Eni e Snam avviano il primo progetto di cattura e stoccaggio di CO₂. Le sigle ambientaliste: serve ben altro per decarbonizzare
Eni e Snam hanno avviato le operazioni di Ravenna Ccs, il primo progetto di cattura e stoccaggio della CO2 in Italia. Come spiegano le due società operanti nel settore energetico, sono partite le attività di iniezione di CO2 in giacimenti ad hoc per lo stoccaggio "permanente" del gas serra, col fine dichiarato di contribuire alla decarbonizzazione dei settori industriali. «Il progetto sta garantendo un livello di abbattimento superiore al 90%, e con punte fino al 96%, della CO₂» in uscita dal camino di una centrale di trattamento del gas fossile situata poco distante da Ravenna. Dice Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni: «Un progetto di grande importanza per la decarbonizzazione è diventato realtà industriale. La cattura e lo stoccaggio della CO₂ è una pratica efficace, sicura e disponibile fin da ora per abbattere le emissioni delle industrie energivore le cui attività non sono elettrificabili». La joint venture con Eni, spiega l’amministratore delegato di Snam Stefano Venier, si colloca «nella medesima traiettoria di analoghi progetti di interesse europeo a cui partecipiamo attraverso le nostre partecipate in Francia, Grecia e Regno Unito e dai quali ci attendiamo di poter attingere sinergie funzionali al successo di Ravenna Ccs».
Nei prossimi anni, secondo le stime formulate dalle due società, grazie allo sviluppo industriale di questo progetto, verranno stoccati fino a 4 milioni di tonnellate di CO2 l’anno entro il 2030, in linea con gli obiettivi definiti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) e «grazie alla capacità totale di stoccaggio dei giacimenti a gas esauriti dell’Adriatico, i volumi catturati e da immagazzinare nel sottosuolo potranno raggiungere 16 milioni di tonnellate all’anno in base alla domanda del mercato». In ogni caso una goccia nel mare, dato che le emissioni di Eni sono pari a 419 mln di ton di CO2eq l’anno, più di quelle dell'Italia intera.
Le attività di cattura e stoccaggio della CO2 sono state effettivamente inserite nel Pniec, un piano duramente criticato dalle associazioni ambientaliste, ed è vero che anche l’Intergovernmental panel on climate change (lpcc) non ha chiuso le porte di fronte alla possibilità di ricorrere a questa tecnologia per combattere la crisi climatica, pur sottolineando questo concetto: «In assenza di una marcata accelerazione ai tagli delle emissioni, i piani per raggiungere gli obiettivi del clima fissati a Parigi nel 2015 sono legate alla possibilità di catturare e immagazzinare le emissioni di anidride carbonica (CO2) in eccesso nell’atmosfera. Le tecnologie che ci permetterebbero (forse) di raggiungere questo obiettivo sono in via di sviluppo, ma portano con sé sfide, rischi e costi che pongono queste soluzioni al centro di un dibattito molto intenso».
Ecco, in questo dibattito molte associazioni ambientaliste si muovono su posizioni di netta contrarietà. Quello che serve davvero, spiegano, è un taglio delle emissioni, misure a sostegno dell’efficienza energetica e un’accelerazione riguardante i nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Greenpeace e ReCommon, riferendosi ai progetti di cattura e stoccaggio di CO2, parlano di una tecnologia «fallimentare» e di una «falsa soluzione» che non contribuirà a risolvere la crisi climatica e che viene sbandierata da Eni «per continuare a estrarre gas e petrolio». Un tasto su cui batte anche l’organizzazione Oil change international, che nei mesi scorsi ha diffuso un report dal quale emerge che nessuno dei piani per il clima messi a punto dalle 8 maggiori compagnie petrolifere (oltre all’italiana Eni, anche Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Equinor e ConocoPhillips) è in linea con gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi. Come a dire, altro che progetti per la cattura della CO2, servono ben altre misure e un complessivo cambio di rotta per contribuire alla decarbonizzazione e al contrasto del riscaldamento globale.