
I dazi Usa pesano sull’economia toscana: crescita Pil in calo dallo 0,8% allo 0,5% e perdite per 420 milioni

A causa dei dazi Usa, si prevede una cospicua riduzione della crescita del Pil toscano nel 2025, che passerebbe dallo 0,8% allo 0,5%, con una perdita di circa 420 milioni di euro. I settori più colpiti sono la farmaceutica, che subirà una diminuzione del 4,4% del valore aggiunto, la moda (-1,2%) e l'industria automobilistica (-1%). Ma ci sono anche altri comparti dell’economia della Toscana che risentiranno dell’aumento delle tariffe doganali deciso da Donald Trump.
A realizzare un’approfondita analisi di quali conseguenze avrà il nuovo corso impresso dalla Casa Bianca è l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (Irpet), che sul proprio sito web ha appena pubblicato una nota di lavoro ad hoc su questo tema.
Il documento parte dallo scenario complessivo sottolineando che l’implementazione di nuove tariffe doganali sulle esportazioni verso gli Stati Uniti rappresenta un passo significativo verso una nuova fase di protezionismo, destinato ad avere un impatto sostanziale sull'economia globale, con il rischio di una recessione mondiale i cui effetti complessivi potranno essere valutati solo a lungo termine. Nel testo si sottolinea poi come anche per l'economia della Toscana il contraccolpo sarà inevitabilmente rilevante: gli Stati Uniti costituiscono, dopo l'Europa, uno dei principali mercati di destinazione per l'export regionale, con un valore superiore a 10 miliardi di euro nel 2024. A causa dei dazi, si prevede dunque una riduzione della crescita del Pil dello 0,3%.
Lo studio evidenzia che «gli Stati Uniti assorbono circa il 16% dei prodotti che vendiamo all’estero, più di quanto non facciano ad esempio la Francia (13%) o la Germania (8%) che sono gli altri due prioritari canali di sbocco delle nostre esportazioni. I settori con il più alto valore delle esportazioni nel mercato americano sono nell’ordine la farmaceutica, l’elettromeccanica, il comparto moda nelle sue varie articolazioni in cui spiccano concia, pelletteria e calzature, naturalmente l’industria alimentare e la gioielleria. Questi settori rappresentano il 76% dell’export toscano negli Stati Uniti».
I dazi, viene ricordato nell’analisi di Irpet, si esprimono in valore percentuale del prezzo di vendita e rendono quindi la merce straniera relativamente più cara. Il loro effetto dipende dunque da numerosi fattori, si spiega. «In primo luogo, se l’aumento tariffario si trasferisce sul prezzo finale per il consumatore americano (completo pass-through) o se in parte, o completamente, viene neutralizzato da una riduzione dei margini di guadagno (mark-up) per il produttore. Questo primo effetto non richiede tempo per manifestarsi, poiché è una decisione che può essere presa in qualunque momento da chi realizza il bene esportato.
In secondo luogo, però, chi importa i beni – che sono prodotti intermedi nel caso di aziende e beni finali nel caso delle famiglie – potrebbe riorientare la propria domanda tra i diversi paesi in risposta alle variazioni relative dei prezzi». Ci sono poi altri fattori evidenziati nello studio e, in base allo scenario delineato, l’impatto che il modello macroeconomico realizzato Irpet porta a stimare, sulla base delle elasticità della domanda americana differenziate per prodotto e paese di provenienza, è una riduzione del prodotto interno lordo toscano che nel 2025 sarà pari a 420 milioni di euro. Pertanto, viene ribadito, la crescita attesa passerà, per effetto dei dazi, da +0,8% a +0,5%.
Gli effetti complessivi dei dazi sono però differenziati fra i vari settori, viene anche sottolineato dall’analisi di Irpet: ad esempio sono significativamente più alti per la farmaceutica (-4,4% di valore aggiunto) e meno incidenti, ma sempre relativamente più rilevanti, per la moda (-1,2%), la chimica (-0,7%) e l’automotive (-0,7% per autoveicoli e rimorchi, -1,5% per altre attrezzature per trasporto).
Il documento si chiude con un auspicio che richiama un fattore chiave del made in Italy, la qualità: «L’auspicio, oltre quella di una doverosa ed unitaria risposta dell’Europa da giocarsi su molti fronti, a sostegno delle strategie di diversificazione dei mercati di sbocco delle esportazioni, di incentivo alle imprese che investono a fini di maggiore competitività, di restrizione della partecipazione di imprese americane agli appalti pubblici europei, di maggiori imposte sui servizi acquistati dagli Usa, di norme antitrust sui Big Tech, è che la qualità dei prodotti che esportiamo possa essere un elemento che attenui gli aspetti recessivi di lungo periodo della manovra protezionistica americana».
