I virus si adattano ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche estreme
Secondo il nuovo studio “Glacier-preserved Tibetan Plateau viral community probably linked to warm–cold climate variations”, pubblicato su Nature Geoscience da un team di ricercatori statunitensi guidato da Zhi-Ping Zhong del Byrd Polar and Climate Research Center dell’Ohio State University (OSU), «Antichi virus conservati nel ghiaccio glaciale contengono informazioni preziose sui cambiamenti climatici della Terra».
Per decenni, il ghiacciaio Guliya, a oltre 6000 metri nell'estremo nord-ovest dell'altopiano tibetano, è stato per gli scienziati uno degli archivi naturali più ricchi per indagare sui cambiamenti paleoclimatici su vasta scala. «Ora – spiegano all’OSU - analizzando campioni di carote di ghiaccio recuperate dal ghiacciaio, i microbiologi hanno ricostruito pezzi di DNA virale rimasti al loro interno e hanno identificato quasi 1.700 specie virali, di cui circa tre quarti sono di nuova scoperta. Le trivellazioni nel ghiaccio preistorico non hanno implicazioni sulla salute degli esseri umani moderni, perché è probabile che questi virus dormienti da tempo abbiano infettato altri microbi dominanti anziché animali o esseri umani, ma i ricercatori hanno scoperto che i loro adattamenti hanno influenzato in modo significativo la capacità dei loro ospiti di sopravvivere in condizioni estreme durante le variazioni dei cicli climatici della Terra».
Zhong evidenzia che «Prima di questo lavoro, il modo in cui i virus sono collegati ai cambiamenti su larga scala nel clima della Terra era rimasto in gran parte inesplorato. Il ghiaccio glaciale è così prezioso e spesso non disponiamo delle grandi quantità di materiale necessarie per la ricerca su virus e microbi».
Mentre un riscaldamento globale senza precedenti continua ad accelerare lo scioglimento dei ghiacciai, la corsa contro il tempo per estrarre queste carote di ghiaccio prima che scompaiano per sempre ha solo contribuito ad aumentare il loro valore scientifico. Ad esempio, gli strati di ghiaccio esaminati dai ricercatori nel nuovo studio hanno fornito istantanee incontaminate di come i virus si sono comportati durante tre periodi freddi-caldi negli ultimi 41.000 anni.
I ricercatori evidenziano che «Tra i vari tipi di nuovi virus segnalati, la comunità virale più distinta osservata dal team risale a circa 11.500 anni fa, un periodo durante il quale si è verificata un'importante transizione climatica dal freddo dell'ultima fase glaciale al caldo dell'Olocene».
Per Zhong «Questo suggerisce che i microrganismi stavano reagendo ai cambiamenti climatici mentre le temperature globali passavano da fredde a calde, ma è ancora troppo presto per dirlo con certezza. Questo indica almeno la potenziale connessione tra virus e cambiamenti climatici».
Utilizzando tecnologie di sequenziamento avanzate per osservare più da vicino le firme genetiche dei virus, il team di ricrca ha dimostrato anche che «Sebbene la maggior parte dei virus trovati nel ghiacciaio fossero unici di Guliya, circa un quarto si sovrapponeva a organismi noti provenienti da altre aree del mondo». Zhong sottolinea che «Questo significa che alcuni di loro sono stati potenzialmente trasportati da aree come il Medio Oriente o persino l'Artico».
I ricercatori dicono che «Prendersi del tempo per comprendere meglio come i virus si sono evoluti durante le diverse ere climatiche fornisce spunti essenziali per prevedere come i virus moderni reagiranno e interagiranno probabilmente con il futuro riscaldamento dell'ecosistema». Inoltre, visto che gli organismi trovati nelle carote di ghiaccio ampliano la diversità di informazioni su quei periodi, trovare e sequenziare nuovo DNA virale antico potrebbe portare a un boom di nuovi misteri da risolvere e di nuove conclusioni scientifiche da trarre.
Uno degli autori dello studio Lonnie Thompson, professore di scienze della Terra all’OSU, aggiunge: «Per me, questa scienza è un nuovo strumento che può rispondere a domande fondamentali sul clima a cui altrimenti non avremmo potuto rispondere. Affinare queste tecniche sulla Terra fornirà probabilmente agli scienziati nuovi strumenti per ampliare la ricerca della vita negli ambienti spaziali, agevolando gli sforzi per trovare microbi nei campi di ghiaccio su Marte o sotto gli involucri ghiacciati di altri corpi planetari».
Lo studio fa notare che «I ricercatori che cercano di stabilire ulteriori connessioni virali e climatiche qui sulla Terra potrebbero anche trarre vantaggio dai prossimi progressi della tecnologia e dai diversi approcci scientifici alla ricerca. Tuttavia, il tempo stringe: queste tecniche devono essere implementate prima che il riscaldamento comprometta il ghiaccio glaciale necessario per preservare ed esplorare ulteriormente la ricca storia della Terra».
Thompson è ottimista su qel che si può fare: «Perché se lavoriamo insieme, queste tecniche hanno un grande potenziale per aiutarci ad affrontare una vasta gamma di problemi scientifici».
Lo studio è stato sostenuto dalla National Science Foundation, dall’Accademia cinese delle scienze, dalla Gordon and Betty Moore Foundation, dalla Heising-Simons Foundation, dal Joint Genome Institute del Dipartimento dell'energia Usa e dal loro Community Sequencing Program e un co-autore, Matthew Sullivan, professore di microbiologia e ingegneria civile, ambientale e geodetic all’OSU, conclude: «Il successo dello studio può essere attribuito al modo in cui l'approccio interdisciplinare adottato dal Byrd Polar and Climate Research Center e dal Center of Microbiome Science dell'Ohio State ha contribuito a far emergere nuove conoscenze scientifiche. Questo tipo di opportunità rappresenta l'unione di diverse discipline, ciascuna con i propri linguaggi scientifici come barriera per poter procedere. Ma arrivare a studiare virus e microbi antichi nel ghiaccio con questo team è una testimonianza del supporto che abbiamo avuto per esplorare nuove interfacce».