Piogge e venti mortali della tempesta Helene aumentati dal riscaldamento causato dai combustibili fossili
Mentre l’uragano Milton terrorizza i cittadini della Florida, gli esperti della World weather attribution (Wwa) esortano le regioni interne degli Stati Uniti a prepararsi a inondazioni «inimmaginabili» rese più probabili dal riscaldamento causato dai combustibili fossili. Stando a una serie di indagini condotte dai ricercatori provenienti da Stati Uniti, Europa e Regno unito, il cambiamento climatico ha peggiorato le forti piogge e i venti generati dalla tempesta Helene, che ha provocato almeno 235 morti in sei Stati Usa.
Lo studio realizzato dagli scienziati della Wwa ha combinato tre diversi metodi di attribuzione dei fenomeni meteorologici estremi e un'analisi della vulnerabilità e dell'esposizione. I risultati sono quelli che seguono. Primo: gli uragani di intensità pari a quella di Helene sono oggi circa 2,5 volte più probabili nella regione, si prevedeva che si verificassero in media ogni 130 anni e ora sono previsti con una probabilità di 1 su 53 in un dato anno. Secondo: la velocità del vento dell’uragano Helene sulla costa della Florida è stata di circa 13 mph (21 km/h) ovvero dell’11% più intensa di quanto registrato in analoghi eventi meteo osservati in passato a causa del cambiamento climatico. Terzo: i cambiamenti climatici hanno aumentato le precipitazioni di Helene di circa il 10%. Quarto: le alte temperature del mare che hanno alimentato l’uragano Helene sono state rese 200-500 volte più probabili dai cambiamenti climatici. Quinto, in conclusione: gli Stati Uniti devono prepararsi a inondazioni «inimmaginabili», non solo sulla costa, a causa dell’aumento delle precipitazioni degli uragani.
Spiega Ben Clarke, ricercatore presso il Grantham Institute - Climate Change and the Environment, dell’Imperial College di Londra: «Il cambiamento climatico rappresenta una vera e propria svolta per gli uragani come Helene. Come risultato del riscaldamento provocato dai combustibili fossili, ha scaricato circa il 10% di precipitazioni in più, creando scene apocalittiche nel sud-est degli Stati Uniti. Se l’uomo continuerà a bruciare combustibili fossili, gli Stati Uniti dovranno affrontare uragani ancora più distruttivi».
L’uragano Helene ha lasciato una scia di devastazione lunga più di 800 km nel sud-est degli Stati Uniti a fine settembre. Alimentato da temperature oceaniche estremamente calde nel Golfo del Messico, superiori alla media di circa 2°C, l’uragano si è intensificato rapidamente, trasformandosi da una tempesta di categoria 2 a una di categoria 4 solo poche ore prima di abbattersi sulla Florida Big Bend.
I venti sostenuti di Helene hanno raggiunto le 140 miglia orarie (225 km/h), provocando un’ondata di tempesta da record, alta fino a 4,5 metri, che ha inondato le zone costiere e costretto alcuni residenti a lasciare le loro case a nuoto. Helene ha poi scaricato enormi quantità di pioggia nell’entroterra, causando inondazioni estreme in Georgia, South Carolina, North Carolina, Tennessee e Virginia. Almeno 235 persone sono morte, rendendo Helene uno degli uragani statunitensi più letali degli ultimi 50 anni, secondo solo all’uragano Katrina del 2005.
Il cambiamento climatico, causato principalmente dall’immissione nell’atmosfera di massicce dosi di CO2generate dalla combustione di petrolio, gas e carbone, sta rendendo gli uragani più distruttivi.
Ma come è stato possibile valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sull’uragano Helene? I ricercatori hanno utilizzato tre metodi diversi: l’Imperial College Storm Model (Iris), il Climate Shift Index per gli oceani e l’approccio standard Wwa.
Utilizzando il metodo Iris, gli scienziati hanno scoperto che le velocità massime del vento di uragani come Helene sono diventate l’11% più intense a causa del cambiamento climatico. I ricercatori hanno anche scoperto che il numero di uragani intensi come Helene che colpiscono la Big Bend della Florida è diventato circa 2,5 volte più probabile.
