In ripresa l’industria nazionale della carta, avanza il riciclo ma il cerchio si chiude all’estero
Le cartiere italiane si stanno caratterizzando sempre più come veri e propri impianti di riciclo, dove in ingresso arrivano i materiali cellulosici raccolti in modo differenziato e in uscita si ottengono nuovi prodotti pronti per essere re-immessi sul mercato.
Ma le difficoltà a chiudere il cerchio non mancano, così come a mantenere competitività rispetto ai competitor internazionali, come emerso dall’assemblea pubblica di Assocarta svoltasi ieri a Roma presso l’associazione Civita.
«Nel 2023 l’Italia, con una produzione di carta e cartone di 7,5 milioni di tonnellate (-14%), si riconferma secondo produttore europeo dopo la Germania – dichiara il presidente Assocarta, Lorenzo Poli – una posizione conquistata negli anni, grazie alla straordinaria sostenibilità del nostro comparto, nonostante un livello produttivo paragonabile a quello del 1994 a fronte di un fatturato di 8,16 milioni di euro (-26,6%)».
Nei primi 4 mesi 202 si registra una robusta ripresa (+7,9%) ma i volumi restano al di sotto di quelli del 2018; nel dettaglio, un leggero recupero del 2% per le carte e cartoni per packaging, e del 6,4% per le carte per usi igienico-sanitari, si accompagna ad una più ampia crescita delle carte per usi grafici (+37%), i cui volumi restano comunque al di sotto di quelli registrati gli anni precedenti.
Nonostante un quadro economico in chiaroscuro, l’impegno sul fronte della sostenibilità ambientale si mantiene però intatto.
«Le fibre vergini non provengono da deforestazione e le carte da riciclare utilizzate rappresentano circa il 70% della materia prima fibrosa, mentre nell’imballaggio il tasso di riciclo è già oltre l’85% e il tasso di raccolta della carta oltre il 75% - snocciola Poli – Non vi è quindi modo di trovare in Italia e in Europa carta che possa essere in qualche modo collegata ai tragici fenomeni di deforestazione, rispetto ai quali il settore è estraneo. Grazie al Comieco abbiamo il miglior sistema di raccolta di carta da riciclare europeo e mondiale, con un livello di raccolta di cartone e cartone che, nel 2023, ha raggiunto i 6,9 milioni di tonnellate di cui oltre 5 utilizzate nelle cartiere italiane. L’Italia è infatti 2° utilizzatore europeo, sempre dopo la Germania».
Tuttavia le cartiere italiane stanno girando all’80% della capacità produttiva a motivo di una domanda debole, sia nazionale che estera, condizionata da un contesto economico sostanzialmente stagnante, dal lento rientro dell’inflazione, che ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori, e di una generale perdita di competitività.
«Da un lato i costi delle materie prime vergini ma soprattutto della carta da riciclare il cui export è aumentato nel 2023 del 48%, del 133% verso l’India – sottolinea Poli – Vorremmo poter chiudere il ciclo del riciclo in Italia garantendo materia ai nostri impianti. Dall’altro gli obiettivi di decarbonizzazione che vorremmo centrare mantenendo la competitività sui mercati con prezzi energetici politicamente indirizzati come nei paesi europei limitrofi».
Non meno importante, sotto questo profilo, sarebbe l’impiego energetico dei “rifiuti da rifiuti” che esitano dal processo di riciclo: incrementare significativamente il loro recupero energetico significa chiudere il ciclo del riciclo e migliorare significativamente la competitività del settore, evidenziano da Assocarta.
Come testimonia l’ultimo rapporto ambientale pubblicato dall’associazione – nel 2022, insieme a Legambiente – l’intero settore cartario e cartotecnico produce 1,5 mln di ton di rifiuti all’anno (2019), pari a circa 171 kg per tonnellata prodotta; per oltre un terzo si tratta però di rifili, sfridi e scarti di carta che vengono avviati a riciclo.
Al netto degli sfridi, il dato scende dunque a 900mila ton annue o 106 kg di rifiuti per tonnellata prodotta: il flusso più critico – e caratteristico proprio della produzione da riciclo, in quanto legato alle impurità presenti nel macero e/o alle componenti plastiche presenti nella carta da riciclare – è costituito dalle oltre 300mila ton di pulper (stima che sale a 400mila ton guardando direttamente ai dati Mud).
Dai fanghi di cartiera si potrebbe ottenere energia rinnovabile tramite biodigestori anaerobici, mentre per il pulper – in attesa di futuribili impianti di riciclo chimico o ossidazione termica – restano i termovalorizzatori, che incontrano però costanti resistenze Nimby e Nimto. Senza impianti di recupero energetico disponibilità in prossimità delle cartiere, però, la diretta e insostenibile conseguenza è dirigere i "rifiuti da rifiuti" verso le discariche o peggio in impianti esteri.
Cosa resta dunque per favorire la decarbonizzazione? «Occorre un prezzo unico europeo dell’energia per evitare le asimmetrie che rischiano di distruggere il mercato unico – afferma Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria – La differenza di costo tra ciò che paga per l’energia l’industria italiana rispetto alle concorrenti francesi, spagnole e tedesche e’ ormai insostenibile. Così come è necessaria una regola comune e uguale in tutti i paesi europei per l’utilizzo dei proventi del sistema Ets».
Durante l’assemblea Assocarta si è condivisa l’ampia panoramica delle tecnologie di decarbonizzazione in fase di studio. Dalle tecnologie già mature (fotovoltaico, eolico, Orc, stoccaggio energia elettrica verde, carbon offsetting, caldaie a biomassa, solare termico, boiler elettrici, biomassa asciugatura elettrica) a quelle che lo saranno nel breve (pompe di calore sopra i 100 °C o accumuli termici) e altre ancora a lungo termine (cattura CO2 e idrogeno).
«Tutti gli strumenti di sostegno concepiti fino ad oggi, siano essi sull’energia elettrica o sui gas verdi (vedi biometano), sono interamente ed esclusivamente concepiti per supportare lo sviluppo di queste energie dall’unico punto di vista del produttore – conclude Poli – Anche quando sono presenti strumenti per sostenere la decarbonizzazione e l’efficienza energetica e l’innovazione delle imprese (per esempio Transizione 5.0) l’accesso a questi strumenti è reso particolarmente difficile, proprio alle imprese che, più di tutte, hanno l’esigenza di decarbonizzare ovvero quelle che possono diventare ancora più efficienti».