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Nelle marche il caso virtuoso di Comunanza, dove l’integrazione dei migranti tiene vivo il tessuto produttivo

Il 60% del territorio italiano si sta svuotando: non bastano incentivi per tornare a popolare le aree interne

Nicoletti (Legambiente): «L’abbandono fa crescere i rischi mentre dove c’è un’attività agricola, il pericolo di incendi, provocati da siccità e aumento di biomassa incendiabile, diminuisce»
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Un quarto della popolazione italiana, oltre 13 milioni di persone, vive in territori fragili, dove spesso mancano i servizi essenziali. Queste aree, spesso montane e considerate “interne”, stanno subendo un lento declino demografico e un progressivo invecchiamento della popolazione, che apre interrogativi sugli scenari futuri. Secondo l’Istat oltre 4.000 comuni italiani, il 48,5% del totale, sono a rischio spopolamento.

«In quei comuni fare un figlio è complicato – dichiara a Nuova Ecologia Marco Bussone, presidente nazionale di Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) – mancano i servizi per le famiglie e, spesso, ci si trasferisce quando i bambini devono frequentare l’asilo nido o la scuola media».

Nel 2014, nel Piano nazionale di riforma è comparsa per la prima volta la Snai (Strategia nazionale per le aree interne), una politica territoriale che ha lo scopo di migliorare la qualità dei servizi e delle opportunità economiche nei territori a rischio marginalizzazione. Da allora queste aree sono state oggetto di varie attenzioni, ma non sono servite a mettere in campo politiche vincenti.

«Non basta una buona pratica – continua Marco Bussone – per esempio bisogna insistere sul fatto che servono più servizi e più medici, che si ano pagati anche di più. Sul tema dei trasporti bisogna evitare di investire molto nelle aree urbane e lasciare le briciole a questi territori».

Negli ultimi anni la narrazione del “tornare a vivere in montagna” ha mosso l’attenzione del dibattito pubblico, spesso appiattendo la complessità. I giornali si sono riempiti di bandi comunali che offrivano soluzioni di acquisto casa a pochi euro o incentivi per chi si trasferiva in questi borghi immersi nella natura. Tutto giusto, finché non hai bisogno di spostarti, di lavorare, di avere accesso a cure specifiche o anche solo a una connessione internet stabile e veloce per lavorare.

«Ci vogliono tempi lunghi e politiche durature. Investire nei territori non vuol dire dare un po’ di assistenzialismo, ma garantire opportunità in più. Nonostante gli sforzi, siamo ancora lontani», conclude Bussone.

Nel 2010 e nel 2011, in accordo con il ministero dell’Ambiente, Uncem ha avviato la Strategia delle Green communities: «Sono territori rurali e montani – spiega Giampiero Lupatelli, economista territoriale, vicepresidente di Caire (Cooperativa architetti e ingegneri di Reggio Emilia) e autore del saggio Green Community – che individuano nell’utilizzo e nella valorizzazione delle risorse ambientali l’elemento che traina il loro progetto di sviluppo economico».

Le Green communities, così come le aree protette, sono una risposta alla crisi climatica ed economica. «L’abbandono fa crescere i rischi – aggiunge Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – Dove c’è un’attività agricola, il pericolo di incendi, provocati da siccità e aumento di biomassa incendiabile, diminuisce». Fenomeni di neopopolamento dal basso, Snai, Green communities, politiche per i piccoli comuni: sono diverse le strategie progettate per quel 60% del territorio fatto di aree interne (fonte Snai). «Ma le risorse devono essere meglio coordinate su obiettivi chiari e raggiungibili – continua Nicoletti – perché spesso ci riempiamo la bocca di grandi filosofie e poi ci accorgiamo che mettere a terra questi progetti è la cosa più complicata». Nella gestione dei territori si commette l’errore di passare più tempo a progettare che ad applicare: «Non abbiamo bisogno di fare un’operazione e poi velocemente provarne altre, quella non è speranza, è inseguire di volta in volta un’illusione», conclude Giampiero Lupatelli. Strategie, classifiche e numeri ci aiutano a comprendere il fenomeno.

