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L’Artico ormai emette più CO2 di quanta ne assorba

Le analisi condotte dall’Agenzia statunitense per l’osservazione atmosferica e oceanica (Noaa) evidenziano che la tundra si sta trasformando in una fonte di emissioni di carbonio a causa del riscaldamento globale e dei frequenti incendi
 |  Crisi climatica e adattamento

L’Artico è una delle regioni maggiormente colpite dal cambiamento climatico, e ora sta emergendo un altro dato allarmante, oltre a quello riguardante la drastica riduzione del ghiaccio marino. Secondo una serie di monitoraggi e di analisi condotte dall’Agenzia statunitense per l'osservazione atmosferica e oceanica (National oceanic and atmospheric administration, Noaa) questa importante porzione del pianeta sta ora emettendo ora più CO2 di quanta ne assorba. Il fenomeno, viene spiegato dagli scienziati statunitensi, è causato principalmente dalla degradazione della vegetazione e dall’aumento degli incendi boschivi nella tundra artica.

La tundra, che ha immagazzinato CO2 nel permafrost per millenni, si sta trasformando in una fonte di emissioni di carbonio a causa del riscaldamento globale e dei frequenti incendi. Le fiamme bruciano la vegetazione e la materia organica del suolo, rilasciando CO2 e accelerando il disgelo del permafrost, che libera ulteriori quantità di carbonio accumulato. Secondo il rapporto (Arctic Report Card: Update for 2024), quello che si sta per chiudere è stato il secondo anno con il maggior numero di emissioni derivanti da incendi boschivi a nord del circolo polare artico. Questa situazione, aggravata dalla mancata riduzione delle emissioni fossili, minaccia di accentuare ulteriormente gli effetti del cambiamento climatico.

Come se non bastasse, dal rapporto Noaa emergono anche altri dati tutt’altro che positivi. A cominciare dal fatto che le temperature annuali dell’aria superficiale dell’Artico nel 2024 sono risultate le seconde più calde dal 1900. L’autunno 2023 e l’estate 2024 sono stati particolarmente caldi in tutta la regione, con temperature rispettivamente al secondo e terzo posto dall’inizio del secolo scorso. Un’ondata di calore all’inizio di agosto 2024 ha fatto registrare temperature giornaliere record in diverse comunità dell’Alaska settentrionale e del Canada. E ancora: gli ultimi nove anni sono i nove più caldi mai registrati nell’Artico, l’estate 2024 nell’Artico è stata la più piovosa mai registrata e le precipitazioni nell’Artico hanno mostrato una tendenza all’aumento dal 1950 al 2024, con gli aumenti più pronunciati in inverno.

Spostando lo sguardo dall’aria all’acqua, le cose non vanno meglio. Nel settembre 2024, l’estensione del ghiaccio marino, che ha una profonda influenza sull’ambiente artico, è stata la sesta più bassa nei 45 anni di registrazione satellitare. Tutte le 18 estensioni minime di ghiaccio di settembre più basse si sono verificate negli ultimi 18 anni. Le regioni dell’Oceano Artico prive di ghiaccio in agosto si sono riscaldate a un tasso di 0,5°F (0,3°C) per decennio dal 1982. Nella maggior parte dei mari poco profondi che circondano l’Oceano Artico, le temperature medie di agosto della superficie del mare sono state di 2-4°C più calde rispetto alle medie del periodo 1991-2020.

Né va meglio guardando ciò che succede sulla terraferma. Si è detto del fatto che a causa del calore e degli incendi la regione della tundra artica è passata dall’immagazzinare carbonio nel suolo a diventare una fonte di anidride carbonica: dal 2003 le emissioni circumpolari di incendi boschivi sono state in media di 207 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. Ma c’è di più. L’Artico rimane una fonte costante di metano. Le temperature del permafrost dell’Alaska sono state nel 2024 le seconde più calde mai registrate. Le temperature più calde hanno tra l’altro un impatto sugli spostamenti e sulla sopravvivenza dei caribù. Le popolazioni di questa specie sono diminuite del 65% negli ultimi vent’anni. E si prevede che l’impatto del caldo estivo sulle mandrie di caribù aumenterà nei prossimi 25-75 anni, rendendo necessaria una conoscenza condivisa tra scienziati e comunità del Nord per le strategie di gestione.

Per quanto riguarda la neve, nonostante l’accumulo superiore alla media, la stagione delle nevicate e della permanenza è stata la più breve degli ultimi 26 anni in alcune zone del Canada artico centrale e orientale. Lo scioglimento delle nevi artiche si sta verificando con 1-2 settimane di anticipo rispetto alle condizioni storiche nei mesi di maggio e giugno. La perdita di massa della calotta glaciale della Groenlandia è la più bassa dal 2013.

Redazione Greenreport

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