Gli scienziati hanno anche analizzato il ruolo del cambiamento climatico sulle temperature calde del mare, che hanno fornito il carburante per la formazione di Helene e la sua rapida intensificazione in un uragano di categoria 4. Per farlo, hanno utilizzato il Climate Shift Index per gli oceani, uno strumento di attribuzione sviluppato dall’organizzazione di ricerca Climate central. Concentrandosi sulla traiettoria di Helene attraverso il Golfo del Messico, gli scienziati hanno scoperto che il cambiamento climatico ha reso la temperatura superficiale del mare insolitamente calda circa 200-500 volte più probabile.
Le forti precipitazioni causate dall'uragano Helene sarebbero state molto meno intense se l’uomo non avesse riscaldato il clima, spiegano i ricercatori. Utilizzando il consolidato metodo Wwa, che combina osservazioni meteorologiche e modelli climatici, gli scienziati hanno stimato che le precipitazioni che hanno colpito il sud-est degli Stati Uniti sono state rese più pesanti del 10% circa dai cambiamenti climatici. Se il riscaldamento raggiungerà i 2°C, cosa che potrebbe accadere già nel 2050 se il mondo non sostituirà i combustibili fossili con le energie rinnovabili, tempeste simili potrebbero far cadere complessivamente un ulteriore 10% o più di precipitazioni.
Le precipitazioni e i forti venti dell’uragano Helene erano stati ben previsti prima del suo arrivo, anche nelle regioni interne dove si è verificata la maggior parte dei decessi. Secondo i ricercatori, considerando che il cambiamento climatico consentirà agli uragani di spostarsi più all’interno e di trasportare più precipitazioni, saranno necessarie campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per evidenziare gli scenari peggiori di inondazione e i protocolli di evacuazione per contribuire a ridurre gli impatti.
Lo studio è stato condotto da 21 ricercatori del gruppo World weather attribution, tra cui scienziati di università e agenzie meteorologiche di Stati Uniti, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. Spiega Julie Arrighi, Director of Programmes al Red Cross Red Crescent Climate Centre: «Il nostro cuore va a tutte le persone colpite da Helene. Purtroppo, questo uragano è un ulteriore avvertimento che gli effetti del cambiamento climatico sono già qui. Dobbiamo accelerare la nostra preparazione per eventi meteorologici che capitano una volta nella vita e garantire che le nostre comunità siano adattate e in grado di resistere a eventi senza precedenti». Bernadette Woods Placky, Chief Meteorologist di Climate Central, sottolinea: «Il calore che le attività umane stanno aggiungendo all’atmosfera e agli oceani è come gli steroidi per gli uragani. Quando Helene si è avvicinato agli Stati Uniti, si è rafforzato da un uragano di categoria 2 a uno di categoria 4 in sole dieci ore. Questa rapida intensificazione si verifica sempre più spesso con il cambiamento climatico. Se l’uomo continua a riscaldare il clima, continueremo a vedere le tempeste trasformarsi rapidamente in uragani mostruosi, causando ulteriori distruzioni».
Osserva Friederike Otto, lead di Wwa e Senior Lecturer in Climate Science all’Imperial College di Londra: «Ancora una volta, il nostro studio ha dimostrato che gli uragani continueranno a peggiorare se l'uomo continuerà a bruciare combustibili fossili e quindi a riscaldare il pianeta. Gli americani non dovrebbero temere uragani più violenti di Helene: abbiamo tutte le conoscenze e la tecnologia necessarie per ridurre la domanda e sostituire petrolio, gas e carbone con energie rinnovabili. Ma è fondamentale che ci sia la volontà politica. Abbiamo bisogno di leader che siano onesti riguardo al fatto che affrontare cambiamento climatico è inevitabile se vogliamo che i diritti umani contino qualcosa e che le generazioni future non debbano vivere in un mondo di caos climatico».
E Gabriel Vecchi, professore di Geoscienze e direttore dell’High Meadows Environmental Institute di Princeton, chiosa: «Helene ci ricorda tragicamente che non sono solo le aree costiere a essere vulnerabili agli impatti dei cicloni tropicali e degli uragani: le tempeste più umide e più forti rappresentano una minaccia crescente anche nell'entroterra. È essenziale che la società non solo si impegni per adattarsi, ma riconosca anche che il riscaldamento e gli impatti climatici futuri dipenderanno dalle decisioni e dalle azioni che prenderemo ora e negli anni a venire. Dipende da noi: se riduciamo in modo significativo le emissioni di gas serra, renderemo più gestibile la sfida per le generazioni future».