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Economia verde, digitale e demografia stanno cambiando il lavoro (anche) nei servizi pubblici locali

Le evidenze portano sul tavolo l’urgenza di definire nuovi percorsi di formazione e apprendimento, lavorando su più direttrici
 |  Green economy

Come per altri settori, anche quello delle utility e dei servizi a rete è chiamato a rispondere alla sfida posta da un lavoro in continua trasformazione. I profondi mutamenti indotti dalla transizione digitale ed ecologica investono i modelli organizzativi, le competenze e le professioni dei lavoratori. Aspetti questi ultimi, che se non colti per tempo nelle politiche di gestione del personale, possono incidere sia sulla capacità di trattenere le professionalità sia sull’attrattività che le imprese esercitano nei confronti dei potenziali nuovi assunti. Le difficoltà che le Utility stanno incontrando nel reperimento di tali competenze non sono trascurabili.E la sfida coinvolge tutti gli attori: dalle imprese stesse agli istituti di formazione; a questi ultimi, poi, viene richiesto non solo di riflettere sulle modalità di trasferimento delle competenze specifiche, ma anche di determinare strumenti di misurazione, e quindi di certificazione, delle competenze stesse.

Inoltre, l’interazione tra le due transizioni – digitale e ambientale – e le tendenze demografiche in atto configura un ulteriore fattore critico di cui tener conto, acuendo anche la necessità di lavorare su percorsi di formazione continua.

Le Utility sono chiamate a confrontarsi con l’esigenza di mantenere la partecipazione e l’allineamento delle competenze dei lavoratori, inclusi quelli più senior, ma anche ad individuare azioni che consentano il trasferimento delle conoscenze e della cultura aziendale alle nuove generazioni di lavoratori.

Le direttrici del cambiamento: la transizione digitale

Secondo i dati dell’Istat, il settore delle Utility nel suo complesso (quindi, non solo servizio idrico, ma anche energia elettrica e gas e attività legate alla gestione dei rifiuti) è arrivato ad occupare complessivamente oltre 320 mila persone nel 2023, registrando un trend progressivamente crescente nell’ultimo decennio: rispetto al 2014 il numero degli occupati è infatti aumentato del 10.5%. Un’occupazione, quella che riguarda le Utility, che non solo è cresciuta di più rispetto al totale dell’economia, ma che ha mostrato di essere maggiormente resiliente negli anni della crisi economica causata dal Covid-19.

Tecnologia digitale, automazione, machine learning, gestione e analisi dei dati e della cyber security sono i principali campi di trasformazione del lavoro cui ci si riferisce guardando agli effetti della cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale.

In questo contesto di continui e rapidi cambiamenti, il lavoro sta subendo profonde mutazioni richiedendo nuove competenze e generando un gap tra figure professionali richieste e quelle disponibili. L’avvento dell’intelligenza artificiale ha, poi, esteso notevolmente lo spettro di attività che vengono investite da questa trasformazione, con alcuni lavori che subiranno un maggior condizionamento rispetto ad altri.

I dati relativi al 2022 indicano innanzitutto che gli occupati con lauree nel gruppo scientifico e tecnico, maggiormente legate alle competenze digitali, rappresentano già l’8% del personale delle Utility. Come termine di paragone si consideri che per il complesso dell’economia questa quota è circa il 4% e vicino al 7% nel settore metalmeccanico, poco al di sotto del 16% nel settore chimico.

È possibile però entrare ancor più nel dettaglio. Considerando un aggregato più ristretto, dato dall’incrocio degli occupati con una laurea in campo scientifico e tecnico e impiegati negli ambiti cosiddetti scientists and engineers (cioè coinvolti nell’applicazione e diffusione della conoscenza in ambito scientifico, di fatto ingegneri, scienziati, tecnici e professionisti), per le Utility si arriva a una quantificazione di circa 24 mila occupati nel 2022, pari al 6.6% dell’occupazione del settore, un peso che è circa il doppio di quello che si osserva per l’economia nel suo complesso (dove la quota si attesta al 3.5%), e che evidentemente sottolinea come le specificità del settore lo rendano esposto alle esigenze di adeguamento al cambiamento tecnologico. Allo stesso tempo la percentuale che si osserva per le Utility è tuttora molto più bassa rispetto a quella che caratterizza, ad esempio, il comparto dell’ICT (27.8%), dove le competenze tecnologiche dei lavoratori sono fondamentali.