Ma citando l’antropologa Anna Rizzo, autrice del libro I paesi invisibili: “L’uso indistinto del termine aree interne appiattisce e livella una varietà culturale immensa. Bisognerebbe ricominciare a chiamare ciascun paese per nome, evitare di mettere etichette sui territori, perché queste diventano corazze, diciture che tramandano debolezze e svuotano di valore e significato la vitalità di questi posti”.

Esempio marchigiano

Il Comune di Comunanza, un centro marchigiano di 2.950 abitanti, che fin dagli anni ’70 attrae manodopera, mantiene un equilibrio demografico tra chi parte e chi arriva. Negli anni ’90 il flusso dai Balcani ha portato quella che oggi è una nuova classe di imprenditori e lavoratori, ben insediati nel contesto territoriale. Nel 2014 con l’inizio delle migrazioni dall’Asia meridionale, in particolare dall’India, si è formata una comunità che è diventata un punto di riferimento per il territorio: «Senza lavoro queste persone non sarebbero mai arrivate qui – racconta il vicesindaco e assessore alla Cultura e turismo Matteo Meschini – si trovano in una condizione economica buona, molti hanno acquistato casa e hanno figli nati qui. Viceversa, senza questi flussi, molte aziende si sarebbero trovate in difficoltà».

La comunità indiana comunanzese oggi costituisce oltre il 10% degli abitanti, un numero consistente, che ci mette davanti a un fenomeno che si distingue dall’accoglienza per numeri e modalità: «C’è uno scambio di culture – continua il vicesindaco Matteo Meschini – ad agosto abbiamo organizzato una festa ispirata a quelle tipiche della regione del Punjab, che ha registrato circa mille presenze. I ragazzi di seconda generazione stanno creando un’associazione per continuare a organizzare eventi. Cercano di portare il loro messaggio e questo è un accrescimento per tutta la popolazione». Con 1,4 miliardi di persone, in prevalenza giovani, l’India è una delle potenze economiche più forti del pianeta. Ma diseguaglianze economiche, soprattutto nelle zone rurali, spingono molte persone a partire.

«In India c’è molta disoccupazione, si parte in cerca di un futuro migliore – spiega alla Nuova Ecologia Rani Richa, mediatrice culturale – teniamo molto a valori come l’accoglienza, la condivisione e l’amicizia». Eppure, a Comunanza, non è sempre stato facile. Per dieci anni italiani e indiani si sono scrutati da lontano, con quella paura primordiale che porta a innalzare barriere fisiche e mentali. «Alla base di tutto deve esserci sempre il rispetto reciproco – continua Rani Richa – senza è difficile arricchirci a vicenda». Come sottolinea il vicesindaco Meschini, è stato un processo lento e soltanto da pochi anni si notano i primi segnali positivi.

La crisi della Beko Europe, attiva nella produzione e nel commercio di elettrodomestici, che entro la fine del 2025 rischia di lasciare a casa 330 lavoratori e rallentare tutto l’indotto aziendale, fa sorgere interrogativi sul futuro di questo territorio. «Da cinque mesi stiamo lottando in tutte le sedi – afferma il vicesindaco – la situazione è delicata, ma non è ancora detta l’ultima parola. Questi territori hanno bisogno di strumenti diversi, per restare poli attrattivi. Fare impresa qui è difficile inizialmente, ma porta anche tanti vantaggi». La sfida adesso è tenere i riflettori accesi. 

a cura di Elena Russo

La Nuova Ecologia

L’Editoriale La Nuova Ecologia è una società cooperativa senza fini di lucro, costituita nel 1995 su impulso di Legambiente per la pubblicazione delle riviste di riferimento dell'associazione e l'ideazione di numerose altre iniziative ad esse collegate. E’ nata e opera nella convinzione che l’informazione, la formazione e la comunicazione ambientali siano strumenti fondamentali nella politica dello sviluppo sostenibile. Oltre alla prevalente attività editoriale, organizza convegni e seminari, corsi di giornalismo e di comunicazione. Alla base del lavoro svolto c’è un costante impegno alla tutela e valorizzazione di principi etici nei rapporti economici e sociali.