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Quando il Mar Mediterraneo perse il 70% della sua acqua

La Crisi di Salinità Messiniana e l’evoluzione biologica, climatica e dei fenomeni geologici estremi
 |  Crisi climatica e adattamento

Lo studio “Chlorine isotopes constrain a major drawdown of the Mediterranean Sea during the Messinian Salinity Crisis”, pubblicato recentemente su Nature Communications da un team internazionale di ricercatori del quale faceva parte anche Angelo Camerlenghi dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (OGS) ha evidenziato il significativo calo del livello del Mar Mediterraneo durante la crisi di salinità del Messiniano, un importante evento geologico che trasformò il Mediterraneo in un gigantesco bacino salinoa.
La Crisi di Salinità Messiniana è un l fenomeno geologico avvenuto tra 5,97 e 5,33 milioni di anni fa, caratterizzato da una drastica riduzione dell’afflusso d’acqua proveniente dall’Oceano Atlantico e dalla conseguente transizione del Mediterraneo inizialmente da mare a bacino ipersalino, e quindi a lago con acqua dolce o salmastra. Le modalità dell’accumulo di oltre 1 milione di chilometri cubi di rocce evaporitiche (carbonati, gesso e salgemma) in questa fase sono diventate una controversia scientifica tra le più longeve nelle Scienze della Terra. L’eccesso di evaporazione rispetto all’ingresso di acqua marina dall’Oceano Atlantico che ha causato la deposizione del sale secondo alcuni può aver comportato un abbassamento del livello del mare superiore al chilometro; secondo altri l’intera massa d’acqua del Mediterraneo si è trasformata in una salamoia non accompagnata da un’apprezzabile diminuzione del livello del mare.
I modelli del movimento delle placche litosferiche nel bacino del Mediterraneo rivelano ch,e circa 6 milioni di anni fa, la spinta dell’Africa contro l’Eurasia portò alla chiusura temporanea dello Stretto di Gibilterra. Insieme ad un calo generale del livello degli oceani, questa chiusura isolò il Mediterraneo dalle acque dell’Oceano Atlantico. Il livello del mare iniziò quindi a scendere per effetto dell'evaporazione e che gli apporti dei fiumi che sfociavano nel bacino non riuscirono a compensare. Anche lo scavo degli attuali canyon sottomarini profondi e le tracce di erosione nelle zone costiere sono indicativi di questa crisi idrologica senza precedenti nella storia geologica della regione.
All’OGS spiegano che il nuovo studio «E’ riuscito a dimostrare che lo spesso strato di sale presente sotto il fondale del Mediterraneo, formatosi nel corso della Crisi di Salinità Messiniana, prese forma in due momenti distinti. Il team è giunto a queste conclusioni analizzando per la prima volta la composizione degli isotopi stabili del cloro nel salgemma (cloruro di sodio), per poi ricostruire attraverso modelli la sua precipitazione volumetrica nel corso del tempo».
Il principale autore dello studio, Giovanni Aloisi, dell’Université Paris Cité, Institut de Physique du Globe de Paris – CNRS, Dice che «I risultati del nostro studio suggeriscono che la crisi di salinità del Messiniano è stata divisa in due fasi . Durante la prima, durata circa 35.000 anni, il Mediterraneo non era infatti del tutto scollegato dall’Oceano Atlantico. Tra i due bacini potevano avvenire scambi limitati, che consentivano di mantenere un livello del mare elevato. Tuttavia, il flusso dal Mediterraneo all’Atlantico non era sufficiente a mantenere l’equilibrio chimico tra l’acqua di mare e il sale disciolto. Il mare cominciò quindi a concentrarsi in sale, al punto da consentire la precipitazione, la deposizione e il lento accumulo di salgemma sul fondo del bacino, in particolare nella sua parte orientale».
Grazie ad un'analisi dei due isotopi stabili del cloro (³⁷Cl e ³⁵Cl) che ha permesso di stimare il tasso di accumulo del sale e di rilevare l'eventuale abbassamento del livello del mare, gli scienziati hanno tracciato le due fasi di questo essiccamento estremo e al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) che ha guidato la ricerca evidenziano che «In una prima fase, circa 35.000 anni fa, i sali si depositarono nella parte orientale del Mediterraneo a causa di una parziale limitazione del suo flusso verso l'Atlantico. Durante una seconda fase, più breve (meno di 10.000 anni), i sali si accumularono in tutto il Mediterraneo, provocando un rapido prosciugamento del mare».
Aloisi spiega che, «Sotto l'effetto dell'evaporazione, il livello del mare scese molto rapidamente. Questo è l’inizio della seconda fase ”, spiega il ricercatore. In soli 10.000 anni il Mediterraneo perderà il 70% del suo volume d’acqua! In alcune località, in particolare nei bacini situati ad est della Sicilia, l'abbassamento del livello del mare raggiungerà anche 1,7-2,1 chilometri. Questa situazione porterà alla precipitazione e alla rapida deposizione di una grande massa di salgemma. E’ probabile che ampie zone dei margini ma anche dei fondali marini siano state poi completamente prosciugate».
Lo sviluppo di un modello matematico ha permesso di interpretare questi dati in termini di velocità di precipitazione e altezza dell'acqua. I ricercatori evidenziano che «I nostri dati mostrano chiaramente una transizione brutale circa 5,6 milioni di anni fa, con un rapido abbassamento del livello del mare e una massiccia deposizione di evaporiti”, conferma il geologo. Supportano anche l'ipotesi di un'improvvisa inondazione del bacino 5,33 milioni di anni fa, che studi precedenti spiegano con l'improvvisa rottura dela soglia di Gibilterra » Le acque dell'Atlantico sarebbero allora confluite nel bacino asciutto. Un’alluvione anch’essa catastrofica che avrebbe impiegato solo pochi anni per riempire nuovamente il Mediterraneo».
I risultati dello studio permettono di comprendere meglio l’evoluzione biologica, climatica e dei fenomeni geologici estremi del passato, di come questo abbia cambiato la regione mediterranea e delle sue ripercussioni su scala globale.
I ricercatori evidenziano che «Nel Mediterraneo occidentale, infatti, la diminuzione del livello del mare fece emergere un ponte continentale tra Africa ed Europa, situato nell’area compresa tra l’attuale Penisola Iberica meridionale e le Isole Baleari. Questo collegamento permise uno scambio tra forme di vita che influenzò la successiva composizione della fauna vertebrata dell’arcipelago balearico. La riduzione del carico della massa d’acqua sulla litosfera avrebbe generato risalite magmatiche diffuse in tutta l’area del Mediterraneo».
Aloisi conclude: «In questo stesso periodo vediamo improvvisamente apparire su queste isole conigli e altri roditori, il che suggerisce che queste specie abbiano potuto approfittare di questa fase di basso livello del mare per colonizzare nuovi ambienti. Per quanto riguarda l'impatto sul clima, sembra che la perdita di questa enorme massa d'acqua abbia influenzato almeno leggermente la circolazione atmosferica globale e il regime delle piogge sulle Alpi. Se nel Miocene il clima era leggermente più caldo di quello attuale, non è tanto la temperatura, ma il regime idrologico del bacino che ha contribuito maggiormente al suo prosciugamento, in particolare il fatto che era scollegato dal bacino Atlantico. A meno che la tettonica a placche non porti ad un’ulteriore chiusura dello Stretto di Gibilterra, non c’è quindi motivo di temere che un simile episodio si ripeta, anche nell’attuale contesto di riscaldamento globale».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.