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Come tassare i miliardari per combattere la disuguaglianza, secondo Thomas Piketty

«Non possiamo affrontare efficacemente le sfide sociali e climatiche se non iniziamo tassando i più ricchi in modo chiaro e significativo»
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«Le somme accumulate dagli individui più ricchi del mondo negli ultimi decenni sono semplicemente gigantesche». L’ennesimo campanello d’allarme sulle crescenti disuguaglianze che minano alla base la coesione della nostra società arriva ancora una volta da Thomas Piketty, con un intervento sulle colonne di Le monde dove l’economista francese mette in fila le tre principali critiche alla necessità di una tassazione maggiore sui grandi patrimoni, chiarendone la fallacia argomentativa.

In primo luogo è necessario partire dai dati di fatto: in Francia, ma l’Italia è un caso analogo, la ricchezza complessiva dei 500 patrimoni più grandi è cresciuta di 1.000 miliardi di euro dal 2010, passando da 200 miliardi di euro a 1.200 miliardi di euro. In altre parole, basterebbe un’imposta una tantum del 10% su questo aumento di 1.000 miliardi di euro per ottenere 100 miliardi di euro. Un gettito del genere farebbe molto comodo a tutti gli Stati europei, e l’Italia del Governo Meloni alla prese con la definizione della nuova legge di Bilancio non fa certo eccezione.

Concretamente, come pagherebbero i miliardari questa tassa del 10% sull’aumento della loro ricchezza? «Se non realizzano profitti sufficienti in un anno – argomenta Piketty – dovranno vendere parte delle loro azioni, ad esempio il 10% del loro portafoglio. Se trovare un acquirente fosse difficile, il governo potrebbe accettare queste azioni come pagamento delle tasse».

L’autore del celebre Il capitale nel XXI secolo evidenzia dunque come sia «ipocrita e debole» la retorica che vuole gli Stati troppo deboli per poter imporre una tassa del genere ai cittadini più facoltosi, secondo la quale la globalizzazione e la libera circolazione dei capitali permetterebbero ai miliardari di trasferirsi semplicemente in Paesi dalle giurisdizioni più favorevoli: «In primo luogo – argomenta Piketty – sono stati i governi a istituire la libera circolazione dei capitali, sostenuta da un sofisticato sistema legale sostenuto dai tribunali pubblici, che potrebbe potenzialmente essere modificato. In secondo luogo, questo argomento riflette un abbandono della sovranità, in particolare da parte dei leader politici che spesso discutono della necessità di ripristinare l’autorità governativa, ma spesso trovano più facile esercitare la propria autorità sui poveri che sui potenti».

Anche perché agli Stati restano ancora spazi di manovra per azioni di questo tipo, quando c’è la volontà politica necessaria a sostenerle: «Negli Stati Uniti, i contribuenti vengono tassati in base alla loro nazionalità, anche se vivono all’estero. Se qualcuno vuole rinunciare al proprio passaporto americano, opzione non priva di rischi, nulla impedisce al governo di continuare a tassarlo, purché la sua ricchezza sia stata accumulata negli Stati Uniti o, più semplicemente, se continua ad utilizzare il dollaro», osserva Piketty.

Dato che «non c'è nulla nella Costituzione che impedisca l'attuazione di un'imposta eccezionale sul patrimonio dei miliardari», a latitare è solo la volontà politica. E una mancata presa di coscienza: «Non possiamo affrontare efficacemente le sfide sociali e climatiche di oggi se non iniziamo tassando i più ricchi in modo chiaro e significativo», conclude Piketty.

In un Paese come l’Italia, dove il 5% più benestante degli italiani possiede il 46% della ricchezza mentre alla metà più povera del Paese resta invece meno dell’8% della ricchezza netta – in base alle stime Bankitalia – e con un sistema fiscale di fatto regressivo nonostante la Costituzione imponga il contrario, cresce il consenso della cittadinanza a un’imposta sui grandi patrimoni.

Un recente studio, pubblicato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, mostra che aumentare blandamente la progressività delle tasse su multinazionali e l’1% più ricco degli europei permetterebbe di finanziare per intero la transizione ecologica; al contempo, se l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) Tax the rich andasse in porto, concentrandosi sulla tassazione dello 0,1% più ricco lo Stato italiano potrebbe guadagnare dai 14,5 ai 25,5 miliardi di euro l’anno, da destinare a politiche di sostenibilità ambientale e sociale.

Come mostra l’ultimo sondaggio condotto da Oxfam, oggi oltre il 70% degli italiani vorrebbe una tassa europea sui grandi patrimoni di questo 0,1% più ricco, composto da sole 50mila persone con patrimonio netto superiore a 5,4 mln di euro. Resta solo da chiarire se qualche partito politico ha intenzione di farsi espressione di questo consenso, tanto popolare quanto scientifico.

Redazione Greenreport

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