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I dati dell’Indice globale Ghi

Emergenza fame: +26% in 4 anni a causa di guerre e crisi climatiche

Senza rapida inversione di tendenza, nel 2030 oltre 580 milioni di persone saranno ancora cronicamente denutrite, la metà in Africa
 |  Crisi climatica e adattamento
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Obiettivo Fame zero entro il 2030? È sempre più lontano. Se si manterrà questo ritmo, il mondo raggiungerà un livello di fame basso con un ritardo di  almeno130 anni, ovvero soltanto nel 2160.

Mentre a Baku si apre la Cop29, vengono diffusi i nuovi dati dell’Indice globale della fame (Global hunger index - Ghi), tra i principali rapporti internazionali sul tema, presentato in Italia da Fondazione Cesvi. Ebbene, dal dossier emerge che gli eventi climatici estremi e le guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in appena quattro anni il numero di persone che soffrono la fame. Questi due fattori, sempre più frequenti e violenti, in un solo anno hanno fatto aumentare i livelli di malnutrizione di oltre 200 milioni di persone. Gli eventi meteorologici estremi, in particolare, nell’ultimo anno hanno peggiorato i livelli di fame in 18 Paesi, facendo precipitare in condizioni di insicurezza alimentare acuta oltre 72 milioni di persone, 15 milioni in più rispetto al 2022. Senza rapida inversione di tendenza nel 2030 582 milioni di persone saranno ancora cronicamente denutrite, la metà in Africa. Non solo. Dal rapporto emerge anche quello che può lecitamente essere definito il paradosso delle donne: sono oltre il 60% delle persone che soffrono la fame, ma hanno il ruolo di pilastro della sicurezza alimentare delle loro famiglie. E poi un altro dato, che non può lasciare indifferenti, il numero di bambini a rischio già nei primi giorni di vita o addirittura ancor prima della nascita.

Il rapporto – curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015, di cui anche Cesvi è parte, e da quest’anno insieme anche a Ifhv  Institute for international law of peace and armed conflict) parte dal fatto che nel 2023 sono state 733 milioni (oltre 152 milioni in più rispetto al 2019) le persone che hanno sofferto la fame, una persona su 11 nel mondo e una su cinque in Africa. Sono, invece, quasi 3 miliardi quelle che non hanno potuto permettersi una dieta sana a causa dell'aumento dei prezzi alimentari e della crisi del costo della vita. «L’insicurezza alimentare acuta e il rischio di carestia sono in aumento e l'uso della fame come arma di guerra sta dilagando - spiega Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi – e alla base di questi dati allarmanti c'è uno stato di crisi permanente causato da conflitti diffusi, dal crescente impatto dei cambiamenti climatici, da problemi di ordine economico, dalle crisi del debito e dalle disuguaglianze. Intervenire è ancora possibile, anche se diventa sempre più urgente farlo in maniera rapida e strutturata. Alcuni Paesi hanno, infatti, dimostrato che il progresso è un obiettivo realizzabile: in Somalia, Bangladesh, Mozambico, Nepal e Togo, per esempio, si sono registrate notevoli riduzioni dei punteggi di GHI sulla malnutrizione, anche se la fame resta comunque un problema serio».

L’Indice globale della fame (Ghi) misura la fame a livello globale, regionale e nazionale basandosi su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Quest’anno il punteggio Ghi del mondo è di 18.3, ovvero fame a livello moderato, ma è una parola che non mostra immediatamente tutti i dettagli della realtà. Che non è rassicurante. In 6 Paesi (Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen), nonostante i miglioramenti in alcuni di essi, è stato riscontrato un livello di fame ancora allarmante e in ulteriori 36 un livello di fame grave. 

In ben due terzi dei 130 Paesi esaminati nell’edizione 2024 del Ghi, la denutrizione non ha registrato miglioramenti o è addirittura aumentata. In particolare, in 22 Paesi con punteggi di Ghi 2024 moderati, gravi o allarmanti, è stato rilevato un peggioramento rispetto al 2016 e in 5 Paesi (Venezuela, Siria, Libia, Giordania e Figi) addirittura anche rispetto al 2000. In base alle attuali proiezioni del GHI, al ritmo attuale, sono almeno 64 i Paesi che non raggiungeranno livelli di fame bassi, tanto meno l’obiettivo Fame Zero, entro il 2030. Si stima infatti che, con il ritmo attuale, nel 2030, 582 milioni di persone saranno ancora cronicamente denutrite, la metà delle quali in Africa; un numero paragonabile alla popolazione denutrita nel 2015, anno in cui il mondo si è impegnato a eliminare la fame entro il 2030. 

