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Tutto pronto per la 51 Rassegna dell’extravergine, a ingresso gratuito dal 1 al 3 novembre

A Reggello la filiera dell’olio resiste e prospera ancora, nonostante la crisi climatica

Sarti (Isis Vasari): «Al giusto prezzo oggi l’olio si vende tra i 14 e i 16 euro al litro, per contenere i costi occorre investire in cultura, innovazione e meccanizzazione dei processi»
 |  Eventi

A causa della grave siccità che ha colpito il Mezzogiorno, le stime Ismea-Unaprol prevedono quest’anno una produzione nazionale d’olio d’oliva a 224mila tonnellate, ovvero il 32% rispetto alla scorsa campagna. Se i dati saranno confermati farebbero retrocedere l’Italia dal secondo al quinto posto nel ranking mondiale dei principali Paesi produttori che sono nell’ordine Spagna, Turchia, Tunisia e Grecia. 

Ma nonostante tutto dalla filiera dell’olio arriva ancora una spinta fondamentale all’agroalimentare italiano, anche grazie a isole felici che ancora resistono, come nel caso della Toscana e di Reggello in particolare, che dal 1 al 3 novembre – al Palazzetto dello sport di via Latini 109, a ingresso gratuito dalla mattina alle ore 21 – tornerà a ospitare la Rassegna dell’olio extravergine, come sempre col Comune in un ruolo da protagonista del Comune.

Forte di un’area dove operano 25 produttori e 6 frantoi, quest’anno le previsioni a Reggello sono in controtendenza rispetto a quelle nazionali e parlano di una produzione in crescita. Ne abbiamo parlato con Maurizio Sarti, agronomo esperto e docente all’indirizzo agrario dell’Isis Vasari di Figline Valdarno.

Intervista

Anche studenti e studentesse dell’Istituto saranno tra i protagonisti della Rassegna?

«Come scuola porteremo alcuni mezzi agricoli, tra i quali un trattore, coinvolgendo insieme alle classi anche gli agricoltori dell’area per far capire concretamente qual è il mondo del lavoro in questo settore. Assieme ai colleghi docenti cureremo inoltre degli interventi che spazieranno dagli aspetti storici fino alla meccanizzazione della raccolta degli olive, arrivando dunque a esplorare l'olivicoltura in epoca moderna».

Con la 51esima edizione di quest’anno, la Rassegna dell’olio extravergine di Reggello ha superato il mezzo secolo di vita: il clima che cambia, con sempre più eventi meteo estremi e temperature in rialzo, come ha cambiato la filiera dell’olio?

«Questo è un anno particolare per l’olivicoltura toscana, anche se alcune aree come nell’aretino hanno avuto più problemi, in generale ci sono tantissime olive: parliamo di circa 10-20 kg a pianta per gli impianti più intensi, fino a 40 kg per quelli radi. Il clima è stato fresco fino a giugno, e poi ha piovuto molto quando necessario per questo tipo di coltivazione, ovvero a settembre. Nei mesi centrali dell’estate il caldo è stato eccessivamente afoso, ma senza peggiorare la qualità o la quantità della produzione, e la raccolta appena iniziata sta procedendo bene.

Occorre però tenere presente l’andamento alternante delle singole piante, per il quale se quest’anno ci sono tantissimi frutti, il prossimo saranno tendenzialmente pochi, a meno che non si adottino particolari accorgimenti con potature annuale, che incidono però sui costi di gestione.

Più in generale il cambiamento climatico sta portando inverni sempre più miti con gelate brevi e sporadiche, favorendo la diffusione di agenti patogeni per gli olivi, dai funghi agli insetti. È utile ricordare che l’areale originario dell’olivo è il Medio Oriente, con un clima secco e asciutto, mentre adesso qui grava una maggiore umidità che ancora una volta favorisce la diffusione dei patogeni: si pensi alla mosca olearia, se anche quest’anno in Toscana avessimo avuto forti piogge tra luglio e agosto avrebbe avuto una diffusione enorme incidendo sui raccolti».

