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«Ingiustificato l’incremento di capacità di trasporto della Tap»

La Cop29 tra il petrostato Azerbaigian e un’Italia alle prese col rischio dipendenza da gas

Lo studio realizzato dal think tank per il clima Ecco evidenzia i pericoli connessi ai rapporti commerciali instaurati da Roma e Baku: verso il nostro Paese il 57% del petrolio e il 20% del gas azeri
 |  Crisi climatica e adattamento
Southern gas corridor - sgc.az

Si è aperta ieri a Baku la Cop29, e il think tank per il clima Ecco ha diffuso uno studio che merita di essere letto con molta attenzione, soprattutto da noi italiani. Riguarda le relazioni energetiche tra il nostro Paese e l’Azerbaigian ed è piuttosto eloquente già dal titolo: “Rischi di una dipendenza dal gas nella transizione”. Il punto centrale viene spiegato con molta chiarezza già dall’abstract, in cui si sottolinea l’importanza del vertice in corso in questi giorni per dare slancio all’impegno della Cop28 sulla necessità di abbandonare le fonti fossili, con però un’aggiunta riguardante l’identikit del Paese che ospita il summit internazionale e alcuni dettagli riguardanti la politica energetica italiana: «L’analisi – si legge nel testo introduttivo dello studio realizzato da Ecco – conferma che l’intensificarsi di una dipendenza dal gas dell’Azerbaigian, un’economia fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas, non è supportata da condizioni di domanda europea stabili tali da giustificare nuovi investimenti infrastrutturali. Continuare a scommettere sul gas puntando su un mercato europeo che presenta una domanda di gas in calo nei prossimi cinque anni, non solo non è allineato agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma espone l’Italia e l’Azerbaigian al rischio di stranded assets, in infrastrutture che difficilmente potranno essere ripagate. Per questo, l’Italia dovrebbe incentivare l’Azerbaigian a intraprendere un percorso di diversificazione economica, promuovendo progetti di energia rinnovabile e una pianificazione industriale a lungo termine che garantisca la stabilità economica e ambientale anche in vista degli impegni climatici globali, dimostrando in questo modo come il percorso di decarbonizzazione coincide con quello di creazione di resilienza e sicurezza nelle economie globali».

Perché questi richiami particolari all’Italia e ai rapporti energetici che intrattiene con l’Azerbaigian? Il punto di partenza è che questo Paese ha uno sviluppo economico fortemente centrato sulle vendite all’estero di gas e petrolio, arrivando al 95% del totale: i combustibili fossili rappresentano oltre il 90% dei proventi da esportazioni, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto interno lordo (Pil). Quanto alla particolare attenzione riservata dallo studio all’Italia è presto detta: se è vero infatti che l’Ue è il primo partner commerciale dell’Azerbaigian, seguito da Russia e Turchia, un’ulteriore analisi di questo dato mostra che il nostro Paese beneficia di una gran parte di questa fetta europea. Non solo. «Il centro dell’asse Roma–Baku rimane incentrato sull’energia fossile», viene sottolineato nello studio di Ecco.

La spiegazione? «L’Azerbaigian esporta verso l’Italia il 57% del proprio petrolio, rappresentando quest’ultima il primo mercato di destinazione del petrolio azero. Per l’Italia, l’Azerbaijan è tra i primi fornitori di petrolio, con una media all’incirca del 15% dell’import totale. Allo stesso modo, il Paese si è rivelato un partner essenziale all’interno della strategia italiana di diversificazione dal gas russo. Ad oggi, infatti, Baku esporta circa il 20% della sua produzione di gas in Italia. L’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, rappresentando ad oggi circa il 16% dell’import totale di gas. La volontà di ampliare la cooperazione energetica tra i due Paesi passa attraverso l’intenzione di raddoppiare il gasdotto Trans adriatic pipeline (Tap) che dovrebbe passare da una capacità di 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno (Mld mc/a)».

