Cop29, mamma Giorgia si sostituisce alla presidente G7 e non prende impegni per il clima
«Quindi, come diceva William James: “Agisci come se quel che fai facesse la differenza. Perché la fa”. Vi ringrazio». Giorgia Meloni chiude il suo breve intervento alla Cop29 con una frase che suona come una beffa nei suoi stessi confronti. Nei cinque minuti precedenti, la premier italiana ha infatti dato il segno di quanto il nostro Paese non stia agendo per combattere la crisi climatica, di quanto le misure del governo non stiano affatto facendo la differenza. Tra i presenti a Baku, chi si aspettava dalla presidente del G7 un discorso di alto profilo e soprattutto l’indicazione di impegni concreti per accelerare la transizione energetica, procedere a passi spediti con la decarbonizzazione, rafforzare le misure di contrasto e adattamento alla crisi climatica, si è ritrovato ad ascoltare un remake sbiadito della hit «sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana»: «Sappiamo che potremmo non essere noi personalmente a beneficiare dei risultati degli sforzi che stiamo facendo. Ma non è questo l’importante. Io sono una madre, e come madre niente mi gratifica di più di quando lavoro per politiche che permetteranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un posto migliore».
E qual è questo «sforzo» da parte del governo italiano, quali sono le «politiche» messe in campo finora e quelle che si aggiungeranno? Nel discorso pronunciato nella sua toccata e fuga in Azerbaigian non ce n’è traccia. In quella manciata di minuti ci sono solo generici riferimenti alla «necessaria collaborazione di tutti» per raggiungere gli obiettivi, al bisogno di «condividere le responsabilità, superando le divisioni tra Nazioni sviluppate, economie emergenti ed economie in via di sviluppo», al fatto che «l’Italia intende continuare a fare la propria parte». Come? Ecco la risposta di Meloni: «Destiniamo già gran parte degli oltre quattro miliardi di euro del Fondo per il clima al Continente africano e continueremo a sostenere iniziative come il Green climate fund e il Loss and damage fund, oltre che a promuovere il coinvolgimento delle Banche multilaterali di sviluppo. Ma è altrettanto prioritario che il processo di decarbonizzazione prenda in considerazione la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. La natura va difesa con l’uomo al centro. Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori strada verso il successo. La strada giusta è quella della neutralità tecnologica, perché attualmente non esiste un’unica alternativa all’approvvigionamento da fonti fossili».
Ricapitolando: manteniamo fede agli impegni internazionali, ci sono approcci troppo ideologici, per la decarbonizzazione ci sono alternative alle rinnovabili. Quali? Tante, compresa una che non esiste. Eccola nelle parole della premier italiana: «Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a disposizione. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata. L’Italia è impegnata in prima linea sul nucleare da fusione». Quello, appunto, che ancora non esiste. Che se tutto va bene sarà disponibile tra una quarantina di anni. E intanto? Intanto il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è fermo al palo, nella manovra di Bilancio approvata dal Consiglio dei ministri c’è poco o nulla sulla transizione energetica, il decreto Ambiente tanto atteso si è rivelato una delusione e inoltre per la prima volta l’intero settore dell’elettricità ha firmato un appello congiunto a Palazzo Chigi chiedendo di modificare il Testo unico sulle rinnovabili che, sottolinea l’intera filiera dell’energia elettrica, anziché semplificare rende più difficile lo sviluppo di eolico e fotovoltaico nel nostro Paese. Ah, già, poi ci sarebbe il nucleare, su cui ogni tanto torna a parlare il ministro Pichetto Fratin. Non quello da fusione, ma da fissione, che tra l’altro richiederebbe prima di tutto un Deposito per i rifiuti radioattivi che ancora manca all’appello e che, quando finalmente sarà realizzato, per ammissione dello stesso titolare del Mase «in base alle stime attuali, potrà ottenere l’autorizzazione nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039».
Qualcuno si lascia andare a commenti impietosi sulla differenza con l’intervento del premier spagnolo Pedro Sánchez, che sempre di fronte alla platea di Baku ha parlato tra le altre cose del contributo di 17,5 milioni di euro stanziati dal suo governo per il Fondo di Adattamento nel 2024 e ricordato che la Spagna «ha superato gli obiettivi fissati mobilitando 1.400 milioni di euro per i finanziamenti per il clima con due anni di anticipo rispetto al previsto». Con una punta di ironia, efficace sintesi e citazione cinematografica, il think tank italiano sul clima Ecco tira questo bilancio della presenza e delle parole della nostra premier a Baku: «Il buono - La presenza di Giorgia Meloni alla Cop29 è un buon segnale per il multilateralismo e la Presidente ha invitato tutti i Paesi a condividere la responsabilità per il nuovo obiettivo finanziario. Meloni ha inoltre ricordato alcuni impegni presi alla Cop28 di Dubai, tra cui il triplicare la capacità di rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica. Il brutto – Nessun nuovo impegno finanziario da parte dell’Italia. Il cattivo – Il continuo sostegno al gas, che coincide esattamente con le priorità dell’industria fossile, la stessa che ha supportato la vittoria elettorale di Trump e che non ha ancora mostrato soluzioni credibili per la crisi climatica. Chi perde sono cittadini e imprese, che rimangono legati ai prezzi alti dell’energia, trainati dal costo del gas, e le casse dello Stato (ricordiamo che la crisi del gas del 2021-2022 è costata oltre 90 miliardi)». Niente di buono vede invece Chiara Campione, direttrice del Programma di Greenpeace Italia: «L’intervento fatto oggi dalla premier Meloni alla Cop29 è talmente intriso di propaganda fossile che sembra essere stato scritto a quattro mani con Eni. Le sue parole ricalcano infatti in tutto e per tutto la retorica ingannevole con cui il colosso italiano del gas e del petrolio cerca di bloccare ogni possibilità di cambiamento nel nostro Paese. Meloni mente sapendo di mentire quando sostiene che non ci siano alternative alle fonti fossili, ignorando deliberatamente le energie rinnovabili, già mature e disponibili, che potrebbero garantire una via d’uscita dalla crisi climatica».