Il costo del cambiamento climatico sarà 6 volte più alto di quel che si credeva
Nel recente working paper “The Macroeconomic Impact of Climate Change: Global vs. Local Temperature”, Adrien Bilal dell’Harvard University e da Diego Känzig della Northwestern University, stimano che «I danni macroeconomici derivanti dal cambiamento climatico siano sei volte maggiori di quanto si pensasse in precedenza».
E’ la conferma di quanto rivelato dal un precedente studio “The economic commitment of climate change”, pubblicato su Nature ad Aprile da un team di ricercatori del Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK) e del quale greenreport.it aveva dato conto riportando le conclusioni di Anders Levermann del PIK. «Spetta a noi decidere. Un cambiamento strutturale verso un sistema di energia rinnovabile è necessario per la nostra sicurezza e ci farà risparmiare. Rimanere sulla strada che stiamo percorrendo porterà a conseguenze catastrofiche. La temperatura del pianeta può essere stabilizzata solo se smettiamo di bruciare petrolio, gas e carbone».
Gli scienziati del clima mettono da molti anni in guardia dalle conseguenze disastrose di un continuo aumento delle temperature globali, ma i macroeconomisti dicono che per affrontare il problema basternno modeste riduzioni di produttività e spesa man mano che il mondo si riscalda.
Bilal parla di una disconnessione sorprendente tra climatologi e macroeconomisti, ma il nuovo working paper fa con una previsione economica ancora più preoccupante di quelle precedenti: «Sfruttando la variabilità naturale della temperatura globale, abbiamo scoperto che un riscaldamento di 1° C riduce il PIL mondiale del 12%. La temperatura globale è fortemente correlata agli eventi climatici estremi, a differenza della temperatura a livello nazionale utilizzata in lavori precedenti, il che spiega la nostra stima più ampia. Utilizziamo questa evidenza per stimare le funzioni di danno in un modello di crescita neoclassico. Il riscaldamento business-as-usual implica una perdita di benessere attuale del 29% e un costo sociale del carbonio di 1.065 dollari per tonnellata. Questi impatti suggeriscono che la politica di decarbonizzazione unilaterale è conveniente per grandi Paesi come gli Stati Uniti».
Mentre nel 2023 partecipavano insieme a una conferenza, Bilal e Känzig hanno iniziato a interrogarsi sulle sfide della stima delle ricadute economiche del cambiamento climatico. Känzig spiega che «E’ davvero difficile calcolaelo, perché l'economia è in continua crescita a causa di altri fattori, come l'innovazione tecnologica ad esempio. Allo stesso tempo, uno dei sottoprodotti di quella crescita sono le emissioni che alimentano il cambiamento di temperatura».
Per dipanare questa complessità, i due scienziati hanno utilizzato un dataset di studi completati negli ultimi 15 anni à con formule che si basano sulla variazione di temperatura a livello nazionale. Känzig evidenzia che «Questo approccio consente di controllare molti di questi fattori confondenti»
Ma la temperatura locale non giustifica del tutto l'aumento degli eventi meteorologici estremi nel XXI secolo, con i loro effetti devastanti sul capitale e sulla produttività. Bilal fa notare che «Quando in Germania fa un po' più caldo, si tende a vedere più ondate di calore ma non più vento o precipitazioni. Ma quando la temperatura mondiale aumenta, si vedono di più tutti e tre i fenomeni. La temperatura globale è semplicemente molto più correlata agli eventi meteorologici estremi».
I due ricercatori hanno deciso di usare la variabile della temperatura per prevedere i danni al PIL in 173 paesi a partire dal 2024. Per riuscirci, hanno messo insieme un dataset che integra dati meteorologici ed economici risalenti fino a 120 anni fa. Poi hanno iniziato a modellare i risultati economici nel contesto del continuo riscaldamento previsto entro il 2100.
Bilal sottolinea che «Un altro modo di guardare ai nostri risultati è: cosa accadrebbe se la temperatura globale aumentasse di altri 2° C entro la fine del secolo? Abbiamo scoperto che questo ridurrebbe la produzione e il consumo del 50%. E’ una grande riduzione. E’ il doppio della Grande Depressione, ma durerà per sempre. La crescita economica continuerebbe. Potremmo essere ancora più ricchi nel 2100 di quanto lo siamo oggi. Ma nel 2100 saremmo il doppio più ricchi se non ci fosse il cambiamento climatico».
Per comprendere le implicazioni di questi risultati per la politica di decarbonizzazione, ricercatori hanno applicato la temperatura globale al “costo sociale del carbonio”, un modello sviluppato negli anni ’90 dal premio Nobel William D. Nordhaus, e a livello globale sono arrivati al costo sociale di 1.056 dollari a tonnellata, mentre un'altra stima recente (ancora una volta basata sulle variazioni della temperatura locale) ha fissato il costo globale a soli 185 dollari a tonnellata.
Utilizzando il loro nuovo metodo per ricalcolare il costo sociale per i soli Stati Uniti, Bilal e Känzig sono arrivati a 211 dollari a tonnellata, mentre il costo degli interventi federali di decarbonizzazione previsti dall'Inflation Reduction Act approvato nel 2022 dall’amministrazione Biden è stimato a 95 dollari a tonnellata.
Bilal conclude: «Il lato positivo dei nostri risultati è che la decarbonizzazione supera facilmente l’analisi costi-benefici per grandi economie come gli Stati Uniti e l’Unione Europea».