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Per l’olio è crisi nera
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È finito il tempo in cui l’Italia era stabilmente tra i primi produttori mondiali di olio di oliva in una competizione che la vedeva gareggiare con Spagna e Grecia, oggi le quantità si fanno altrove e da quanto emerge dai Istat, presentati al convegno di Confagricoltura dei giorni scorsi, sarà sempre peggio.
I dati illustrati parlano chiaro la produzione di olio d’oliva nel nostro Paese è in calo strutturale, tra condizioni climatiche avverse, frammentazione produttiva (il 40% delle aziende olivicole ha meno di 2 ettari di oliveto), volatilità dei prezzi e della redditività. Il risultato? Negli ultimi 20 anni i volumi di olive raccolte si sono ridotti di oltre il 30%, quelli di olio più del 38%, mentre il calo delle superfici si è limitato al 3%. Il quadro emerso dal convegno è disarmante anche dal punto di vista della struttura aziendale e della qualità degli impianti che vedono oliveti sostanzialmente vecchi con piante che nel 61% dei casi hanno più di 50 anni e con densità per ettaro inferiore a 140 piante. Le aziende più strutturate sono poche, appena l’1,4% quelle che hanno più di 400 piante per ettaro.
Quello che succede all’estero, in Spagna e nei paesi del Magreb è esattamente l’opposto, nuovi impianti, grosse concentrazioni, alta resa, tipologie di piante più resistenti alle avversità climatiche hanno stravolto nel giro di pochi anni il mercato relegando l’Italia a un ruolo quasi marginale. Resta una qualità del prodotto italiano che universalmente viene riconosciuta, insieme a una storia, una tradizione e una naturale vocazione del territorio a produrre cibo di alto valore che dovrebbero essere le armi per resistere alla concorrenza. Anche di questo si è parlato al convegno di Confagricoltura con la promessa del governo di convocare il tavolo olivicolo entro il 15 marzo e entro l’anno la presentazione di un Piano Nazionale sul settore.