Ma ha senso questa strategia energetica? Da quel che risulta agli esperti di Ecco, no. Anzi, ci sono rischi sia economici che politici connessi a un ulteriore intensificarsi della nostra dipendenza dal gas azero: «Per quanto riguarda la domanda di gas, nonostante la rilevanza che Baku ha assunto nel processo di diversificazione delle forniture di gas dalla Russia, è stato dimostrato che l’incremento della capacità di trasporto del Tap non è giustificato all’interno di scenari che vedono l’Italia e l’Europa perseguire un percorso coerente con gli obiettivi climatici nazionali ed europei al 2030, nonché con gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi. Gli scenari del lavoro ‘Lo stato del gas’, e nello specifico quello di decarbonizzazione del Fit-for-55 costruito su una domanda gas come data dal Pniec, dimostra come l’infrastruttura esistente sia già in grado di coprire i volumi di consumo richiesti e addirittura assicurare un volume di export dell’Italia di oltre 7 miliardi di metri cubi l’anno». Inoltre, né le politiche di decarbonizzazione né le attuali condizioni di mercato fanno prevedere un sostegno esterno per gli ulteriori investimenti necessari allo sviluppo di nuovi giacimenti e al potenziamento delle infrastrutture presenti in Azerbaigian. Questa è dunque la conclusione a cui arrivano gli esperti di Ecco, per quanto ci riguarda: «Continuare a scommettere sul gas puntando su un mercato europeo che presenta una domanda di gas in calo nei prossimi cinque anni rischia perciò di esporre Italia e Azerbaigian a incrementare, in una relazione di dipendenza già marcata, ulteriori rischi di stranded assets in infrastrutture che difficilmente potranno essere ripagate».

Ma lo studio pone l’attenzione anche sul futuro del paese ospitante la Cop29, perché le politiche per la transizione energetica devono andare avanti e «il 70% delle entrate pubbliche dell’Azerbaigian sarebbe a rischio se non si dovesse attuare alcuna strategia di mitigazione del rischio e riforma che sostenga un processo di una diversificazione economica». La Cop in corso, viene sottolineato, rappresenta dunque un’occasione per l’Azerbaigian «per riconoscere apertamente le sfide connesse alla sua economia fossile e, insieme agli altri membri della Troika – Emirati Arabi Uniti e Brasile – delineare una strada praticabile verso la decarbonizzazione dei Paesi produttori, favorendo un’ambizione climatica più condivisa». 

In questo contesto, proprio per il peso che attualmente rappresenta dal punto di vista commerciale, anche l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. Come? Ecco le tre priorità individuate nello studio realizzato da Ecco. Primo punto: «I piani di aumento di esportazione di gas dall’Azerbaigian verso l’Italia si inseriscono in un quadro dove scommettere sul gas espone a numerosi rischi. Se l’Italia vuole perseguire un percorso coerente con gli obiettivi climatici nazionali ed europei al 2030 nonché gli impegni internazionali dell’Accordo di Parigi non è necessario investire in nuova capacità a gas. Scommettere sul gas, perciò, significa rischiare di generare stranded assets, ossia investimenti che andranno persi in quanto non più remunerativi. In merito, gli investimenti delle principali società partecipate coinvolgerebbero e metterebbero a rischio anche capitali pubblici». Secondo punto: «Impostare una relazione incentrata sul gas senza prevedere misure di supporto alla diversificazione economica significa condannare il Paese ad un futuro di entrate incerte e a rischio, con ripercussioni sulla sostenibilità di bilancio e salute economica dell’esportatore». Terzo e ultimo punto: «L’Italia, in quanto primo partner commerciale, dovrebbe farsi promotore di misure che possano accompagnare il processo di diversificazione economica dell’Azerbaigian, per esempio tramite l’attivazione di nuove forme di diplomazia economica e industriale per l’identificazione di progetti a zero emissioni che possano favorire lo sviluppo di settori alternativi a quello petrolifero e di una pianificazione a lungo termine».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.