Le imprese italiane non sono contrarie alle miniere sottomarine
Secondo il media briefing “Le aziende italiane alle prese con il deep sea mining “ pubblicato dall’unità investigativa di Greenpeace Italia e da Andrea Turco, «Le aziende italiane potenzialmente interessate alle estrazioni minerarie negli abissi non hanno specifiche politiche sul Deep Sea Mining, anzi alcune guardano con interesse all’avvio di questa nuova forma di sfruttamento delle risorse naturali. Fincantieri è l’azienda italiana più propensa a svilupparla, tanto da aver sottoscritto negli ultimi anni, sia con Saipem sia con Leonardo, accordi di collaborazione per le attività estrattive sui fondali».
La nuova indagine, diffusa oggi, nella giornata in cui a Kingston, in Giamaica, iniziano i lavori dell’International Seabed Authority (ISA), l’autorità internazionale che deve regolamentare le estrazioni minerarie negli abissi, in cui si discuteranno misure di protezione dei mari rivela che le grandi imprese italiane vanno anche oltre la prudente disponibilità espressa dal ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) e dall’International Seabed Authority (ISA) al simposio “Blue economy e il ruolo delle materie prime critiche nello sviluppo di economie oceaniche sostenibili: sfide, opportunità e innovazione” che si è tenuto a Roma il 14 giugno.
Greenpeace ha realizzato una mappatura di 13 aziende italiane - Fincantieri, Saipem, Leonardo, MSC Crociere, STMicroelectronics,Energy SPA, FAAM, Trienergia, Stellantis, Alkeemia, Gaymarine, Drass e Gabi Cattaneo - interessate alle materie prime critiche: dalla difesa all’elettronica, dall’automotive al navale, dagli accumuli alle batterie, fino a quelle specializzate nei servizi e nelle tecnologie subacquee e dall’analisi dei report e delle dichiarazioni di sostenibilità è emerso che «Nessuna di queste aziende ha politiche specifiche sul Deep Sea Mining. Una situazione in netto contrasto con quanto avviene nel resto del mondo dove grandi aziende come Google, BMW, Volvo e Renault, tanto per citarne alcune, hanno già preso posizioni contrarie allo sviluppo del Deep Sea Mining».
Per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema poco noto come quello delle estrazioni minerarie sui fondali, Greenpeace Italia ha diffuso il video che pubblichiamo realizzato dall’agenzia creativa BBDO e dalla casa di produzione Groenlandia, con la regia di Simone Godano e la musica dei Mokadelic.
Nelle scorse settimane l'organizzazione ambientalista ha lanciato una petizione rivolta al nostro governo affinché supporti una moratoria internazionale che blocchi l’avvio del Deep Sea Mining e protegga il mare dallo sfruttamento minerario.
Il rapporto evidenzia che «La nuova riunione dell’ISA (il consiglio inizierà il 15 luglio, l’assemblea il 29 luglio) metterà sul tavolo la proposta di una Politica Generale per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino. L’Italia ha un ruolo chiave nell’organismo internazionale che dovrà definire un codice minerario (parte del gruppo A insieme a Cina, Giappone e Russia). E’ necessario che lʼItalia, facendo fede alla volontà di proteggere il mare (volontà peraltro ribadita più volte nei più importanti contesti internazionali) e raggiungere lʼobiettivo del 30x30, si impegni seriamente a contrastare il Deep Sea Mining. Non si può proteggere il mare se si apre a una delle attività potenzialmente più impattanti sugli oceani: le estrazioni minerarie negli abissi».
Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia conclude «Nelle prossime settimane presso l’International Seabed Authority si giocherà una partita chiave per i nostri mari: i governi, incluso quello italiano, dovranno decidere se proteggere o sacrificare aree preziose del pianeta per gli interessi economici di pochi. Come da tempo sostiene la comunità scientifica, l’avvio delle estrazioni minerarie negli abissi potrebbe avere impatti devastanti. Si tratterebbe di un azzardo in netto contrasto con gli impegni recenti assunti a livello internazionale, inclusi quelli del nostro Paese, sulla protezione del mare. Ci auguriamo che l’Italia si aggiunga presto alla lunga lista di nazioni che chiedono una pausa precauzionale o una moratoria».