Cnr, a Venezia l’80% del paesaggio lagunare è minacciato dall’innalzamento del mare
Mentre c’è ancora chi s’interroga su come “difendere” il paesaggio dall’avanzata degli impianti necessari per produrre energia rinnovabile, la crisi climatica si sta mangiando – attraverso l’innalzamento del mare – l’80% del paesaggio lagunare veneto.
È quanto emerge da un nuovo studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), seccondo il quale l'innalzamento del livello del mare e il progressivo abbassamento del suolo stanno gravemente minacciando la diversità delle coste basse soggette all'azione delle maree.
«Prevediamo che entro il 2050 le morfologie lagunari, oggi situate tra 25 e 50 cm sopra il livello del mare, si ridurranno di 16 km², mentre quelle che oggi sono tra 0 e 25 cm si ridurranno di 18 km². Questa perdita di eterogeneità morfologica avrà un impatto negativo sui preziosi benefici ecologici che l'ambiente lagunare fornisce», spiega Luigi Tosi, dirigente di ricerca del Cnr-Igg di Padova.
In altre parole, entro il 2050 l'80% delle morfologie lagunari sarà classificato da moderatamente a estremamente vulnerabile, con un raddoppio delle aree colpite rispetto agli anni Novanta.
La vulnerabilità della laguna di Venezia, esposta sia all'innalzamento del livello del mare sia al contemporaneo abbassamento del suolo causato dall'affondamento del terreno, mette così a rischio le fragili strutture naturali del paesaggio lagunare, fondamentali per la biodiversità e la stabilità ecologica della laguna.
«Finora le strutture naturali della laguna hanno mostrato una certa capacità di adattarsi all'innalzamento del livello del mare – prosegue Tosi – Tuttavia, con l'accelerazione continua di questo fenomeno e la mancanza di nuovi sedimenti, il sistema lagunare sarà messo a dura prova. Le barriere mobili del Mose, se da un lato proteggono il centro storico dalle maree eccezionali, dall'altro riducono l'apporto di sedimenti alle aree emerse come le barene. Senza nuovi sedimenti, queste aree non riusciranno a crescere in altezza e rischiano di scomparire».
Come aggiunge Cristina Da Lio, ricercatrice di Cnr-Igg, già oggi «l'analisi ha evidenziato una situazione preoccupante di vulnerabilità, con conseguenze dirette sui servizi ecosistemici offerti. Tra i rischi più evidenti ci sono la perdita dell'importante meccanismo di assorbimento della CO2, la minaccia ai cicli vitali delle specie lagunari e il pericolo di un sovraccarico di nutrienti dannoso per l'equilibrio dell'ecosistema».
Ma a essere a rischio non è “solo” l’ecosistema naturale: uno studio internazionale pubblicato all’inizio di quest’anno documenta infatti che l’innalzamento del livello del mare guidato dalla crisi climatica in corso sta avanzando più velocemente di quanto pensassimo, con un dato medio atteso di +1 metro entro la fine del secolo.
«Solo in Italia, abbiamo scoperto che ci sono regioni che potrebbero perdere quasi il 21% del loro Pil a causa dell’innalzamento del livello del mare entro il 2100, mentre altre regioni potrebbero guadagnare circa il 2,3%», spiega il co-autore dello studio Ignasi Cortés Arbués.
Più nel dettaglio, è il Veneto la regione europea più esposta in assoluto a perdite economiche legate all’innalzamento del mare, che potrebbero tagliare il Pil dell’area del 20,84% entro la fine del secolo; segue la regione polacca Zachodniopomorskie (-12,1% del Pil), mentre per chiudere il podio delle perdite economiche lo studio torna in Italia con l’Emilia-Romagna (-10,16% del Pil).
Tra le altre regioni italiane più esposte al rischio spiccano Friuli Venezia Giulia, Toscana e Marche; a guadagnare una fetta di Pil a causa dell’innalzamento del mare potrebbero invece essere Basilicata (+2.36%), Calabria (+2,21%), Sardegna (+1,52%), Puglia (+1,36%) e Sicilia (+1,21%).
Gli autori dello studio propongono che ciò potrebbe essere dovuto al trasferimento della produzione dalle regioni costiere inondate alle regioni interne, o comunque meno esposte al fenomeno.