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Alla COP29 di Baku tempi duri per gli attivisti climatici e i difensori dei diritti umani

Nell’Azerbaigian amico dell’Italia si reprimono ambientalisti, giornalisti e oppositori
 |  Crisi climatica e adattamento

La 29esima Conferenza delle parti dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (COP29 Unfccc) in corso a Baku, nell’autoritario petrostato dell’Azerbaigian, sta forse segnando il punto più basso per la libertà di manifestazione ad eventi di questo tipo. In una COP che si svolge interamente al chiuso, alle ONG sono state riservate poche e anguste sale per potersi riunire ed è vietato manifestare perché altrimenti si disturbano i meeting ufficiali,
E’ l’immagine chiarissima di quel che denuncia il rapporto “Climate Talks and the Chilling Effect: Repression on the Rise”, pubblicato in occasione della COP29 da Climate Action Network (CAN), Publish What You Pay e Global Campaign to Demand Climate Justice e che denuncia che « Il mondo è alle prese con una repressione senza precedenti nei confronti di attivisti per il clima, difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici e altri che esprimono opinioni contrarie al loro governo». Per le tre grandi coalizioni di volontariato e attivismo civico, «Si tratta di un'epidemia che impedisce azioni essenziali sul clima e viola le leggi sui diritti umani in tutto il mondo. Senza queste voci della società civile, la lotta per la giustizia climatica non può avere successo, mettendo a repentaglio l'integrità degli stessi summit sul clima».
Il rapporto rivela come la repressione e le barriere, come le restrizioni sui visti e le speculazioni sui prezzi degli hotel, siano notevolmente peggiorate durante i più recenti COP Unfccc da Katowice fino a Baku, così come più di recente in Kenya, Germania e Regno Unito e avvete che «Senza un'azione urgente da parte dei governi e delle Nazioni Unite, anche la COP30 in Brasile potrebbe caderne vittima, avvertono le organizzazioni».
Il direttore esecutivo di CAN, Tasneem Essop, ha detto che «Senza una solida difesa dei diritti umani per tutti coloro che sfidano l'ingiustizia, difensori del clima, giornalisti e società civile, le fondamenta della giustizia climatica crollano, mettendo a repentaglio l'integrità della COP29 e di tutti i futuri summit sul clima. La repressione non mette a tacere solo gli individui; indebolisce il nostro potere collettivo di garantire un futuro sostenibile e giusto. Dai manifestanti pacifici in Kenya e Azerbaigian ai leader indigeni in America Latina, coloro che sono in prima linea stanno rischiando tutto per la società e il pianeta. La COP29 deve essere più di un summit di promesse. I governi devono alzarsi in piedi per porre fine alla persecuzione dei difensori del clima ora. Perché senza di loro, non abbiamo azione climatica: abbiamo parole vuote».
Dopo l'adozione dell'Accordo di Parigi nel 2015, sono stati assassinati oltre 1.500 difensori dei diritti umani e climatici e questa strage sembra non avere fine: l'ultimo bilancio delle vittime è di 2.100, con l'America Latina che registra il numero più alto di omicidi registrati al mondo. Sorveglianza, intimidazione, leggi draconiane e brutalità della polizia sono in aumento, tanto che Gina Romero, relatrice speciale Onu sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione, ha invitato i governi a «Prendere sul serio le narrazioni ostili che si stanno rapidamente diffondendo in tutto il mondo, anche nelle democrazie storiche, per denigrare e stigmatizzare le persone che esercitano le loro libertà fondamentali».
E la COP29 è ospitata dall’Azerbaigian, che non solo è diventato il protagonista delle politiche fossili di dell’Italia di Giorgia Meloni ma che, nonostante sia un Paese musulmano, è il principale fornitore di combustibili fossili di Israele, ha in corso una guerra di confine contro la cristiana Armenia ed è noto per le violazioni documentate dei diritti umani da parte del governo guidato da Ilham Aliyev, frampollo di una dinastia dittatoriale che governa initterrottamete l’Azerbaigian fin dai tempi dell’Unione Sovietica, passando dal comunismo al liberismo fossile più sfrenato.
Il rapporto denuncia che «Nel 2024, l'Azerbaijan ha assistito alla sua più grave repressione di sempre, con un forte aumento dei prigionieri politici, la presa di mira di accademici e le più severe restrizioni ai media nella sua storia come membro del Consiglio d'Europa».
