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Come i media influenzano la percezione pubblica delle politiche climatiche

I resoconti dei media tradizionali e quelli dei social media sui negoziati climatici differiscono molto
 |  Crisi climatica e adattamento

In un momento storico di profonda e rapida trasformazione dei canali di informazione dell’opinione pubblica su temi cruciali, diventa sempre più importante capire come i diversi tipi di media influenzano il modo in cui sappiamo dei negoziati climatici e questo richiede un’analisi non solo degli account più seguiti sui social media, tra cui Facebook e Instagram, ma anche una documentazione del modo in cui i media mainstream trattano gli stessi temi.

Lo studio “Divergences between mainstream and social media discourses after COP26, and why they matter”, pubblicato recentemente su Oxford Open Climate Change da Mary Sanford della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) e dell’Oxford Internet Institute e da James Painter del Reuters Institute for the Study of Journalism e della School of Geography and the Environment della Oxford University, confronta come i media tradizionali in Australia, India, Regno Unito e Stati Uniti, insieme ad attivisti, politici, organizzazioni internazionali e celebrità su Facebook e Instagram, hanno reagito alla COP26, la conferenza Unfccc tenutasi a Glasgow, Scozia, nel 2021.

La Sanford evidenzia che «Il messaggio principale è che questi due mondi mediatici hanno descritto la COP26 in modo significativamente diverso, producendo una frammentazione nelle informazioni consumate dal pubblico riguardo eventi chiave di politica climatica. Questo potrebbe ostacolare la consapevolezza pubblica e la mobilitazione per l’azione climatica e il sostegno alle politiche».

Al CMCC dicono che il principale risultato dello studio è che «I media tradizionali hanno presentato il vertice come un passo nella giusta direzione, con diversi importanti giornali che lo hanno definito un successo, mentre figure chiave e leader d’opinione sui social media sono stati molto più critici, descrivendo il summit come un fallimento per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi globali di mitigazione e adattamento».

Inoltre, lo studio dimostra che i media tradizionali si sono concentrati maggiormente sulle accuse alla Cina e all’India di aver indebolito l’accordo sulle emissioni, lodando invece gli Usa e l’Unione Europea per la loro collaborazione pro-accordo. Invece, sui social media gli attivisti climatici hanno sottolineato il fallimento collettivo di tutte le delegazioni nel prendere impegni più forti.

La Sanford  fa notare che «Queste differenze sollevano domande su come il pubblico possa interpretare visioni contrastanti, capire di chi fidarsi e perché, e su come la crescente frammentazione delle diete mediatiche – con i giovani che ottengono sempre più notizie dai social media, mentre le generazioni più anziane continuano a preferire le fonti di informazione tradizionali – influenzi l’opinione pubblica sulle politiche climatiche».

Lo studio pubblicato su Oxford Open Climate Change è uno dei primi ad analizzare e confrontare rigorosamente la copertura dei media tradizionali e dei social media di un evento importante nella politica climatica, rivelando differenze che non erano ancora state prese in considerazione, dando quindi spunto per nuovi studi sul tema.

La Sanford conclude: «Studi qualitativi su piccola scala come questo sono importanti per stabilire verità di base su nuovi fenomeni, data la grande velocità con cui il panorama della comunicazione e dei media digitali continua a evolversi. Le divergenze che abbiamo rilevato tra i media tradizionali e i social media nelle valutazioni della COP26 riflettono la grande sfida che affrontiamo nel costruire una narrativa coesa sul cambiamento climatico e sulle politiche climatiche, un prerequisito per mobilitare efficacemente l’opinione pubblica».

Redazione Greenreport

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