
Domani è il «Liberation day» Usa? Von der Leyen e Lagarde: no, è l’inizio dell’indipendenza Ue

«Liberation day», l’ha definito Donald Trump, il giorno della liberazione. Ed è domani, quando scatteranno i dazi nei confronti di tutti i paesi che, a detta del presidente statunitense, «a lungo hanno approfittato degli Stati Uniti». Considerate le giravolte e i tanti stop and go impressi nelle ultime settimane dal tycoon, neanche in America si sbilanciano su quel che verrà annunciato domani e soltanto tra 24 ore avremo un quadro chiaro di ciò che dovranno affrontare i prodotti nostrani. Ma intanto l’Unione europea prova a giocare d’anticipo e per bocca delle due più alte cariche comunitarie, ovvero presidente della Commissione e presidente della Bce, lancia un paio di messaggi piuttosto chiari all’indirizzo della Casa Bianca.
Se Trump parla di «Liberation day» per l’America, Christine Lagarde dice che «i dazi Usa sono l’inizio dell’indipendenza Ue». E se da Oltreoceano domani verranno imposte nuove tariffe sui prodotti europei, Ursula von der Leyen sottolinea che «deve essere chiaro che l’Europa non ha iniziato questo scontro e non vogliamo necessariamente vendicarci, ma abbiamo un piano forte per vendicarci se necessario». Come? Sulle due sponde dell’Atlantico si sta giocando una partita che è solo alle mosse iniziali. «Introdurremo dazi reciproci nei confronti di paesi che ci tassano, saremo molto gentili con gli altri paesi», ha detto Trump senza fornire dettagli di quel che annuncerà in una conferenza nel Rose Garden della Casa Bianca. L’Europa dove si colloca, nell’immaginario trumpiano, in quale gruppo di paesi? Lagarde non dà nulla per scontato, tranne il fatto, accennato una decina di giorni fa nel corso dell’audizione in commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo, che dazi Usa al 25% peserebbero per lo 0,3% sul Pil dell’eurozona. E il fatto, a questo connesso, ribadito ieri in un’intervista alla radio France Inter, che l’inizio di una guerra commerciale non solo «porterebbe a un calo della crescita nell’eurozona dello 0,3%», ma questo calo sarebbe dello 0,5% se l'Europa applicasse una politica di reciprocità. «Ogni guerra commerciale ha dei perdenti. Nessuno vince», ha sottolineato.
L’Europa però non può neanche fare finta di niente. E se von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo dice che «non vogliamo necessariamente vendicarci, ma abbiamo un piano forte per vendicarci se necessario», la stessa Lagarde osserva che la situazione geopolitica ed economica, con la decisione di Trump sui dazi doganali, obbligherà l’Unione europea a compiere una svolta positiva: «Credo che questo sia un momento in cui dobbiamo decidere insieme di prendere meglio il controllo del nostro destino, e penso che questo sia un passo verso l’indipendenza». Quello che stiamo attraversando, sottolinea la presidente della Bce è «un momento esistenziale per l’Europa», che deve approfittare di questa situazione per «intraprendere insieme questa marcia verso l’indipendenza in termini di difesa, indipendenza energetica e indipendenza finanziaria e digitale».