Ma le ONG ricordano anche che «In Germania, nell'aprile 2024, la polizia ha represso pacifici manifestanti filo-palestinesi, con numerosi episodi di uso eccessivo della forza e detenzioni arbitrarie segnalati durante le dimostrazioni in grandi città come Berlino, mentre decine di rappresentanti della società civile e delegati provenienti da Africa e Asia hanno avuto difficoltà a ottenere i visti per partecipare agli UN climate talks di metà anno sul clima sul clima delle Nazioni Unite che si svolgono a Bonn».
Asad Rehman, direttore esecutivo di War on Want che aderisce alla Global Campaign to Demand Climate Justice (DCJ), ha soittolineato che «La morte e la distruzione causate dalla violenza climatica e dal genocidio a Gaza sono alimentate attivamente dalle azioni di Paesi ricchi come Usa, Regno Unito e Ue. Sono disposti a bruciare il sistema basato sulle regole, a distruggere il diritto internazionale e a non fingere più che le vite delle persone di colore contino. Quando le persone di coscienza si levano per proteggere il nostro pianeta e denunciare la complicità dei governi occidentali, delle sue banche e delle sue corporazioni che traggono profitto dalla repressione e alimentano la catastrofe climatica, vengono accolti con repressione, autoritarismo e criminalizzazione. Ci troviamo a un bivio con il futuro stesso dell'umanità in gioco, di fronte a una lotta per la vita o per la morte: da una parte il diritto di tutti a vivere con dignità o un mondo di muri e recinti e persone sacrificate».
A giugno, in Kenya diversi manifestanti pacifici e disarmati, molti dei quali giovani, sono stati uccisi e feriti dalla polizia durante le marce #RejectFinanceBill2024. Mentre nel Regno Unito ci sono attualmente 41 prigionieri politici, tra cui attivisti che hanno ricevuto quella che si pensa sia la condanna più lunga di sempre per protesta non violenta.
Ketakandriana Rafitoson, direttrice esecutiva di Publish What You Pay, evidenzia che «La crescente repressione degli attivisti sta soffocando le voci che contano di più nell'urgente passaggio a un futuro energetico più pulito ed equo. Mentre la dipendenza dai combustibili fossili svanisce, questa repressione non è solo ingiusta, ma è pericolosamente miope. Una transizione energetica giusta ed equa richiede uno spazio civico aperto e la partecipazione attiva di coloro che sono in prima linea, come Gubad Ibadoghlu in Azerbaigian, le cui intuizioni e resilienza sono fondamentali per realizzare un programma incentrato sulle persone per il pianeta».
Per affrontare quella che definiscono l'epidemia di repressione, Climate Action Network, Publish What You Pay e Global Campaign to Demand Climate Justice chiedono che «Tutti i governi, in particolare Azerbaigian, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kenya, Unione europea (in particolare Germania) e Regno Unito, devono porre fine alla repressione della società civile e dei giornalisti, rilasciare tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente e assicurare rapidamente alla giustizia i responsabili. Gli Stati e la comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite in tutti i suoi organismi, devono prendere sul serio le narrazioni ostili che si stanno rapidamente diffondendo in tutto il mondo, anche nelle democrazie occidentali, per denigrare e stigmatizzare le persone che esercitano le loro libertà fondamentali. Le parti dell’United Nations Framework Convention on Climate Change devono riconoscere il legittimo lavoro delle persone, dei gruppi e delle organizzazioni che difendono l'ambiente e i diritti umani, contribuendo alla giustizia climatica. Tutti i Paesi ospitanti riunioni ed eventi legati all'Unfccc, tra cui Azerbaigian, Brasile e Germania, rispettivamente ospiti della COP29, della COP30 e delle sessioni degli organismi sussidiari, dovrebbero garantire uno spazio civico aperto prima, durante e dopo gli eventi e comunicare le misure adottate per farlo. Tutte le Parti devono contrastare le rappresaglie e gli atti di intimidazione contro i popoli indigeni, i difensori o gli attivisti per il clima per il loro impegno con l'Unfccc, denunciando pubblicamente tutti i casi di rappresaglia e istituendo un punto di riferimento accessibile per le rappresaglie, con il mandato di raccogliere informazioni, condividerle con il Segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani e facilitare la riparazione dei danni».
