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Crisi climatica? Per le grandi banche Usa, con Trump alla Casa bianca, è come scomparsa

I sei più grandi istituti finanziari statunitensi – da JpMorgan a Bank of America a Goldman Sachs – e il più grande gestore patrimoniale al mondo – BlackRock – dicono addio alle Alleanze Net Zero. La ong Reclaim finance: «In passato hanno affrontato minacce da destra. Ora gli enti europei diano un segnale opposto»
 |  Crisi climatica e adattamento

Trump ancora non si è insediato alla Casa bianca e la battaglia contro i combustibili fossili già perde alleati. A saltare sul carro del vincitore, dopo i big tech alla Zuckerberg e Bezos (Musk si era schierato col tycoon nella fase dei sondaggi), sono i big della finanza statunitense. Sedotti dalla sirena del «drill, baby, drill» trumpiano, fondi di investimento e grandi gruppi bancari stanno uno dopo l’altro lanciando chiari messaggi ai fan delle trivelle e dicendo addio ai diversi tipi di “Alleanza Net Zero”. Come se la crisi climatica magicamente e di colpo non esistesse più, come se il global warming non stesse effettivamente mostrando a Los Angeles come in altre zone del pianeta che siamo di fronte a (anzi, nel bel mezzo di) un problema dannatamente concreto, come se il taglio delle emissioni di CO2 non fosse più una necessità, letteralmente parlando, di vitale importanza, tutte e sei le più grandi banche statunitensi che quotidianamente portano avanti operazioni per miliardi di dollari e che inevitabilmente indirizzano in un determinato senso l’economia mondiale, ecco tutte e sei queste banche si sono ritirate dalla Net-Zero Banking Alliance (Nzba), che è il gruppo dei maggiori istituti di credito al mondo impegnati negli obiettivi sul clima delle Nazioni unite. 

JPMorgan Chase, il più grande istituto finanziario d’America e del mondo, è stato l’ultimo ad annunciare, la scorsa settimana, la sua uscita dall’alleanza per l’azione per il clima. Una decisione che ha fatto seguito a quelle di Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup e Wells Fargo, che hanno abbandonato il gruppo internazionale poco dopo la vittoria dei Repubblicani alle elezioni di novembre e praticamente in contemporanea con le varie conferme da parte di diversi enti di ricerca statunitensi ed europei che il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato. 

E dopo questi addii, che per l’ong Reclaim Finance sono arrivati «apparentemente per paura delle critiche dell’amministrazione Trump»,  un altro arrivederci e grazie è arrivato dal mondo dell’alta finanza lasciando un altro tipo di Alleanza Net Zero orfana di un pezzo da novanta: BlackRock, il più grande gestore patrimoniale al mondo con un portafoglio di oltre 11 mila miliardi di dollari, pochi giorni fa ha fatto sapere che ha deciso di rivedere le sue azioni sulle politiche climatiche e di abbandonare la Net Zero Asset Managers, nata nel 2021 dopo la Cop26 di Glasgow. Il motivo? Secondo quanto riferisce una lettera dei vertici del principale asset manager mondiale ai clienti riportata dall’agenzia Reuters, l’adesione all’alleanza per il clima «ci ha sottoposto a indagini legali da parte di vari funzionari pubblici». 

Il problema di questi addii, già pesanti, è l’effetto domino che possono ancora produrre. La Net Zero Asset Managers ora ha scritto ai membri rimasti facendo sapere che le attività del gruppo sono sospese e i partner della rete hanno dichiarato che verrà avviata una revisione della struttura stessa. E, per quanto riguarda il fronte bancario, il rischio adesso è che gli istituti di credito europei possano temere di perdere colpi (affari) se non si mettono sulla stessa corsia dei competitor statunitensi. Non a caso l’ong Reclaim finance, che pure in passato non è stata tenera con gli istituti europei per via dei finanziamenti indirizzati a favore del settore dei combustibili fossili, ora lancia un appello alle banche dell’Ue a non seguire le orme segnate oltreoceano. «Negli ultimi due anni le istituzioni finanziarie statunitensi hanno dovuto affrontare minacce da parte di politici e opinionisti di destra per la loro adesione ad alleanze net zero», spiega Reclaim finance. «Le banche europee e altre banche non devono usare l’uscita dalla Nzba delle banche statunitensi come scusa per indebolire i propri impegni climatici. Al contrario, hanno un’opportunità unica di incoraggiare la Nzba a rafforzare le sue raccomandazioni, adottando posizioni significative contro l’espansione dei combustibili fossili», dice Paddy McCully, analista senior della ong. Attualmente sono ancora 141 le banche che aderiscono all’Allenza per il clima. Quando gli istituti statunitensi stavano minacciando per la prima volta di lasciare la Nzba, ricorda Reclaim finance, alcuni dei principali nomi europei si lamentavano privatamente che avrebbero voluto che le linee guida del gruppo fossero più forti, ma i membri statunitensi stavano bloccando tutti i possibili progressi più significativi. Ora è il momento di dimostrare che era effettivamente così e che ora, dopo gli addii, quelle linee guida diventeranno davvero più forti, anche prevedendo l’esclusione di finanziamenti a settori responsabili di massicce emissioni di gas serra. 

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.