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L'approccio unilaterale di Washington violerebbe il diritto internazionale

Russia e Cina contro le rivendicazioni Usa per estrarre minerali dai fondali marini

Anche le Samoa Americane, le Hawaii, la California e altri Stati Usa a guida democratica approvano la moratoria
 |  Green economy

Secondo quanto riportato da Bloomberg, durante una sessione dell’International Seabed Authority (ISA) in corso a Kingston, in Jamaica,  i rappresentanti dei governi russo e cinese hanno detto che le rivendicazioni degli Stati Uniti su una vasta area di fondali marini potenzialmente ricchi di risorse non hanno alcun fondamento nel diritto internazionale e dovrebbero essere respinte.

Cina e Russia si oppon gono quindi alla decisione Usa di aggiungere circa un milione di chilometri quadrati (386.100 miglia quadrate) alla loro piattaforma continentale statunitense nel Mare di Bering, nell'Oceano Pacifico, nell'Oceano Atlantico e nel Golfo del Messico e, come riporta la putiniana Russia Television – RT,   denunciano che «Le rivendicazioni unilaterali di Washington contraddicono la United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), che gli Stati Uniti non hanno mai ratificato».

Adottata nel 1982, l’UNCLOS stabilisce le norme per lo sfruttamento e la tutela di oceani e mari del mondo, affrontando questioni quali i limiti territoriali, le risorse e la protezione dell'ambiente marino. In base all’UNCLOS, i Paesi hanno diritto a tutte le risorse presenti nel mare o nei fondali marini all'interno delle loro Zone economiche esclusive (ZEE), che possono estendersi fino a 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa. Gli Stati che hanno ratificato l'UNCLOS devono affrontare un lungo processo per raggiungere un accordo su dove si trovino i confini delle piattaforme continentali sottomarine, che definiranno i diritti economici esclusivi sulle risorse potenzialmente redditizie dei fondali marini. La rivendicazione della Libia sulla sua ZEE  è stata una delle cause “ufficiali” che hanno portato all’attacco Nato che ha defenestrato Gheddafi e ha gettato la Libia nel sanguinoso caos che dura ancora.

Secondo la Russia, «Le rivendicazioni unilaterali degli Stati Uniti mettono a repentaglio un fragile equilibrio internazionale, nonché l'integrità della convenzione. Mosca respinge l'approccio selettivo di Washington al diritto internazionale». E Bloomberg  riferisce che un delegato cinese al summit ISA ha aggiunto che «Gli Stati Uniti non hanno il diritto di avanzare tali rivendicazioni unilateralmente e non possono aspettarsi di godere dei benefici della convenzione senza averla ratificata». Per la Cina le risorse nei fondali marini internazionali  sono patrimonio comune dell'umanità e qualsiasi atto che la minacci non dovrebbe essere accettato.

Sia la Russia che la Cina hanno ratificato l'UNCLOS negli anni '90, ma poi Mosca  ha esteso unilateralmente la sua piattaforma continentale nell’Artico, mentre Pechino rivendica vaste aree marittime e arcipelaghi sui quali altri Paesi dichiarano la propria sovranità.  

Il rappresentante Usa al summit di Kingston, Gregory O'Brien ha difeso la posizione del suo Paese, sostenendo che le rivendicazioni statunitensi rispettato le regole della convenzione.

Gli Stati Uniti hanno annunciato l'estensione delle loro rivendicazioni sul fondale oceanico a dicembre 2023, come parte di uno sforzo per aumentare l'accesso ai minerali critici, necessari per le batterie dei veicoli elettrici e la green economy e il Dpiartimento di Stato Usa  ha sottolineato che questo riguarda «La geografia, non le risorse». Un atteggiamento minimizzatorio smentito da James Kraska, preside e professore di diritto marittimo internazionale al’US Naval War College, che ha scritto che l’estensione delle ZEE chieste da Washington «Mette in evidenza gli interessi strategici americani nel garantirsi minerali hard, come litio e tellurio, sui suoi fondali marini che a volte si trovano a centinaia di miglia dalla costa»

L'ultimo US Geological Survey, condotto nel 2008, ha stimato che nel Circolo Polare Artico ci sarebbero circa 90 miliardi di barili di petrolio e 1.670 trilioni di piedi cubi di gas non ancora scoperti, insieme a metalli essenziali per l'elettrificazione. Una stima che però si basa in gran parte su studi terrestri e Bloomberg  fa notare che «Il potenziale offshore è ampiamente inesplorato».

Ma l’opposizione alle miniere sottomarine non viene solo dai nemici russi e cinesi: il 26 luglio Greenpeace Usa ha applaudito la decisione delle Samoa americane di imporre una moratoria sull'attività mineraria nei fondali marini. Le Samoa Americane sono un Territorio Usa non incorporato  e il governatore democratico  Lemanu Peleti Mauga ha emesso un ordine esecutivo che impone una moratoria sull'attività mineraria sui fondali marini e che si applica all'attività di estrazione, prelievo o rimozione di minerali.