 All’interno dell’intero comparto delle Utility, la domanda di capitale umano negli ambiti scientifici è elevata soprattutto nel settore della fornitura di energia elettrica e gas e nel settore idrico, mentre i livelli d’istruzione sulla struttura dell’occupazione sono mediamente inferiori nel settore dei rifiuti e delle reti fognarie.

Queste prime evidenze aprono, inoltre, la strada anche a riflessioni più ampie, con la necessità di trovare misurazioni per valutare le attuali skills di quegli occupati non laureati e le cui attività sono profondamente mutate per effetto dei cambiamenti tecnologici. 

L’urgenza di dimensionare questi fenomeni è avvalorata dalle evidenze dell’ultimo rapporto del World Economic Forum sui lavori del futuro, in cui le imprese ipotizzano un cambiamento in circa la metà delle competenze necessarie per i prossimi 5 anni.

Le direttrici del cambiamento: la transizione “verde”

La trasformazione del tessuto produttivo verso un’economia a minore impatto ambientale delinea un contesto di sviluppo di nuove professioni, genericamente richiamate come green jobs, ovvero lavori che con diversi gradi di specializzazione e qualificazione si occupano di sostenibilità, benessere e tutela della società e del pianeta, e che caratterizzano diffusamente il mondo delle Utility. Tutto ciò anche in assenza di una definizione univoca e condivisa di green jobs (il che rende anche difficile una valutazione puntuale e rigorosa degli impatti sul mercato del lavoro).

In ogni caso, tecnici specializzati nel settore dell’ecosostenibilità e delle energie alternative, esperti in gestione dell’energia, ecodesigner, certificatori della qualità ambientale ma anche figure manageriali che dovranno valorizzare progetti e risorse in chiave sostenibile, sono queste alcune delle professionalità di cui le Utility avranno certamente bisogno. Altro ambito in forte crescita è quello delle competenze della cosiddetta circular economy, rivolte a rendere i processi maggiormente efficienti ed accrescere la durabilità dei prodotti.

Oggi, la regolamentazione di matrice finanziaria ha definito ulteriori aspetti da considerare e skills da acquisire nell’ottica di garantire l’inclusione degli aspetti di sostenibilità nelle scelte di investimento, e di conseguenza, nelle strategie e nei modelli di business aziendali, come dimostrano la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) di matrice comunitaria.

Ciò che sta nascendo, dunque, è un nuovo modo di fare impresa con un conseguente forte impatto sulle persone e sull’organizzazione interna aziendale.

Tra i green jobs del futuro si annovera il manager della sostenibilità (o sustainability manager), il cui compito sarà orientare la cultura aziendale alla sostenibilità, sviluppando e implementando le strategie volte alla riduzione dell’impatto ambientale, alla promozione della responsabilità sociale e al miglioramento continuo.

Secondo un recente studio di Deloitte solo il 7% delle aziende italiane ha una figura che si occupa esclusivamente di sostenibilità; la percentuale sale al 37% se si considerano le aziende con più di 50 dipendenti. Il manager della sostenibilità svolge un ruolo chiave e trasversale nel mondo dei green jobs, guidando le strategie aziendali e gli obiettivi delle figure tecniche specializzate, come quelle nel settore delle energie rinnovabili. A tale ruolo sono richieste competenze interdisciplinari, che includono la compliance normativa, l’amministrazione, la finanza e il controllo, il problem solving, le relazioni industriali, il marketing e la comunicazione, al fine di integrare e coordinare diverse funzioni aziendali, assicurando una sinergia efficace verso il raggiungimento di obiettivi di medio-lungo periodo.

A ciò si aggiungono ulteriori competenze nella gestione del rischio considerando le ricadute che l’attività aziendale genera verso l’esterno, nonché i rischi che fattori ambientali e sociali possono avere sull’azienda stessa.

