
La finanziarizzazione fa male alla green economy e alle energie rinnovabili

Il rapporto “Financialization's Negative Effect on the American Solar Industry” prodotto dall’American association for the advancement of science - Aaas, una delle più prestigiose istituzioni scientifiche del mondo (ed editrice della rivista Science), analizza l’effetto negativo della finanziarizzazione sull’industria solare statunitense, a partire dal ruolo crescente del settore finanziario Usa negli anni ‘80 e ‘90, quando la finanza spostò la sua attenzione dagli investimenti nell’economia reale, e quindi nella tecnologia, a quelli sui mercati speculativi.
Secondo l’Aaas, proprio il vorace neoliberismo finanziario ha compromesso l’emergente industria solare statunitense. Al contrario, in Giappone, i produttori di fotovoltaico sono rimasti indenni da quelle turbolenze finanziarie e hanno continuato a aumentare gli investimenti nella produzione di energia solare, raggiungendo quasi il 50% della quota di mercato globale entro il 2005, quando la quota di mercato degli Usa si era ridotta a circa il 9%.
L’Aaas sottolinea che «in un momento in cui è fondamentale capire come definire meglio le strategie di mitigazione del carbonio, questo caso di studio aiuta a valutare se tali sforzi sono ostacolati dalla finanziarizzazione, evidenziando il rapporto conflittuale tra finanza e produzione, almeno in questo caso».
Max Jerneck ha analizzato la crescita del solare in Giappone e negli Stati Uniti dagli anni ’60, quando la Nasa sviluppò le prime celle solari in grado di convertire la luce solare in energia elettrica. Mentre le grandi compagnie statunitensi acquistavano le piccole aziende pioniere delle tecnologie solari, sempre meno soldi andavano agli investimenti nel miglioramento della tecnologia, virando invece ad arricchire manager e finanzieri.
«Questo ha portato ad uno scollamento tra l'industria e la finanza – evidenziano all’Aaas – e, infine, ha provocato lo smantellamento o la vendita delle divisioni solari di molti conglomerati».
È così che, tra il 1978 e il 2005 la quota americana del mercato solare globale è scesa dal 95% a circa il 9%. Al contrario, il Giappone, la cui economia è circa la metà di quella Usa, pur essendo dipendente dal nucleare, ha favorito un mercato solare, che è ormai parecchie volte più grande rispetto a quello a stelle e strisce.
L'ingresso del Giappone nell’industria fotovoltaica è infatti iniziato con un forte intervento nei mercati dei semiconduttori e dell'elettronica ed è progredito senza cambiare la corporate governance, arrivando nel 2005 quasi al 50% della quota di mercato internazionale. Poi sono arrivati i cinesi a rimettere in discussione gli equilibri, superando rapidamente giapponesi, europei e americani.
«Questi casi di studio – conclude Jerneck – mettono in dubbio il successo del carbon pricing negli Usa. Mentre una carbon tax potrebbe rendere più competitive le industrie low carbon, il possibile fallimento dell’innovazione le lascia senza dubbio nell’incertezza. Al contrario, lo studio evidenzia la richiesta di politiche che mettano insieme il capitale produttivo e finanziario».
