
Nelle aree più esposte al commercio internazionale c’è meno sostegno ad ambiente e clima

Secondo lo studio “Exposure to International Trade Lowers Green Voting and Worsens Environmental Attitudes” pubblicato recentemente su Nature Climate Change da Charlotte Bez (Scuola Superiore Sant’Anna e Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung), Valentina Bosetti e Italo Colantone (università Bocconi) e Maurizio Zanardi (University of Surrey), i decisori politici che, in occidente, vogliono fare progressi nell’azione per il clima dovrebbero affrontare le conseguenze distributive del commercio internazionale.
Il team di ricercatori ha indagato le determinanti economiche del voto e degli orientamenti verdi negli Stati Uniti e in Europa, scoprendo che «Gli individui che vivono in aree più esposte al commercio internazionale mostrano un minore sostegno ai partiti ambientalisti e atteggiamenti più scettici nei confronti dei cambiamenti climatici». E fanno notare che «I nostri risultati sono in linea con la teoria della deprioritizzazione delle problematiche ambientali, in quanto le preoccupazioni economiche indotte dal commercio aumentano la rilevanza delle questioni economiche. Gli shock economici che portano a una distribuzione non uniforme delle preoccupazioni economiche risultano avere implicazioni sul modo in cui le persone pensano ai cambiamenti climatici e sulla misura in cui sono disposte a votare per i partiti ambientalisti».
L’analisi copre gli Stati Uniti e 15 Paesi dell’Europa occidentale nel periodo 2000-2019 e considera le differenze di esposizione al commercio nelle diverse aree geografiche subnazionali e il team di ricerca ricorda che «E’ dimostrato che tale esposizione influisce in modo significativo su un Environmentalism Score index che misura la propensione ideologica di ciascuna area in termini di ambientalismo. Nel dettaglio, ai partiti concorrenti in una determinata area viene attribuito un punteggio (environmentalism score), che viene ponderato in base alla loro quota di voti nell’area. L’effetto dell’esposizione al commercio è statisticamente significativo e sostanzialmente importante, sia in Europa che negli Stati Uniti».
Gli autori hanno notato quella che definiscono «Una risposta “sociotropica” degli elettori, che sembrano reagire alla concorrenza delle importazioni nella loro area indipendentemente dal loro grado di esposizione personale».
Elaborando i risultati di grandi indagini precedenti, gli autori dello studio sono anche in grado di dimostrare che «L’esposizione al commercio influisce non solo sul comportamento di voto, ma anche sugli orientamenti ecologici: le persone più esposte alla concorrenza delle importazioni sono meno preoccupate per i cambiamenti climatici e meno propense a sostenere politiche verdi».
La Bosetti, che lavora anche per il RFF-CMCC European Institute of Economics and the Environment c del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici di Lecce, sottolinea che «I nostri risultati portano alla luce un ulteriore elemento che risulta importante per la valutazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism – CBAM), attualmente in discussione». Il CBAM è una tariffa sul carbonio per i prodotti ad alta intensità di carbonio importati nell’Unione europea da Paesi con una regolamentazione ambientale meno rigida, che entrerà in vigore nel 2026, con una fase transitoria iniziata all’inizio di ottobre 2023. Secondo la Bosetti, «Tassando l’esternalità climatica, la CBAM potrebbe ridurre la crescita delle importazioni ed evitare in parte un ulteriore deterioramento della situazione socioeconomica dei gruppi sociali esposti al commercio. Inoltre, questo meccanismo genererà entrate che potrebbero essere utilizzate per compensare le famiglie vulnerabili.
Colantone conclude: «La sfida climatica sarà molto più difficile da vincere senza un approccio politico maggiormente inclusivo nel gestire i cambiamenti strutturali, come il commercio internazionale o l’automazione. Tanto più che i perdenti della transizione verde, come i lavoratori manifatturieri poco qualificati impiegati nelle industrie inquinanti, tendono a sovrapporsi in modo significativo ai gruppi sociali che sono già stati colpiti negativamente dalla globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici negli ultimi tre decenni».
