Imballaggi in plastica, la Corte dei conti Ue mette a nudo i problemi del riciclo
La risorsa propria basata sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati – meglio nota come plastic tax europea, in vigore dal 2021 mentre quella omonima prevista in Italia è rinviata per la 7a volta al luglio 2026 – è un importante voce del bilancio europeo, dato che nel 2023 il gettito è valso 7,2 mld di euro, ovvero il 4% delle entrate complessive Ue.
Questa plastic tax è costituita da un contributo nazionale calcolato sulla base di un importo pari a 0,80 euro per chilogrammo di rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati; per valutare i suoi effetti la Corte dei conti Ue ha sviluppato una minuziosa indagine, appena conclusa con una sostanziale stroncatura.
«Dopo aver utilizzato le stesse risorse proprie per 33 anni, nel 2021 l’Ue ha introdotto una fonte aggiuntiva di entrate basata sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati generati dagli Stati membri. Tuttavia, il metodo di calcolo di questa nuova entrata presenta ancora troppe debolezze – spiega Lefteris Christoforou, membro della Corte responsabile dell’audit – Pertanto, chiediamo alla Commissione europea di risolvere immediatamente il problema e che gli insegnamenti tratti in questa occasione vengano sfruttati nell’elaborazione di potenziali future fonti di entrate dell’Ue».
La Corte dei conti segnala che solo cinque paesi dell’Ue avevano recepito le disposizioni della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio nella legislazione nazionale entro i termini, inducendo la Commissione europea ad avviare procedure di infrazione nei confronti dei 22 Stati membri rimanenti, compresa l’Italia; ad esempio, la definizione di “plastica” e di “imballaggio”, o il calcolo dei rifiuti di imballaggi di plastica generati e riciclati non erano stati adeguatamente recepiti.
Si registrano in particolare ampi problemi con la comparabilità e l’affidabilità dei dati, nonché la mancanza di controlli adeguati sui rifiuti di imballaggio di plastica effettivamente riciclati. Un sospetto che solleva dubbi non solo sull’efficienza della plastic tax europea, ma soprattutto sulla reale efficacia in merito al riciclo degli imballaggi plastici.
«A causa di una mancanza di controlli adeguati – sottolinea nel merito la Corte Ue – vi è un rischio elevato che alcuni rifiuti di imballaggio di plastica non siano effettivamente riciclati. In effetti, se i rifiuti dichiarati come riciclati sono inceneriti, scaricati o conferiti in discarica, ciò non solo costituisce un reato ambientale, ma si traduce anche in una indebita riduzione degli importi dovuti per la risorsa propria».
Un problema che riguarda da vicino anche l’Italia, dove il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) dichiara di avviare a riciclo il 56,15% dei rifiuti.
Gli auditor della Corte, che hanno visitato tre Stati membri (Romania, Italia e Paesi Bassi), ricordano come la definizione di riciclo preveda che, per essere considerati riciclati, i rifiuti siano ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze; tuttavia «né le autorità degli Stati membri né la Commissione hanno svolto controlli o audit al fine di valutare se i rifiuti di imballaggio di plastica pervenuti ai riciclatori fossero effettivamente sottoposti a trattamento per ottenere altri prodotti. Le procedure di verifica di Eurostat non prevedono controlli relativi ai riciclatori. Né la normativa in materia ambientale, né quella sulle risorse proprie prevede l’espletamento di tali controlli. La Corte ha altresì riscontrato un rischio molto elevato che i riciclatori non sottopongano a operazioni di trattamento i rifiuti di imballaggio di plastica ricevuti».
Come mai? Il motivo, più che normativo, è squisitamente economico: «Le autorità e i riciclatori in tutti e tre gli Stati visitati hanno affermato che, per molti tipi di imballaggi di plastica, il riciclaggio non era un’opzione economicamente sostenibile, in quanto la plastica vergine era più conveniente rispetto alla plastica riciclata. Pertanto le organizzazioni per l’adempimento della responsabilità del produttore hanno dovuto compensare i riciclatori per aver ricevuto rifiuti di imballaggio di plastica presso i loro impianti al fine di conseguire gli obiettivi di riciclaggio definiti nella normativa. Ciò accresce il rischio che i riciclatori non abbiano alcun incentivo a investire ulteriori risorse nel trattamento dei rifiuti ricevuti».
«Per la maggior parte della plastica inviata ai riciclatori – rincara la dose la Corte dei conti – non vi era uno sbocco di mercato economicamente sostenibile. Ciò significa che non vi era alcun incentivo economico per effettuare il riciclaggio. Inoltre, dal momento che la maggior parte degli Stati membri si avvale della deroga riguardante il punto di calcolo, i rifiuti non vengono misurati all’atto di immissione in un’operazione di riciclaggio, bensì solo in uscita dall’operazione di cernita. Pertanto, non vi sono garanzie sufficienti che i rifiuti dichiarati dai riciclatori come ricevuti siano di fatto sottoposti a trattamento».
Si tratta di una bocciatura netta da parte della Corte dei conti, che suggerisce l’urgente necessità di riformare e di rendere omogenei tra gli Stati membri i criteri per calcolare i rifiuti effettivamente riciclati. Al contempo, l’audit evidenzia indirettamente un vulnus che mina alla base l’economia circolare europea: per favorire il riciclo di alcuni flussi di rifiuti, a partire da quelli plastici, occorrono incentivi economici in grado di rendere appetibile l’operazione. Altrimenti, oltre a ridurre il più possibile l’impiego di imballaggi monouso, la logica alternativa è quella di dare maggiore spazio al gradino meno nobile della gerarchia di gestione dei rifiuti (ovvero il recupero energetico, esplorando al contempo le più sostenibili opzioni del riciclo chimico o dell’ossicombustione). Resta il dato di fatto: in Italia come nel resto d’Europa s’incentiva soltanto l’energia rinnovabile, lasciando però al palo la rinnovabilità della materia.