre cresce il consumo di risorse naturali, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (Cmu) nazionale misurato da Eurostat risulta in calo, con la peggiore performance dal 2016. In Italia, infatti, solo il 18,7% delle materie prime impiegate arriva da riciclo (si tratta comunque del 4° dato migliore in Ue). Certo, il Cmu è un indicatore problematico dato che vi pesa il valore dei combustibili fossili e biomassa usati e trasformati in emissioni e lo stock di materiale accumulato ogni anno  in beni e manufatti di lunga durata; si stima dunque che, se anche l’Italia riciclasse tutti i suoi rifiuti, il tasso di circolarità così calcolato non potrebbe salire oltre il 20,5%.

Ancora una volta, servirebbe piuttosto domandarsi quanti dei materiali avviati a riciclo rientrino poi concretamente sul mercato come prodotti, e la necessità di un piano industriale (italiano ed europeo) che promuova l’impiego dei materiali riciclati, come proposto anche dalla Fead, resta indifferibile.

«L’Italia è un Paese con una economia resiliente, capace di coniugare tradizione, creatività e innovazione per affrontare i grandi mutamenti in corso. Eppure, c’è ancora molto da fare – argomenta nel merito Sabrina Alfonsi, assessora all’Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma capitale – Soprattutto nel settore dei rifiuti, dobbiamo lavorare di più e meglio per avvicinare i grandi centri urbani agli ottimi risultati conseguiti dai comuni di minori dimensioni e dobbiamo portare il centro e il sud del Paese, che oggi fanno ancora fatica, a raggiungere gli standard di eccellenza delle Regioni del nord. Nella Capitale (dove è in corso la realizzazione di un termovalorizzatore da 600mila t/a, ndr) stiamo lavorando molto sulla strategia per delineare il percorso di decarbonizzazione della città. Con oltre 10 miliardi di investimenti previsti nei prossimi anni per la mobilità sostenibile, l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, la crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, lo sviluppo delle comunità energetiche, i grandi interventi di forestazione urbana, e una gestione più sostenibile dei rifiuti, si delinea l’impegno di questa amministrazione per rendere la città più vivibile e moderna».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.