L'ordinanza afferma che «L'attività mineraria in acque profonde comporta rischi significativi per la biodiversità marina, tra cui il potenziale rischio di distruzione dell'habitat, inquinamento e interruzione di processi ecologici critici, che potrebbero avere impatti irreversibili sulla vita marina e sulle comunità locali» e sottolinea che «Gli ecosistemi delle profondità marine restano tra i luoghi meno compresi sulla Terra e sostengono elementi vitali degli ecosistemi oceanici, come gli stock ittici, le barriere coralline e le funzioni ecosistemiche, tra cui la regolazione della temperatura dell'acqua, il sequestro del carbonio e il ciclo dei nutrienti. Inoltre, non vi sono sufficienti informazioni scientifiche e sviluppi tecnologici per comprendere appieno la portata dei potenziali impatti dell'attività mineraria sui fondali marini; inoltre, le tecnologie per l'estrazione dei minerali dai fondali oceanici non sono ancora state testate in termini di sicurezza ambientale».

Il governatore Peleti Mauga ha sottolineato che «La moratoria non deve essere interpretata come una proibizione della ricerca scientifica o delle raccolte condotte da, o per conto di, un istituto educativo, scientifico o di ricerca o un'agenzia governativa. Qualsiasi attività di ricerca di questo tipo sarà soggetta alle leggi, ai regolamenti e ai requisiti di autorizzazione locali. Durante questa moratoria, le Samoa Americane si impegneranno a favore del progresso della ricerca marina, dello sviluppo di politiche oceaniche sostenibili e della promozione della cooperazione locale e internazionale nella gestione sostenibile delle risorse marine».

Per Arlo Hemphill, responsabile della campagna Oceans Are Life di Greenpeace Usa,  «L'azione del governatore è una potente dichiarazione contro i rischi dell'estrazione mineraria in acque profonde. È un chiaro esempio del tipo di leadership di cui abbiamo bisogno per proteggere i nostri oceani. Esortiamo l'amministrazione Biden-Harris ad agire con decisione unendosi al crescente movimento globale contro l'estrazione mineraria in acque profonde. Ora è il momento di sostenere la richiesta di una moratoria globale, dare priorità agli investimenti in alternative sostenibili e rafforzare le protezioni per i nostri oceani».

E il no all’estrazione mineraria in acque profonde viene p<anche da diversi Stati Usa a guida democratica, a partire dalle Hawaii e dalla California, che hanno dichiarato il divieto o forti restrizioni all'attività mineraria nelle loro acque. Raúl M. Grijalva e Ed Case della Commissione per le risorse naturali della Camera degli Stati Uniti e a una dozzina di parlamentari democratici, hanno esortato il presidente Biden a sostenere una moratoria sull'attività mineraria in acque profonde, sottolineando la necessità di una solida valutazione scientifica prima di procedere con qualsiasi attività mineraria. Nel luglio 2023, Case ha presentato due proposte di legge che chiedevano «Una moratoria sull'attività mineraria in fondali marini a meno che e finché le sue conseguenze non siano pienamente comprese e non venga stabilito un regime normativo di protezione appropriato».

La questione di una moratoria è diventata ancora più urgente dopo la recentissima pubblicazione di uno studio rivoluzionario che ha rivelato che i noduli polimetallici presi di mira dall'estrazione mineraria potrebbero produrre "ossigeno oscuro" nelle profondità marine e che solleva nuove domande sulle origini della vita sulla Terra e sul ruolo di questi noduli nella produzione di ossigeno senza fotosintesi.

A i  negoziati ISA in corso in Giamaica, i delegati di Panama e Costa Rica, supportati da scienziati, hanno sollecitato cautela e ulteriori indagini su questo fenomeno prima di procedere con qualsiasi attività mineraria.

Nonostante questo Gerard Barron, CEO di The Metals Company (TMC), che ha finanziato parzialmente lo studio che ha scoperto l’ossigeno oscuro, ha annunciato l'intenzione di contestare la scoperta che invece è stata accolta con grandissimo interesse e condivisione da parte della comunità scientifica mondiale. Nonostante i dibattiti in corso e la mancanza di consenso sulle normative per l'estrazione mineraria in acque profonde, Barron ha anche confermato l'intenzione di richiedere una licenza per estrarre minerali dai giacimenti nel fondale oceanico profondo nella zona di Clarion Clipperton, tra le Hawaii e il Messico.

Louisa Casson, responsabile della campagna globale di Greenpeace International sull'estrazione mineraria in acque profonde, ha fatto notare che «La Metals Company ha finanziato in parte questa scoperta rivoluzionaria nelle profondità marine, ma invece di ascoltare la scienza, vogliono screditarla e andare avanti con i loro piani per distruggere i fondali marini. Se permettiamo l'avvio dell'estrazione mineraria in acque profonde, chissà quante scoperte sui misteri del fondale oceanico come questa potrebbero andare perse? Abbiamo bisogno di una moratoria globale contro questa industria distruttiva. I governi stanno negoziando se consentire l'avvio dell'estrazione mineraria in acque profonde, quindi non c'è momento migliore per avere questa discussione».

Data la scarsità di dati scientifici, una pausa o una moratoria sull'estrazione mineraria in acque profonde è sostenuta fino ad oggi da 27 governi , compresi Brasile, Canada, Cile, Francia, Germania, Messico, Nuova Zelanda, Palau e Regno Unito. Anche oltre 800 scienziati ed esperti di politica marina; e 47 istituzioni commerciali e finanziarie , tra cui giganti della tecnologia e produttori di veicoli elettrici Google, Samsung, Volkswagen, Rivian, BMW e Renault, sostengono una moratoria chiesta anche dal Commissario per i diritti umani dell’Onu, dall’IUCN, da ONG e comunità indigene delle Hawaii e del Pacifico, le cui vite e mezzi di sostentamento dipendono dall'oceano.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.