Il crollo della produzione a livello nazionale sta portando a rialzi dei prezzi, come già avvenuto un anno fa, tant’è che nel 2023 il 40% degli italiani ha dimezzato il consumo: come evitare che l’extravergine da simbolo della cucina mediterranea diventi prodotto sempre più inaccessibile?

«Al giusto prezzo oggi l’olio si vende tra i 14 e i 16 euro al litro, per contenere i costi occorre investire in cultura, innovazione e dunque meccanizzazione dei processi, riducendo così anche l’uso di manodopera non qualificata e dunque il rischio d’infortuni sul lavoro.

Innanzitutto dovremmo far capire che l’olio extravergine d’oliva andrebbe preso in considerazione solo per alcuni usi, si tratta di un prodotto pregiato da non impiegare sempre e comunque in cucina; per alcune preparazioni anche l’olio di girasole estratto a freddo, ad esempio, risulta ottimo. In quest’ottica il prezzo dell’extravergine potrebbe salire anche fino a 18-20 euro al litro, per quei prodotti tradizionali dove la raccolta delle olive viene ancora svolta a mano».

E per quanto riguarda il fronte della meccanizzazione?

«Qui un classico impianto conta un olivo ogni sei metri quadrati, si tratta dunque di circa 278 piante per 10mila metri quadrati. Si tratta di colture classiche, dove l’albero si sviluppa con la sua consueta forma rotonda, globosa. In Spagna e nel sud della Francia ormai da vent’anni stanno investendo anche su un approccio diverso per l’allevamento dell’olivo, dove la pianta si sviluppa come una siepe, in modo simile a quanto accade con la vite: ogni singolo olivo a quel punto produrrà meno, ma si possono creare impianti ultrafitti – passando da 278 a 2.500 piante per ettaro – e con un più elevato tasso di meccanizzazione. Nel complesso di tratta di un approccio che contiene molto i costi di produzione senza inficiare sulla qualità, anche se la durata dell’impianto è molto diversa: circa 20 anni mentre con piante globose si arriva anche oltre 50. Ovviamente cambia anche l’architettura del paesaggio, perché all’occhio è molto diverso avere una distesa di olivi globosi o sotto forma di siepe. Nelle aree più pregiate dal punto di vista paesaggistico potremmo passare da 1 olivo ogni 6 mq a 4-5 mq, mantenendo la forma globosa ma incrementando la meccanizzazione per abbassare i costi di produzione, mentre in aree più vocate sarebbe utile esplorare anche l’approccio a siepe già diffuso in altri Paesi mediterranei».

La Toscana si conferma leader del biologico in Italia con il 37,5% delle superfici davanti a Calabria (36,3%) e Sicilia (30,7%), raggiungendo già il target europeo del 25% previsto dalla strategia Farm to Fork. Anche per l’olivicoltura il biologico rappresenta un valore aggiunto?

«Quando si trova in un habitat adeguato l’olivo è una pianta che non ha bisogno di cure particolari, viene allevata senza forzature, tant’è che si parla di agroecosistema oliveto.

Entrare all’interno di un sistema di certificazione biologico ha costi elevati per le piccole imprese, tant’è che di fatto tanti olivicoltori sono bio – dato che la pianta non necessita di per sé di grandi cure – anche se non sono certificati. Chi si pone all’interno di un disciplinare sono aziende che smerciano quantità rilevanti d’olio extravergine, avendo ad esempio richieste dalla ristorazione, e dunque chiedono le certificazioni necessarie. Gli altri spesso rinunciano, anche perché i prezzi dell’extravergine sono già elevati ed è difficile immaginare di compensare il costo della certificazione con rincari sensibili del prodotto. Ma per sua natura la coltivazione dell’olivo si presta molto ad un approccio bio».

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.