Nel settore delle Utility, ad esempio, la delega delle attività legate alla rendicontazione di sostenibilità viene perlopiù data ai responsabili dei sistemi di gestione e in alcuni pochi casi ai responsabili della comunicazione. Questo aspetto può essere legato a molteplici fattori, primo fra i quali l’assenza di una governance di sostenibilità, la quale difatti fornisce gli indirizzi strategici e il quadro necessario nel quale il manager della sostenibilità esercita il proprio ruolo. Un ulteriore aspetto riguarda l’investimento correlato a questa figura, che nel lungo termine porta benefici significativi e aiuta a evitare costi nascosti quali l’incapacità di adattarsi alle normative ambientali in evoluzione, la perdita di opportunità di mercato legate alla sostenibilità e rischi reputazionali.

Come già affrontato, le spinte normative e di contesto implicano una nuova rendicontazione di sostenibilità che impone un cambio di paradigma, un ripensamento dei processi, delle risorse e degli strumenti interni aziendali.

Le direttrici della transizione: le tendenze demografiche

Accanto alle due transizioni vi è un ulteriore elemento che sta influenzando il mercato del lavoro: quello della riduzione delle nascite che determina, per il nostro Paese, un saldo naturale negativo. Le tendenze demografiche indicano che nell’arco dei prossimi cinque anni in Italia la popolazione con almeno 60 anni crescerà dell’8%, a fronte di una diminuzione del 4% delle persone tra 18 e 59 anni. Il combinato disposto di queste tendenze ha contribuito ad un progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, ad un incremento nell’età media dei lavoratori, accrescendo le difficoltà nel reperire molte figure professionali – soprattutto giovani – in grado di sostituire il personale in uscita per pensionamento.

Dal punto di vista organizzativo, l’incremento dell’età media dei lavoratori richiede alle aziende la necessità di sviluppare un approccio dedicato ai lavoratori più senior, con la messa in atto di pratiche di age management, o più in generale di diversity management, per promuovere la partecipazione di ogni dipendente e assicurarsi che tutti, anche e soprattutto i lavoratori senior, contribuiscano alla crescita e allo sviluppo aziendale. L’idea di fondo è ridurre la possibilità che gli investimenti sostenuti dall’impresa nel proprio capitale umano vadano persi per via di uno scollamento tra gli obiettivi personali del lavoratore, naturalmente variabili durante la propria vita, e gli obiettivi dell’impresa. A livello pratico, le politiche di age management possono intervenire su più ambiti. In sintesi:

  • Attenzione agli effetti legati alla retribuzione e alle competenze richieste ai ruoli dei senior. La possibilità, ad esempio, di accompagnare ad un concetto di seniority pay uno di merit pay, in cui i lavoratori di qualsiasi età sono pagati in base alla propria performance, ha il beneficio di disincentivare che il costo dei lavoratori senior implicitamente li porti ad essere facilmente sostituibili
  • Analisi delle figure professionali presenti e necessarie in azienda, affinché i dipendenti senior non siano legati a ruoli che, progressivamente, perdono valore, consente di mantenere le competenze dei senior allineati con le strategie aziendali con un beneficio reciproco tra azienda e dipendenti.
  • Politiche di formazione continua
  • Valutazione di un cambiamento di mansione per coloro che sono vicini al pensionamento

Le analisi sugli occupati con competenze digitali mostrano come nelle Utility vi sia una distribuzione per età maggiormente spostata verso i più giovani. In particolare, gli occupati scientists and engineers tra i 25 e i 34 anni rappresentano il 17% del totale degli occupati del settore, mentre la quota scende al 4.6% nella classe 35-44 anni, quelli tra i 45 e i 54 anni sono invece il 5.7%, e i lavoratori scientists and engineers tra i 55-64 anni sono il 3.7%. Appare evidente come il ripensamento del capitale umano delle Utility debba necessariamente tener conto anche di quanto sta avvenendo come ricambio generazionale.

La risposta delle Utility alle direttrici e alle sfide del lavoro

Cosa pensano le Utility? Le trasformazioni che il lavoro sta affrontando hanno visto le imprese agire e reagire con lo scopo di individuare delle possibili risposte ai mutamenti in atto. Per avere ulteriori spunti di riflessione e avere il polso della situazione, il Laboratorio REF Ricerche ha iniziato un dialogo con i responsabili HR di alcune aziende del settore idrico e multiutility (per approfondire questo aspetto si rimanda alla versione estesa del Position Paper).

