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I green jobs occupano il 20% del mercato del lavoro. E sono anche più redditizi

Il dato emerge dall’Employment Outlook 2024 dell’Ocse, rilanciato in Italia dal Circular Economy Network
 |  Green economy

Un lavoratore su cinque opera nel settore dei green jobs e, in media, viene pagato meglio degli altri quattro. Il dato emerge dall’Employment Outlook 2024 recentemente pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Si tratta di un rapporto di quasi trecento pagine, molto dettagliato e ricco di grafici e tabelle, che analizza da molteplici angoli di osservazione i rapporti tra mercato del lavoro e transizione verso il Net Zero. 

A dedicare la dovuta attenzione a questa pubblicazione dell’Ocse ci ha pensato Circular Economy Network, la rete di imprese e organizzazioni economiche impegnate nell’economia circolare a cui ha dato vita la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Nel sito web viene data rilevanza al fatto che le politiche per raggiungere entro il 2050 la neutralità climatica incideranno, in modo sia positivo che negativo, su almeno il 25% dei posti di lavoro esistenti. Viene notato che il rischio che aumentino le disuguaglianze all’interno del mondo dell’occupazione nel suo complesso, e non soltanto nel settore energetico, esiste. E si conclude sottolineando che fin d’ora la questione deve essere affrontata, perché la transizione è un processo già ampiamente avviato, come dimostra il fatto che il 20% dei lavoratori attuali già è inserito in quella che viene definita la categoria dei green jobs. 

Si legge nel sito web di Circular Economy Network: «Nel suo recente Employment Outlook, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, indaga gli impatti della transizione a un sistema economico a zero emissioni sul mercato del lavoro. Ne emerge uno scenario senza allarmismi o facili entusiasmi ma con alcuni punti fermi. A partire dalla presa d’atto che gli obiettivi di riduzione delle emissioni non possono essere rivisti al ribasso».

ll dossier Ocse si apre con un editoriale del direttore Impiego, lavoro e affari sociali dell’organizzazione internazionale, Stefano Scarpetta, nel quale, tra le altre cose, viene osservato: «Quando si discute su come promuovere un’equa transizione verde, un punto dovrebbe essere chiaro: ridimensionare le ambizioni climatiche non è un’opzione praticabile, poiché i costi a lungo termine dell’aumento delle temperature saranno sicuramente molto più gravi».

I ricercatori dell’Ocse valutano che le ricadute complessive sui livelli occupazionali saranno «modeste», con una riduzione di circa il 14% dei posti di lavoro legati ai fossili e al manifatturiero più energivoro e un conseguente aumento di posti nei settori legati alla transizione. L’analisi adotta tra l’altro una classificazione più ampia dei cosiddetti green jobs: viene introdotto il concetto di «green-driven occupations», definizione «che va oltre la consueta nozione di green jobs – si legge nel testo – per includere anche quei lavori che non contribuiscono direttamente alla riduzione delle emissioni ma che probabilmente saranno ricercati perché forniscono beni e servizi necessari alle attività verdi».

Uno dei dati del rapporto Ocse su cui si concentra Circular Economy Network riguarda il fatto che «tra il 2015 e il 2019, il 20% degli impiegati nei Paesi Ocse rientra in quella che potremmo definire un’occupazione orientata al green. Si tratta per la stragrande maggioranza non di nuovi lavori, ma di lavori esistenti che stanno richiedendo nuove competenze per rispondere alle esigenze della transizione. Solo per il 14% si tratta invece di nuovi lavori o lavori “spinoff” di attività esistenti (nel documento si parla di ‘green new and emerging occupations’). E sono quelli che nel periodo 2011-2022 hanno fatto registrare la più veloce crescita, aumentando in media del 12,9%».

Altro dato interessante del documento stilato dall’Ocse è che i lavoratori attivi nel settore dei green jobs sono meglio remunerati e, benché al momento devono fronteggiare maggiormente il rischio disoccupazione, sono regolarizzati in misura prevalente con contratti a tempo indeterminato. Tutto l’opposto di chi è attivo nei settori a più alte emissioni di gas serra. 

Un ultimo aspetto del rapporto Ocse meritevole di attenzione riguarda poi le disparità che verrebbero a crearsi tra lavoratori non solo di diversa nazionalità, ma anche di zone diverse di ogni singolo paese. Si legge nell’editoriale che introduce all’indagine del rapporto tra transizione e mercato del lavoro: «Esistono anche disparità regionali, con industrie ad alte emissioni fortemente concentrate in regioni specifiche, per lo più rurali. Al contrario, le occupazioni in più rapida crescita, stimolate dalla transizione “net-zero”, sono ad alta intensità di competenze e localizzate prevalentemente nelle aree urbane». Da qui l’avvertimento: «Senza un’azione politica, i lavoratori poco qualificati e le famiglie nelle zone rurali sopporterebbero gran parte del peso della transizione, mentre i lavoratori urbani altamente qualificati si troverebbero nella posizione migliore per trarne i benefici».

Redazione Greenreport

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