Dal Ghi emerge, inoltre, che l'insicurezza alimentare acuta si sta rapidamente aggravando, con condizioni di carestia in crescita, in diversi Stati e territori, tra cui Gaza, Sudan, Haiti, Burkina Faso, Mali e Sud Sudan e che solo in un numero ridotto di Paesi (Bangladesh, Mongolia, Mozambico, Nepal, Somalia e Togo) sono stati registrati miglioramenti significativi, sebbene continuino ad essere presenti livelli di fame troppo elevati.  

In America Latina e Caraibi il rallentamento della crescita è aumentato anche tra il 2016 e il 2023, con situazioni critiche nei territori di Haiti, Brasile e Argentina. Haiti, in particolare, è tra i paesi con i maggiori aumenti nei punteggi Ghi tra il 2016 e il 2023, principalmente a causa dell'aumento della malnutrizione: i livelli di fame stanno aumentando drasticamente, mentre il Paese affronta una serie di shock concomitanti, tra cui piogge irregolari, inflazione e turbolenze politiche che hanno generato violenze delle bande e sfollamenti interni.

Oltre a valutare le tendenze e ad analizzare i livelli della fame, il report Ghi di quest'anno approfondisce l'importanza di affrontare la disuguaglianza di genere per raggiungere la resilienza climatica e l'obiettivo Fame Zero. «La disuguaglianza di genere è una delle minacce più pervasive allo sviluppo sostenibile e alla realizzazione del diritto al cibo – spiega Piziali – le donne sono infatti protagoniste di un vero e proprio paradosso: sono oltre il 60% delle persone che soffrono la fame pur essendo un pilastro della sicurezza alimentare delle loro famiglie. Oltre il 43% della forza lavoro agricola nei Paesi in via di sviluppo è infatti femminile, anche se le donne possiedono una minima percentuale delle terre agricole e hanno accesso limitato a risorse come sementi, fertilizzanti e credito».

L'insicurezza alimentare delle donne si ripercuote sui bambini. La malnutrizione infantile è infatti strettamente correlata a quella materna, perpetuando un ciclo intergenerazionale di fame e povertà che colpisce i bambini già nei primi giorni di vita o ancor prima della nascita: oltre 9 milioni di donne e ragazze soffrono di malnutrizione acuta in gravidanza e durante l’allattamento. La situazione peggiora ulteriormente con la crescita: sono oltre 36 milioni i bambini sotto i 5 anni malnutriti e tra questi oltre 9 milioni soffrono di malnutrizione grave e hanno quindi bisogno di cure urgenti. 

Inoltre, proprio mentre a Baku si apre la Cop29 il Ghi denuncia che la fame nel mondo si sta rapidamente aggravando anche a causa delle crisi climatiche sempre più frequenti ed estreme. Nel solo 2023 si sono verificate 399 catastrofi naturali, più di 1 al giorno. Questi eventi hanno provocato 86.473 morti e colpito 93,1 milioni di persone, causando 202,7 miliardi di perdite economiche. Gli eventi meteorologici estremi, in particolare, nell’ultimo anno hanno peggiorato i livelli di fame in 18 Paesi, facendo precipitare in condizioni di insicurezza alimentare acuta oltre 72 milioni di persone, 15 milioni in più rispetto al 2022.

Nel mondo milioni di persone sopravvivono grazie all’agricoltura e sono quindi particolarmente sensibili alle variazioni climatiche. Se non ci saranno cambiamenti di rotta, i raccolti di grano, riso e mais potrebbero ulteriormente diminuire, colpendo in particolare le comunità rurali, le famiglie a basso reddito e i gruppi già marginalizzati che sono fra i più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Tra le regioni più colpite l'Africa Sub-Sahariana, il Sud-Est Asiatico e l'America Latina. 

La situazione è particolarmente critica nell’area del Corno d’Africa, alle prese con una crisi climatica estrema, segnata dall’alternarsi di lunghissimi periodi di siccità e devastanti inondazioni. In Somalia, il livello di malnutrizione è ormai gravissimo e stagioni consecutive di scarse precipitazioni, problemi di sicurezza, effetti della guerra in Ucraina e conseguenze dei cambiamenti climatici hanno spinto le comunità più vulnerabili al limite

A peggiorare la situazione alimentare mondiale anche le guerre e i conflitti armati, come dimostra il caso emblematico della Striscia di Gaza, che in meno di un anno ha visto il 96% della popolazione (2,15 milioni di persone) precipitare nell’insicurezza alimentare catastrofica o acuta.