Le evidenze portano sul tavolo l’urgenza di definire nuovi percorsi di formazione e apprendimento, lavorando su più direttrici, dall’identificazione di una chiara tassonomia delle competenze green, fino alla modifica dei percorsi formativi offerti dagli istituti di formazione. A ciò si aggiunge l’esigenza di una proattività da parte delle imprese, nonché di un’interazione tra mondo del lavoro, istituti tecnici e universitari. Fondamentale è il rafforzamento del sistema di orientamento scuola-università-lavoro per indirizzare i giovani verso le professionalità più ricercate dal mercato, puntando in particolare sulle discipline STEM.

Dal punto di vista della formazione, le imprese hanno scelto di avviare dei percorsi di re-skilling e up-skilling dei dipendenti a disposizione (opzione che in alcuni ambiti si scontra con il dato dell’età media dei dipendenti che supera i 50 anni), in altri, invece, si è optato per la ricerca delle competenze necessarie all’esterno, intercettando sul mercato singoli professionisti o società specializzate da acquisire. Nei colloqui con i direttori HR è stato sottolineato come le opzioni richiedano investimenti ed energie differenti.

Sulla crescente difficoltà di reperimento (per le nuove professioni), soprattutto per le competenze green, è ancora al ruolo della formazione che viene data centralità, con le imprese che evidenziano difficoltà ad incontrare un’offerta formativa coerente con le aspettative del settore (per i nuovi ingressi). In questo ambito, è quindi spesso dentro le imprese che sta avvenendo la costruzione e la definizione delle competenze necessarie, complice la velocità con cui gli effetti delle transizioni richiedono un adattamento dell’organizzazione, dei processi e quindi dei lavori. Si pensi, ad esempio, alle recenti sfide normative imposte al settore idrico sui controlli della qualità dell’acqua e come queste abbiano richiesto e stiano continuamente richiedendo ai gestori un mutamento dei laboratori di analisi dell’acqua, che da mera funzione a supporto del funzionamento degli impianti, stanno diventando sempre più un’unità organizzativa al servizio del cittadino e il cui funzionamento richiede una crescente integrazione tra innovazione tecnologica, competenze tecniche e scientifiche del personale.

Alcuni osservatori non mancano poi di evidenziare come sottesi a questi cambiamenti ci siano fattori sociali più profondi tanto da denotare la trasformazione del lavoro anche come antropologica, con una maggiore attenzione delle nuove generazioni ad aspetti più complessivi del lavoro (condizioni economiche, ambiente di lavoro, prospettive di carriera, orari di lavoro, welfare, ecc.) o addirittura, al senso del proprio lavoro. Una trasformazione che di nuovo le aziende intervistate hanno iniziato ad affrontare con svariate iniziative ma anche con alcune riflessioni più profonde sull’organizzazione del lavoro e di ripensamento dei modelli produttivi.

Nel mondo delle Utility, i cambi di paradigma hanno inoltre guidato la contrattazione nazionale degli ultimi anni. Ne sono prova la crescente attenzione (accanto al contenuto economico della prestazione lavorativa) al perfezionamento delle parti che inquadrano il contesto lavorativo, l’istituzione di commissioni per la revisione dei modelli di classificazione del personale per valorizzarne le competenze e l’autonomia operativa, o l’introduzione di una scala retributiva ad hoc per alcune specifiche attività nel contratto dell’Elettrico.

a cura di Giulia Alberti di Catenaja, Marina Barbini, Donato Berardi, Michela Mauloni, Claudia Peiti, Samir Traini. Si ringraziano i responsabili HR di Acquedotto Pugliese, CAP Holding, MM, SMAT, Gruppo Veritas per la disponibilità e i contributi forniti

Laboratorio REF Ricerche

Il Laboratorio è un think tank che riunisce rappresentanti del mondo dell’impresa e delle istituzioni al fine di rilanciare il dibattito sul futuro dei servizi pubblici locali. Molteplici tensioni sono presenti nel panorama economico italiano, quali la crisi delle finanze pubbliche, la spinta comunitaria verso la concorrenza, la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, il rapporto tra amministratori e cittadini, la tutela dell’ambiente. Per esperienza, indipendenza e qualità nella ricerca economica REF Ricerche è il “luogo ideale” per condurre il dibattito su binari di “razionalità economica” e sostenere sviluppo e occupazione nella transizione ecologica.