Greenpeace ha assegnato gli “Oscar del greenwashing” a stampa, politica e aziende italiane
Ieri sera a Roma si è tenuto il gran galà organizzato da Greenpeace per “premiare” con gli Oscar del greenwashing i protagonisti della disinformazione sul clima, sulla base dei risultati emersi nel rapporto su media e clima 2023, condotto dall’associazione ambientalista insieme all’Osservatorio di Pavia.
Ad aggiudicarsi l’Oscar per la categoria “politica” è stato il vicepremier e ministro Matteo Salvini, definito «senza rivali per la sua instancabile opera di disinformazione»; nella “stampa” spicca Il Sole 24 Ore, che tra i principali quotidiani italiani si è «distinto per avere dato più voce alle aziende inquinanti quando si parla di crisi climatica»; infine l’Oscar alle aziende assegnato a Eni – multinazionale a controllo statale che da sola emette più gas serra dell’Italia intera –, definita «l’azienda inquinante che più ha investito in pubblicità lo scorso anno in Italia, con quasi una pubblicità al giorno per lavarsi la coscienza».
L’evento romano è stato promosso da Greenpeace con la partecipazione di esperte ed esperti di Voci per il clima, il primo network indipendente di personalità del mondo della scienza, della comunicazione, dell’imprenditoria e della cultura impegnate per un’informazione corretta sulla crisi climatica.
La serata, condotta dalla giornalista di Presa Diretta Daniela Cipolloni, si è infatti aperta con gli interventi di Letizia Palmisano, giornalista ed ecoblogger, Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, e Marco Grasso, professore dell’Università Milano-Bicocca, che hanno animato un talk dal titolo “Voci contro il greenwashing: come smascherare la disinformazione sul clima”.
«Assegnando gli Oscar del greenwashing – spiega Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – vogliamo denunciare il patto di potere che lega politica, mondo dell’informazione e colossi del petrolio e del gas come Eni, che continua indisturbata con emissioni di gas serra fuori controllo mentre cerca di ripulirsi l’immagine a suon di sponsorizzazioni e pubblicità fintamente green».
Solo pochi giorni fa anche il segretario generale dell’Onu António Guterres si è soffermato ampiamente sul problema del greenwashing, alimentato dalle industrie dei combustibili fossili grazie a vaste campagne pubblicitarie.
«Molti governi – ha osservato Guterres – limitano o vietano la pubblicità di prodotti dannosi per la salute umana, come il tabacco. Alcuni ora stanno facendo lo stesso con i combustibili fossili. Esorto ogni Paese a vietare la pubblicità delle aziende produttrici di combustibili fossili. E invito i media e le aziende tecnologiche a smettere di fare pubblicità ai combustibili fossili».
In Italia al momento c’è solo un’avanguardia di testate che aderisce a questi principi, quelle aderenti – greenreport compresa – alla coalizione Stampa libera per il clima promossa da Greenpeace.
«Come denunciato a più riprese anche dalle Nazioni Unite – commenta nel merito Onufrio – il greenwashing è uno dei fenomeni più subdoli e pericolosi del nostro tempo, perché consente alle aziende inquinanti e ai governi di nascondere le proprie responsabilità e di ritardare la transizione energetica di cui abbiamo urgente bisogno. A questo si aggiungono le carenze dei principali media italiani nel raccontare la crisi climatica, anche a causa dell’influenza che l’industria dei combustibili fossili esercita su di loro».
Per questo l’associazione ambientalista chiede, da una parte, ai quotidiani e ai media italiani di rinunciare ai finanziamenti dell’industria fossile e di impegnarsi per un’informazione sul clima veritiera, completa e indipendente; dall’altra, al governo di smettere di promuovere false soluzioni e investire davvero sulle fonti rinnovabili; a Eni in particolare, di assumersi le proprie responsabilità nella crisi climatica e smettere di investire in petrolio e gas (mentre il Cane a sei zampe ha dichiarato di voler aumentare la produzione di combustibili fossili almeno fino al 2027).