Greenpeace: per proteggere i mari italiani dalla crisi climatica servono più aree marine protette
Secondo i dati emersi dalla “Relazione del quarto anno di Progetto Mare Caldo (2022-2023) - Monitoraggio degli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini bentonici di scogliera” pubblicato dal Dipartimento di scienze della terra, dell’ambiente e della vita (DiSTAV) dell’università di Genova. Greenpeace Italia ed Elbatech, »I nostri mari stanno subendo profonde trasformazioni per gli effetti, sempre più evidenti, del cambiamento climatico e delle anomalie termiche. Le gorgonie mostrano sempre più segni di mortalità, mentre si diffondono le specie termofile come il famigerato vermocane e quelle aliene provenienti dai tropici, che prediligono acque più calde».
I risultati del rapporto sono stati presentati oggi a Genova, a bordo della nave Arctic Sunrise di Greenpeace, durante il convegno “Obiettivo 30x30 - Proteggere il 30 per cento dei mari italiani entro il 2030” organizzato nell’ambito della spedizione “C’è di mezzo il mare”, a pochi giorni della Giornata internazionale del Mar Mediterraneo dell’8 luglio.
Dal rapporto emerge che «Nelle 12 aree di studio italiane che partecipano al progetto, di cui 11 sono in aree marine protette (AMP), appaiono evidenti gli effetti del riscaldamento dell’acqua, indipendentemente dalla localizzazione geografica e dal diverso livello di protezione ambientale. Il confronto tra le diverse aree ha evidenziato lo stato di maggiore sofferenza dell’ecosistema marino dell’Isola d’Elba, l’unica area non protetta tra quelle monitorate dal progetto Mare Caldo. Qui le comunità di scogliera sono infatti fortemente dominate da alcune specie e risultano essere meno resilienti alle conseguenze del cambiamento climatico».
Nel 2023 sono stati condotti i monitoraggi biologici nelle AMP di Capo Milazzo e delle Isole Tremiti e Greenpeace dice che «Gli organismi più sensibili sono risultati le diverse specie di gorgonie (Eunicella cavolini, Eunicella singularis, e Paramuricea clavata), le quali sono apparse spesso coperte dalla mucillagine, che in alcuni casi arrivava a coprire il 30-40% delle colonie. Segni importanti di sbiancamento sono stati riscontrati sulle alghe corallinacee incrostanti e sui madreporari Cladocora coespitosa e Astroides calycularis».
I monitoraggi condotti in questi anni indicano che «Le specie termofile tipiche di acque più calde, tra cui il pesce pappagallo (Sparisoma cretense), il barracuda mediterraneo (Sphyraena viridensis) e il vermocane (Hermodice carunculata), diventano sempre più abbondanti, specialmente nel sud Italia. Inoltre, sono sempre più frequenti le specie aliene provenienti dai mari tropicali che, grazie alla loro forte competitività e capacità di adattamento, alterano la biodiversità dei nostri mari e generano profonde alterazioni negli ecosistemi marini: ne sono un concreto esempio le specie di alghe verdi Caulerpa cylindracea e Caulerpa taxifolia».
Monica Montefalcone, docente di ecologia dell’università di Genova e responsabile scientifico del progetto ha spiegato che «La rete Mare Caldo di registrazione delle temperature del mare e i continui monitoraggi nel tempo degli effetti del riscaldamento sugli ecosistemi marini sono uno strumento efficace per comprendere le risposte degli ecosistemi marini al cambiamento globale, permettendoci così di suggerire azioni concrete da intraprendere per arginare tali effetti, come ad esempio l’aumento delle aree marine protette». ,
Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia ha concluso: «I monitoraggi del 2023 confermano gli impatti sempre più evidenti del riscaldamento del pianeta ma ribadiscono l’importanza della conservazione e dell’effetto positivo che le aree marine protette hanno sulla biodiversità. La mitigazione e la corretta gestione delle pressioni locali rappresentano le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini costieri. Laddove non esiste una protezione formale, come nel caso della stazione dell’Isola d’Elba, gli effetti negativi delle anomalie termiche sono ancora più evidenti. Tuttavia, anche le aree protette soffrono il riscaldamento delle acque marine, a riprova che se vogliamo salvare gli ecosistemi marini la riduzione delle emissioni di gas serra per contrastare la crisi climatica non è più rinviabile».