E si torna al punto: come rispondere a Tump? Come rendere più coesa e indipendente l’Ue? Von der Leyen, di fronte agli europarlamentari, la mette giù così: «Valuteremo attentamente gli annunci di domani per calibrare la nostra risposta. Il nostro obiettivo è una soluzione negoziata. Ma naturalmente, se necessario, proteggeremo i nostri interessi, la nostra gente e le nostre aziende». La strategia dell’Ue, anticipa la presidente della Commissione europea, si basa su tre pilastri. «Primo, siamo aperti ai negoziati. E ci andiamo da una posizione di forza, perché l’Europa ha molte carte in mano, dal commercio alla tecnologia alle dimensioni del nostro mercato. Ma questa forza si basa anche sulla nostra prontezza ad adottare contromisure ferme». Tutti gli strumenti «sono sul tavolo», ha spiegato von der Leyen parlando della necessità di «diversificare il nostro commercio con altri partner» e «raddoppiare gli sforzi sul nostro mercato unico» per «abbattere le barriere che restano». Un tema, questo, sollevato nelle scorse settimane anche da Mario Draghi. E la presidente della Commissione Ue concorda. «Draghi ha ragione quando dice: ‘Le elevate barriere interne sono molto più dannose per la crescita di qualsiasi dazio’. Il mercato unico è nato per abbattere le barriere tra i nostri Paesi. Per eliminare dogane e dazi. E per rendere semplice fare affari in Europa. Dobbiamo tornare a quell’idea e realizzarla». Deve essere più facile per le Pmi vendere lo stesso prodotto in tutti gli Stati membri, continua von der Leyen, invece di etichettarlo ventisette volte per rispettare le leggi nazionali. Deve essere più facile per i professionisti lavorare oltre confine, invece di rimanere bloccati in diverse burocrazie nazionali. Deve essere più facile per le aziende tecnologiche lanciare un nuovo servizio in tutta Europa, invece di dover gestire ventisette procedure diverse. E dev'essere più facile per gli europei investire in Europa, invece di inviare i propri risparmi dall’altra parte del mondo. «Questa è la promessa del nostro mercato unico. E dobbiamo realizzarla».
Abbattere i restanti ostacoli interni all’Ue, dunque, è la strada. Ma non solo. La presidente della Commissione Ue ricorda anche che l’Europa è tutt’altro che un nano di fronte a un gigante Usa. «Trump minaccia il miglior modello economico del mondo. L’Europa è il 22% del Pil globale, siamo una potenza economica, mentre gli Stati Uniti sono il 25% - quindi siamo uguali! Se Trump si concentra sui beni europei, noi dovremmo concentrarci di più sui servizi americani. I giganti digitali pagano poco le nostre infrastrutture digitali».
Ed eccolo un altro tassello della strategia europea. Piuttosto che rispondere colpo su colpo alle tariffe statunitensi con misure a tutto campo, l’Ue potrebbe mettere nel mirino in particolare le Big tech Usa, a cominciare da Meta, Apple, Google e poi Amazon e, ovviamente, X e le altre sigle legate a Elon Musk. «I giganti tecnologici, l’industria finanziaria e le aziende farmaceutiche americane hanno radici profonde in Europa», dice a Politico Tobias Gehrke, senior policy fellow presso l’European Council on foreign relations. Se Trump si spinge troppo in là, aggiunge, Bruxelles potrebbe stringere su pochi, mirati obiettivi: «Tasse digitali sulla Silicon Valley, restrizioni normative su Wall Street o tasse sulle esportazioni di farmaci statunitensi. L’America può anche brandire il bastone più grande, ma l’Europa ha molte pietre affilate da lanciare».
A seconda di come si muoverà Trump, la Commissione Ue potrebbe rispondere in modi diversi. Cominciando, per esempio, col lavorare sui regolamenti approvati negli ultimi cinque anni per inasprire le norme che regolano le Big tech. «Se si osserva il posizionamento delle grandi aziende tecnologiche americane negli ultimi mesi, che sono tutte vicine a Trump, si ha l’impressione che stiano facendo pressioni sulla Casa Bianca contro l’Europa», dice sempre a Politico Yves Melin, socio fondatore dello studio legale Cassidy Levy Kent. «In realtà, sono estremamente vulnerabili alle misure di ritorsione».
Un esempio? Il Digital markets act, introdotto dall’Ue per garantire mercati digitali «equi e aperti» e che prevede sanzioni per le imprese che non rispettano il regolamento fino al 10% del fatturato mondiale totale annuo, o fino al 20% in caso di violazioni ripetute. Giusto un anno fa erano finite nel mirino dei regolatori antitrust europei Google e Meta. E, soprattutto, giusto tra qualche giorno ci dovrà essere il pronunciamento sull’indagine che riguarda i due colossi tecnologici statunitensi. Nelle scorse settimane c’era chi scommetteva sulla chiusura della pratica con delle multe modeste nei confronti delle due società. Oggi nessuno dà più per scontato nulla.