Le operazioni militari hanno rapidamente devastato le infrastrutture agricole e di pesca del territorio e inferto un duro colpo anche all’allevamento. Quasi il 68% dei terreni agricoli di Gaza è stato danneggiato, riducendo drasticamente la produzione di cibo. Il 52,5% dei pozzi agricoli (1.188) e 44% delle serre sono stati gravemente compromessi, le attività agricole interrotte molte aree sono contaminate da ordigni inesplosi: si stima che ci potrebbero volerci fino 14 anni per eliminare tutte le minacce esplosive. Le attività di pesca sono state gravemente compromesse a causa del blocco navale e degli attacchi alle imbarcazioni, riducendo notevolmente la disponibilità di pesce, una risorsa alimentare cruciale per Gaza. Gravissima anche la situazione degli allevamenti con il 95% del bestiame andato perduto. La distruzione di infrastrutture vitali come le riserve idriche e le strutture di trattamento dell'acqua ha ulteriormente aggravato la crisi: l'accesso limitato all'acqua potabile ha aumentato il rischio di malattie legate alla malnutrizione e alle condizioni igieniche carenti.

La situazione è poi particolarmente critica in Sudan, Paese che sta affrontando un’emergenza fame di dimensioni mai viste dai tempi della crisi del Darfur dei primi anni 2000: l'escalation del conflitto, la distruzione deliberata del sistema alimentare del Paese, la perturbazione dei meccanismi di adattamento della popolazione e la difficoltà di accesso degli aiuti umanitari hanno portato il Paese sull'orlo della carestia. Attualmente sono oltre 20,3 milioni le persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta, con un aumento di 8,6 milioni in un solo anno. 

Il devastante effetto dei conflitti sulla malnutrizione non risparmia l’Europa: anche l’Ucraina a causa della guerra nell’ultimo anno ha visto peggiorare il proprio punteggio Ghi sulla malnutrizione. 

Sebbene i punteggi Ghi siano migliorati significativamente negli ultimi due decenni, l’Africa a sud del Sahara e l’Asia meridionale restano le regioni con i livelli di fame più alti del mondo, con punteggi Ghi rispettivamente di 26,8 e 26,2 (livello grave).

L'Africa subsahariana registra le percentuali più elevate di denutrizione e mortalità infantile. Tra il 2016 e il 2023, la denutrizione è aumentata soprattutto in Africa occidentale e centrale, a causa di conflitti e crisi economiche. Nel 2022, il 72% della popolazione non poteva permettersi una dieta sana, il tasso più alto al mondo. Inoltre, in cinque Paesi della regione, oltre 1 bambino su 10 muore prima dei cinque anni, ed è l’area che detiene il più alto tasso di mortalità neonatale globale (40%). A questo si aggiungono le conseguenze dei cambiamenti climatici che hanno ridotto la produttività agricola del 34% dal 1961 nella regione. In Zimbabwe e Zambia una delle peggiori siccità mai registrate ha devastato le colture di sussistenza. Analogamente, molti paesi dell’Africa orientale hanno sperimentato la siccità più grave degli ultimi 40 anni, che ha portato a mancati raccolti, perdite di bestiame, riduzione della disponibilità d'acqua e un aumento dei conflitti.

L’alto livello regionale di fame dell’Asia meridionale è determinato in gran parte dall’aumento della denutrizione e sottonutrizione infantile a livelli costantemente alti, provocata alla scarsa qualità della dieta, dalle difficoltà economiche e dal crescente impatto delle calamità naturali. La regione detiene il tasso più alto di deperimento infantile di tutte le regioni del mondo. In Afghanistan, la sicurezza alimentare è peggiorata dal 2016 a causa del conflitto, dell'instabilità economica e dei disastri che hanno colpito l'agricoltura e gli aiuti. Il Paese ha registrato un aumento significativo della denutrizione e uno dei più alti tassi di arresto della crescita infantile, pari solo al Niger. Il Pakistan è colpito da un’alta inflazione, deficit fiscali e calamità naturali. Le inondazioni estreme del 2022, legate ai cambiamenti climatici, hanno ulteriormente aggravato la crisi alimentare.

«Dal Ghi emerge con forza che non c’è più tempo –sottolinea Piziali – è improcrastinabile agire in maniera concreta e incisiva sul problema della fame, mettendo i diritti umani in primo piano nell’attuazione delle politiche sul clima, la nutrizione e i sistemi alimentari. In particolare, come emerge dalle raccomandazioni strategiche contenute del rapporto è fondamentale rafforzare il senso di responsabilità nei confronti del diritto internazionale e l'applicabilità del diritto a un'alimentazione adeguata, promuovere approcci trasformativi di genere ai sistemi alimentari e alle politiche e programmi climatici e fare investimenti che integrino e promuovano la giustizia di genere, climatica e alimentare, ridistribuendo le risorse pubbliche in modo da correggere le disuguaglianze strutturali».

Redazione Greenreport

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