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Lo studio sulle diseguaglianze effettuato da ricercatori Cmcc e pubblicato su Nature

Aria condizionata? Entro il 2050 consumi elettrici raddoppiati e 1.365 tonnellate di CO₂ in più. Ma pagheranno i più poveri

Il riscaldamento globale farà aumentare fino al 41% la diffusione dei condizionatori. Ci saranno ulteriori ripercussioni sul clima e a farne le spese saranno soprattutto le popolazioni più povere dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana
 |  Crisi climatica e adattamento

Un gesto che si compie senza pensarci troppo: accendere il condizionatore appena fa un po’ caldo per rinfrescare la casa o la stanza di lavoro. Un circolo vizioso a cui non si pensa affatto: in un mondo che si scalda sempre più a causa dell’alta concentrazione di CO2 presente nell’atmosfera, l’aumento dei consumi di energia per dare sollievo ai cittadini del cosiddetto nord del mondo renderà ancora più dura la vita per le popolazioni dei paesi poveri.

A inquadrare l’utilizzo dell’aria condizionata come fenomeno che produce ancor più disparità a livello globale e, all’interno delle singole società, aumenta il divario tra le fasce di reddito più agiate e quelle economicamente più in difficoltà è uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Nature con il titolo «Disuguaglianze nel consumo globale di energia per il raffreddamento residenziale fino al 2050». 

Secondo le analisi condotte da un gruppo di ricercatori - tre italiani del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e un professore associato della Boston University - in mancanza di un drastico abbattimento delle emissioni di gas climalteranti e con il perdurante aumento della temperatura media globale, l’utilizzo dei condizionatori in ambito residenziale potrebbe crescere dal 27% al 41%, a seconda degli scenari climatici che si verificheranno nei prossimi 15 anni. A seguito di ciò ci sarebbe un consumo doppio di elettricità rispetto ai livelli attuali e, di conseguenza, si registrerebbe un incremento della CO2 immessa nell’atmosfera tra le 590 e le 1.365 tonnellate. E se questa situazione è destinata a provocare pesanti conseguenze a livello planetario, a fare immediatamente le spese di tutto ciò saranno in primis l’Asia meridionale e l’Africa subsahariana e, andando ancor di più nel particolare, a soffrire maggiormente per le peggiorate condizioni climatiche sarebbero le famiglie più povere di queste zone, che non potrebbero permettersi l’acquisto e i costi di utilizzo di un condizionatore.

Nello studio pubblicato su Nature e rilanciato in Italia dal Cmcc si ricorda che la questione del raffreddamento degli ambienti è stata già affrontata nel corso dei vertici internazionali dedicati al clima. Durante la 28ª Conferenza delle parti (Cop28) della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), 64 paesi hanno firmato il Global cooling pledge con l’obiettivo di ridurre del 68% le emissioni legate al raffreddamento degli ambienti entro il 2050, aumentare l’accesso al raffreddamento sostenibile entro il 2030 e aumentare l’efficienza media globale dei nuovi condizionatori d’aria del 50%. 

Il ricorso all’aria condizionata, fino a non troppo tempo fa riservato soprattutto a luoghi commerciali, uffici pubblici e luoghi di lavoro, da diversi anni si è ampiamente diffuso nelle abitazioni private. E gli impatti che ciò avrà sui consumi energetici e sui divari che si creeranno tra i diversi paesi e tra le diverse fasce della popolazione dei singoli Stati è materia che richiede un serio approfondimento. 
«Valutare le proiezioni sull’adozione e l’utilizzo del raffreddamento e le loro disuguaglianze ha importanti implicazioni politiche per la pianificazione energetica globale, regionale e nazionale, nonché per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni», afferma Giacomo Falchetta, ricercatore del Cmcc e primo autore dello studio pubblicato da Nature. Dall’indagine emergono non solo le percentuali di aumento dei condizionatori sopra menzionate (come percentuale massima viene citato il 41%, ma sono stati presi in esame una serie di scenari che potrebbero portare a una forchetta compresa tra il 33% e addirittura il 48% di crescita entro il 2050) ma anche una serie di soluzioni che potrebbero mitigare gli effetti negativi di questo trend e le relative ricadute sui ceti più deboli, come l’approvazione di sussidi pubblici, le donazioni internazionali, una mirata pianificazione urbana ed edilizia, il raffreddamento passivo. Al contrario, viene evidenziato nello studio, in assenza di politiche mirate in questo senso, il maggior utilizzo di condizionatori sarà distribuito in maniera altamente diseguale tra regioni del mondo e tra gruppi di reddito. 

«Ci sono sempre più prove che indicano che l’accesso al raffreddamento è una questione sistemica e multidimensionale che si collega ai dibattiti sulla giustizia dell’adattamento ai cambiamenti climatici, e quindi è al centro delle conferenze climatiche globali», afferma Enrica De Cian, coautrice dello studio, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice del Cmcc.
Lo studio divulgato dal Centro, che tra l’altro già in passato si è occupato di questa tematica e delle ripercussioni sia sul piano mondiale che sull’Italia, si basa su un database di microdati raccolti a livello di nucleo familiare che copre più di 500 unità amministrative subnazionali in 25 paesi, e rappresenta il 62% della popolazione mondiale e il 73% del consumo globale di elettricità. Questo approccio metodologico e i risultati da esso derivanti costituiscono «un contributo importante per l’implementazione delle politiche da adottare», spiega Falchetta. «Ad esempio, mostriamo che in regioni altamente esposte, come l’Asia meridionale e l’Africa subsahariana, entro il 2050 l’aria condizionata sarà ampiamente disponibile solo per le persone appartenenti a gruppi a reddito più elevato, mentre la stragrande maggioranza delle famiglie più povere ne resterà priva».
Ora i dati di questo studio sono pubblicamente disponibili e potranno essere utilizzati da ricercatori e soprattutto dai decisori politici che dovranno discutere e approvare misure inerenti la salute pubblica, la pianificazione infrastrutturale, le più opportune politiche energetiche e climatiche.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.