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Starbucks manda tutti a casa

Una lettera mette in smartworking 1.100 lavoratori in attesa di sapere se saranno licenziati o no
 |  Enogastronomia moda turismo

L’avevano chiamato per questo, Brian Niccol, rimettere in sesto un colosso, quello del caffè americano, in crisi di ricavi ma anche di gradimento. E lui non si è fatto pregare e con metodi che oggi potremmo definire Trumpiani ha inviato una lettera a 1.100 dipendenti in cui si chiedeva di stare a casa fino a ieri in attesa che l’azienda prenda le sue decisioni. Oggi, ma forse ci sarà un rinvio, dovrebbero ricevere la comunicazione ufficiale, se è positiva si torna al lavoro altrimenti gli uffici per quelle persone resteranno chiusi. Nei 1.100 non dovrebbero essere compresi i dipendenti delle torrefazioni e del magazzino. Il gruppo ha 16.000 dipendenti e l’obiettivo di Niccol è renderlo più snello anche perché le vendite ormai da tempo sono in calo, nel 2024 meno 2% con una tendenza che non sembra si riesca a invertire. Un modello cresciuto a dismisura soprattutto nella parte dirigenziale e manageriale che però avrebbe trascurato il valore iniziale del marchio, quello di offrire un caffè a buon mercato in uno spazio che in tutto il mondo è riconosciuto come una comunità. Ora invece i clienti, soprattutto americani, si trovano un caffè sempre più caro, tempi di attesa sempre più lunghi e senza quella confort zone che aveva fatto la fortuna di Startbucks. Ovviamente sull'aumento del bicchierone di caffè pesano gli aumenti della materia prima che sappiamo essere a sua volta frutto dei cambiamenti climatici. Ma non potendo agire su quello il tagliatore di teste ha fatto il suo mestiere.

Maurizio Izzo

Giornalista, responsabile comunicazione di una azienda che si occupa di produzioni video, organizzazione di eventi, multimedia. Ho prodotto numerosi documentari sulla cooperazione internazionale.