Ma nel mirino dei gruppi per i diritti umani c’è proprio il governo azero, accusato di sfruttare la COP29 per reprimere gli attivisti ambientali e altri oppositori politici e – dopo le COP negli Emirati Arabi Uniti e in Egitto - è il terzo anno consecutivo che un Paese che ospita LA COP climatica è accusato di oppressione e di limitazione del diritto legale di protestare. Il governo azero respinge le accuse e afferma che non detiene prigionieri politici. Ma Natalia Nozadze di Amnesty International ha detto a BBC News che «Da quando l'Azerbaigian è stato annunciato come paese ospitante della COP29, nel novembre dell'anno scorso, è diventato più difficile opporsi al governo. Abbiamo assistito a un aumento drammatico degli arresti e alla repressione di tutte le questioni che il governo potrebbe ritenere critiche o contrarie alla sua agenda politica».
Il rapporto “Azerbaijan: Update: The Human Rights Situation in Azerbaijan ahead of COP29”, pubblicato il primo novembre da Amnesty Iternational espone le preoccupazioni sulla situazione dei diritti umani in Azerbaigian e denuncia che «includono violazioni dei diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica, rappresaglie contro i difensori dei diritti umani e i giornalisti, un divieto effettivo di monitoraggio indipendente dei diritti umani nel Paese, diffuse violazioni del diritto a un giusto processo e abuso del sistema di giustizia penale per scopi politici».
Secondo l'Unione Per la libertà dei prigionieri politici in Azerbaigian. Per la prima volta dall'inizio degli anni 2000 il numero di prigionieri politici - tra cui giornalisti, attivisti ambientalisti e oppositori politici - ha superato quota 300.
Ibadoglu, che insegna alla London School of Economics, studia le industrie del petrolio e del gas e le questioni ambientali dell'Azerbaigian, ma nell'estate del 2023 è stato arrestato con l'accusa di frode. Più di un anno dopo, resta agli arresti domiciliari. Human Rights Watch ha definito le accuse"dubbie e la figlia di Ibadoglu ha fatto appello al premier britannico Sir Keir Starmer affinché la aiuti a far rilasciare il padre.
Intervistato dalla BBC, Ibadoglu ha detto: «Penso che arrestare e detenere le persone che hanno il potere di influenzare l'opinione pubblica sia una delle regole del governo autoritario. La mia vita è in pericolo per motivi di salute».
Anar Mammadli è stato arrestato ad aprile con l'accusa di contrabbando, appena due mesi dopo aver co-fondato un'associazione ambientalista che chiede al governo azero di fare di più per allinearsi all'Accordo di Parigi , un importante trattato internazionale sulla riduzione delle emissioni di combustibili fossili. Gli attivisti ambientali vogliono che l'Azerbaigian riduca la sua dipendenza dal petrolio e dal gas, che finanziano circa il 60% del bilancio governativo. Ma a gennaio l’Azerbaijan ha annunciato che sta pianificando di espandere la produzione di gas nel prossimo decennio e Aliyev ha dichiarato alla COP29 che «Petrolio e gas sono un dono di Dio», poi è arrivata giorgia meloni – cristiana, madre e sovranista – che ha detto che quel dono di dio a un Paese musulmano e autoritario intende continuare a compralo, anzi ne comprerà ancora di più.
Bashir Suleymanli, un attivista climatico azero amico di Mammadli ha detto alla BBC: «La COP29, che avrebbe dovuto essere una piattaforma aperta e inclusiva per l'azione climatica, si sta rivelando tutt'altro. I gruppi della società civile che dovrebbero svolgere un ruolo cruciale nel chiedere conto ai governi sono stati messi da parte o repressI».
A ottobre Nazim Beydemirli è stato condannato a 8 anni di prigione a ottobre per estorsione. Era stato arrestato nel 2023 per aver protestato contro le attività di estrazione dell'oro vicino al suo villaggio. Per i suoi 15 mesi di detenzione preventiva non è stata presentata alcuna prova e il suo avvocato, Agil Lajic, dice che «Lle accuse sono infondate e fanno parte di un più ampio schema di silenziamento del dissenso in Azerbaigian prima della COP29».
Questo è il Paese al quale è stato consentito di i organizzare la COP29 e con il quale, nel nome dei valori occidentali, l’Italia intrattiene amichevolissimi rapporti politici e fruttuosi – per il regime azero – rapporti di economia fossile.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.