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Dall'Enea una nuova metodologia per calcolare l'impatto dell'industria sul consumo di acqua

Petta: «È in grado di valutare l’impatto effettivo di uno specifico insediamento produttivo su fiumi, laghi e falde acquifere»
 |  Acqua

I dati messi in fila dall’Istat mostrano che in Italia ogni anno l’industria consuma circa 5,5 miliardi di mc di acqua (il 21% dei consumi totali), anche se l’agricoltura resta il settore a più alta intensità idrica con 14,5 miliardi di mc di acqua utilizzata (oltre il 50%).

È dunque sempre più importante identificare metodologie affidabili per valutare l’impatto delle attività industriali sulle risorse idriche locali. Una sfida affrontata dall’Enea nell’ambito del progetto ReciProCo, finanziato dal ministero delle Imprese, i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale Journal of environmental management.

Nell’ambito di questo studio, l’Enea ha sviluppato una nuova metodologia basata sul calcolo di tre indicatori: l’Indice di stress idrico di consumo e prelievo (Wcsi), che fornisce una descrizione dello stato delle risorse idriche locali; l’Indice di impatto totale dell’insediamento industriale (Ofbi) sul bacino idrografico locale e caratterizza il ciclo idrico dell’azienda; l’Indice di riuso idrico aziendale (Iwr), che valuta l’efficienza dell’uso dell’acqua da parte dell’industria.

La nuova metodologia per valutare l’impatto delle industrie sulle risorse idriche locali, come fiumi e laghi, è stata dunque testata su due cartiere presenti nei sottobacini del Brenta-Baccaglione (Veneto) e dell’Arno (Toscana), insieme a un’impresa tessile ubicata nei pressi del fiume Ticino (Lombardia).

«In generale – spiega Luigi Petta, ricercatore Enea e co-autore dello studio – questi due settori produttivi si caratterizzano per un elevato consumo di acqua ma esiste chiaramente una differenza nell’equilibrio delle risorse idriche tra i sottobacini considerati: l’Arno è quello che presenta le maggiori criticità per lo sfruttamento idrico, la quantità d’acqua disponibile e la variabilità stagionale».

Nello specifico, l’analisi dei tre sottobacini ha evidenziato una significativa differenza tra il nord Italia caratterizzato da uno stress idrico contenuto e il centro Italia che presenta invece situazioni di sofferenza idrica medio-alta, anche se la situazione più critica si registra in Sicilia e in gran parte della Puglia e della Basilicata.

Per quanto riguarda l’impatto totale dell'insediamento industriale, l’indice Ofbi varia da un minimo dell’azienda tessile lombarda sul bilancio idrico del Ticino (0,002%) a un massimo della cartiera toscana sull’Arno (0,192%), che però risulta la più virtuosa in termini di riuso idrico (98%).

«Sulla base di questi casi di studio – conclude Petta – la metodologia che proponiamo è quindi in grado di valutare l’impatto effettivo di uno specifico insediamento produttivo su fiumi, laghi e falde acquifere e di fornire così alle amministrazioni locali, ai consumatori e alle stesse imprese informazioni utili per conoscere e valutare l’impatto sullo stress idrico locale».

Redazione Greenreport

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